
Si è da poco conclusa la Social Media Week, una settimana all’insegna delle nuove frontiere dell’innovazione, del marketing e della tecnologia, ricca di speech, workshop, confronti e contaminazioni. Noi di MARKETERs Club e This MARKETERs Life abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il Chief Digital Officer di Talent Garden Alessandro Braga, con il quale abbiamo dialogato su temi quali la digitalizzazione delle aziende italiane, le prospettive del settore, i nuovi trend del 2017, l’intelligenza artificiale e molto altro.
Conosciamolo insieme!
Nel corso della sua carriera ha raggiunto importanti traguardi e affrontato molte sfide. Quali sono state le esperienze più significative dal punto di vista professionale e personale?
Nella mia carriera posso dire di aver raggiunto tre tappe fondamentali: la nascita della mia prima azienda nel 2004, in cui ho provato a fare imprenditore in quella che oggi sarebbe chiamata una startup, la possibilità poi di poter lavorare come dirigente in una grande azienda del settore IT ed ora Talent Garden.
Nella prima esperienza mi sono trovato a fare il fondatore e l’amministratore delegato a 27 anni di IncludeIT, un’azienda di servizi professionali e consulenza nel settore ICT. È difficile, ma è molto divertente perché ti insegna ad occuparti di impresa a tutto tondo e ti fa crescere in fretta, soprattutto se come me hai la fortuna di avere a che fare con dei soci che ti danno fiducia e ti aiutano molto, sia dal punto di vista formativo che di crescita personale. Il problema è che ti accorgi degli errori che commetti molto dopo averli fatti e quindi è solo in seguito, quando diventi più maturo, che ti rendi conto di quanto bene ti abbiano fatto certi tipi di esperienze.
Poi c’è stata l’esperienza in Elmec (un importante system integrator privato italiano), in cui ho gestito parte della prevendita per alcuni anni. Lì ho vissuto la quotidiana sfida di una media azienda che deve combinare una forte spinta imprenditoriale ed una eccellenza tecnologica per lottare conto le multinazionali. Le sfide sono quelle di una realtà comunque italiana a controllo diretto che si sta attrezzando per diventare una multinazionale, con tutte le difficoltà nello sviluppo di processi stabili e scalabili che non devono però diventare più importanti delle persone e delle loro competenze.
Oggi, infine, sono qui a Talent Garden e faccio ciò che mi è sempre piaciuto fare. Essere l’uomo del digitale qui è divertente ed incredibilmente stimolante. Avere la possibilità di essere nel posto in cui si coltiva l’innovazione mi permette infatti di potermi occupare sia delle attività più tradizionali che di quelle più innovative con un approccio da startup “strutturata”.
All’interno del Talent Garden ricopre anche il ruolo di Mentor, da cosa nasce questa vocazione all’insegnamento
In realtà sono responsabile della formazione corporate, quindi non mi considero un mentor. Un mentor infatti è qualcuno in grado di lavorare in maniera quasi individuale con ogni persona che segue e quindi in capace di creare un’empatia per far crescere la sfera personale più di quella delle competenze. Noi facciamo “solo” formazione, che è una attività bella ma naturalmente limitata nel tempo e nei contenuti. Cerchiamo di raccontare alle aziende le opportunità che possono sfruttare grazie al digitale applicato nel loro business e di fornire le basi perché diventino indipendenti nell’innovare in modo sistematico.
Possiamo quindi essere dei mentor per qualche giorno, nella misura in cui cerchiamo di raccontare ai partecipanti come queste opportunità possano trasformare le loro aziende, senza dimenticarci però che al centro devono stare le persone che devono cambiare per lasciare spazio a nuovi approcci e nuovi modi di fare impresa. Come? Cercando da un lato di dare loro una scossa immergendoli in un mondo diverso e dall’altro provando a “coccolarli” e di fargli vedere come questo mondo nuovo non è così distante da quello in cui vivono. Devono semplicemente capire come mettere insieme i puntini e lavorare in maniera un po’ più moderna.
Quale ruolo si pone il Talent Garden nella digitalizzazione e innovazione delle aziende italiane?
Ci piace definire il Talent Garden come un acceleratore naturale, un posto in cui facciamo accadere le cose…
La soddisfazione più grande la proviamo quando chi sceglie di stare da noi riesce in sei mesi a fare quello che altrove avrebbe potuto fare in non meno di tre anni. Questo vale da un lato per gli studenti ed i professionisti che si rivolgono al Talent Garden partecipando ai nostri master settimanali con l’obiettivo di trovare lavoro nel digitale o accelerare la loro carriera. Vale anche però per i freelance che lavorano sui nostri desk e si interfacciano con grandi aziende presenti negli spazi, per le piccole startup che trovano il supporto dei Venture Capitalist ed infine per le aziende un po’ più grandi che, con il nostro aiuto, possono portare avanti programmi di innovazione.
Noi cerchiamo solo di accelerare questi tipi di connessioni; se poi lo possiamo fare senza forzare il processo e nel modo più naturale possibile, è ancora meglio.
Come mai secondo lei le aziende italiane non hanno raggiunto un buon livello di digitalizzazione rispetto agli altri Paesi europei? Ritiene che la causa di questo dipenda dalla scarsa propensione delle aziende all’innovazione o dalla mancanza di professionisti realmente competenti nel settore?
Si tratta di due aspetti diversi, anche se collegati. Recentemente abbiamo condotto una ricerca su 550 PMI italiane proprio per valutare il loro grado di digitalizzazione. L’abbiamo fatta all’interno del primo master in Digital Transformation in Italia che ha come obiettivo quello di formare 20 CDO (Chief Digital Officer, una professione nuova che sarà certamente molto ricercata in futuro) da inserire nelle PMI italiane. Quello che emerge è un dato importante: la digitalizzazione è ritenuta dal 75% delle imprese uno straordinario elemento abilitante per l’innovazione, un’incredibile opportunità. Tuttavia, il 60% delle imprese riconosce come ostacolo a questa innovazione proprio il limite culturale.
Siamo quindi fermi al blocco di mentalità, in una situazione in cui ogni iniziativa è destinata a fallire: questo è il reale il limite attuale della situazione. Solo dopo aver superato questo limite le competenze digitali faranno la differenza come sta già succedendo in altri paesi, e noi stiamo cercando di preparare proprio i professionisti del futuro in modo che siano da un alto pronti al momento giusto ma dall’altro il primo elemento di spinta per iniziare questa trasformazione, una volta entrati in azienda con qualsiasi ruolo.
Quali sono le caratteristiche indispensabili per un’impresa digitale?
Un’impresa digitale non può essere diversa da un’impresa fisica. Sicuramente è fondamentale una cultura aperta all’innovazione, che incentivi il rischio, che aiuti il fallimento e che faccia sperimentare all’azienda terreni nuovi. La propensione al rischio deve essere un elemento di base, un po’ come la tecnologia: o ce l’hai o non ce l’hai. Superato il tema del rischio un’azienda che oggi vuole fare qualcosa nel digitale deve essere un’azienda matura, quasi ossessionata, in due nuove discipline: la gestione e analisi dei dati e la user experience. Penso infatti che queste saranno le discipline che in assoluto faranno la maggiore differenza nei prossimi anni.
Il suo intervento alla SMW era incentrato sul tema dell’AI: come l’intelligenza artificiale sta cambiando il mondo del lavoro e come cambierà la vita di tutti i giorni?
L’intelligenza artificiale ricade nell’ambito delle tecnologie e sta cambiando il mondo del lavoro alzando la base line del contributo umano. Questa tecnologia farà per i lavori cognitivi quello che l’automazione ha fatto per quelli manuali. Ed in futuro la questa baseline si alzerà ancora attaccando anche gli aspetti del lavoro più empatici ed emotivi.
Oggi l’AI sta modificando ancora lo strato basso dei lavori cognitivi, dai contact center alle attività legali, finanziarie e più in generale quelle per cui esistono “logiche” piuttosto determinate. Sicuramente questa “erosione” andrà avanti, ma in realtà questo ci restituisce valore se siamo in grado di guardare al lavoro con occhi diversi. Portando un esempio recente tratto dall’Harvard Business Review, il vero lavoro del medico è operare o far star bene il paziente? Se è operare, sostanzialmente, stiamo parlando di un operaio specializzato con una forte formazione, se invece è far star bene il paziente, il valore umano è e resterà insostituibile.
Se il 2017 è l’anno dell’AI e del Machine Learning, quali saranno secondo lei i trend protagonisti del 2018?
Sicuramente nel 2018 vedremo una forte accelerazione della Mixed Reality (sia Virtua ìl che Augmented). Accelererà inoltre tutto quello che riguarda il tema delle Connected Cars e più in generale quello della mobilità evoluta. Probabilmente, anche il trend dell’AI rimarrà costante, con lo sviluppo però di nuove tecnologie in materia a supporto di processi sempre più complessi.
Per concludere, che consigli si sentirebbe di dare a dei giovani MARKETERs che vogliono intraprendere una carriera nell’ambito dell’innovazione e del digital?
Studiate perché non è studiando meno ma è studiando meglio che si diventa più bravi. Oggi avete a disposizione opportunità straordinarie in questo senso e cercate di non sprecarle riducendovi alla “micro” conoscenza. Siate appassionati di quello che fate, cercate di metterci cuore, volontà e forza perché gli ostacoli ci sono ma per ora, quelli che dobbiamo affrontare noi, sono delle sciocchezze confronto a quelli di altri individui in giro per il mondo. Infine, almeno per un po’ di tempo nella giornata cercate di dedicarvi a cose che stanno intorno a voi, quelle che io chiamo adiacenze.
Viviamo in un’epoca di iperspecializzazione che distrugge in parte la capacità di innovare perché le cose nuove arrivano mettendo insieme pezzi provenienti da discipline e contesti diversi. Guardate le aziende, oggi un’azienda di successo è quella che sa fare molto bene il suo lavoro e sa stare contemporaneamente nell’ecosistema, cogliendo opportunità specifiche ma cercandone anche in aree lontane dal suo business tradizionale. Queste aziende cercano persone simili a loro: in grado di lavorare bene nello specifico campo ma senza perdere di vista un dominio più esteso con cui cercare un confronto costante.
Se prendiamo ad esempio un digital marketer, oggi, dovrebbe avere una conoscenza approfondita dei dati, ma anche di economia e di algoritmi. Insomma, di tutte quelle che sono le discipline indispensabili a portare un risultato completo. Altrimenti si ricade nella visione tayloristica del lavoro in cui si diventa iperspecializzati ma, come detto anche prima, l’iperspecializzazione sarà dannosa e oltretutto appannaggio delle macchine. Quello che mi aspetto io è che gli uomini allarghino la loro base di competenze e siano sempre più multidisciplinari ed empatici. Infatti questo sarà l’unico vantaggio competitivo che gli umani potranno vantare rispetto alle macchine.
Laura Cardillo
Elisa Lucamante