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Social Media: esserci o non esserci? The answer, my friend, is blowing in the wind

da 13 Ottobre 2016Ottobre 30th, 2016Nessun commento
Come vi abbiamo annunciato, ci siamo posti l’intento di sfatare alcuni pregiudizi e luoghi comuni riguardanti il marketing, e il primo che vogliamo demolire è questo: “Tutti sono sui social, dobbiamo esserci anche noi!”.

Parafrasando la celeberrima commedia teatrale “Cyrano de Bergerac” di Edmond Rostand, il “Dobbiamo esserci per forza sui social” è un apostrofo rosa tra le frasi “Ma abbiamo sempre fatto così…” e “Non c’è budget!”.

Breve storia triste: noi ci divertiamo, Mark fattura

Come per ogni altra innovazione tecnologica (ma non solo) della storia dell’uomo, anche i social network hanno dovuto sottostare alle spietate leggi del ciclo di vita del prodotto: fino a 5-6 anni fa, erano puro appannaggio dei giovani, meri strumenti di “cazzeggio” per le nuove generazioni incapaci di godersi la spensieratezza e la libertà della propria gioventù; poi, a colpi di “Buongiornissimooooooooo! Kaffèèèèèèèèè?!?!?” e segni di punteggiatura utilizzati senza criterio, hanno superato la soglia della massa critica, e hanno iniziato a diffondersi a velocità incontrollata anche tra le generazioni più adulte.

Questa premessa apparentemente inutile è in realtà dovuta, sia perché i social network sono piattaforme digitali strettamente connesse anche con le nostre vite offline, e trasversali a qualsiasi fascia d’età, sia perché anche le aziende hanno dovuto affrontare questo ciclo prima che i social fossero totalmente sdoganati in termini di marketing: dopo lo scetticismo iniziale, dove molti pseudo-esperti lungimiranti tentavano di convincere manager e imprenditori a investire nei social solo perché “costa poco”, ora si parla addirittura di Social Media Marketing per riferirsi a quell’insieme di attività che le aziende e i brand svolgono sui social per comunicare al proprio target.

Volendo essere molto sintetici ed evitare inutili digressioni, prenderemo solo Facebook come social di riferimento, in quanto è universalmente riconosciuto come IL social network – secondo Al Ries, “è meglio essere i primi che meglio degli altri” è la prima legge fondamentale per avere successo nel marketing – ed è anche il più utilizzato, in Italia ma non solo. Secondo DMR, a luglio 2016 il social network fondato da Mark Zuckerberg vantava 1,65 miliardi di utenti su base mensile, di cui 1,09 su base giornaliera: di questi, 21 milioni sono gli utenti italiani che si connettono a Facebook ogni giorno. A ciò, aggiungiamoci che il tempo medio trascorso da ciascun utente all’interno della piattaforma è di 40 minuti.

Numeri molto, anzi troppo interessanti perché le aziende non potessero vedere un’opportunità di business al loro interno, e infatti ben presto la società di Menlo Park offrì la possibilità anche ad aziende e altre attività commerciali di aprire un proprio profilo in Facebook, seppur con molte differenze rispetto ai profili personali (e non è il caso di andare oltre). Da ciò ne conseguì la possibilità – per le suddette aziende – di poter fare pubblicità al proprio brand ed ai propri prodotti/servizi attraverso la piattaforma, e questo ha portato la società Facebook a fatturare 17,93 miliardi di dollari nel 2015.

E il rapporto tra aziende e Facebook è un rapporto win-win, poiché anche le aziende – sia chiaro, dopo uno scetticismo iniziale – hanno ben presto realizzato quanto importanti potessero essere i social network in termini di veicolo di comunicazione e soprattutto di conversione all’acquisto. Secondo Social Media Today:

  • il 74% dei consumatori considera i social network come fondamentale strumento di informazione prima di compiere una decisione d’acquisto (ah, il word of mouth…);
  • il 34% invece compie i propri acquisti direttamente all’interno di piattaforme social;
  • il 55% degli utenti condivide i propri acquisti (compiuti online) sui social network;
  • in media, Facebook può vantare un tasso di conversione del 20%: 2 utenti su 10 compiono le proprie decisioni di acquisto grazie a post pubblicitari presenti in Facebook e/o a commenti di altri utenti.

Tutte queste impressionanti statistiche non fanno altro che confermare la tesi secondo cui la presenza su questa piattaforma (e quelle affini) è sostanzialmente obbligatoria per ogni azienda esistente, ma prima che corriate ad aprire una pagina Facebook per la ferramenta di vostro cugino, è necessario – ne va della nostra onestà intellettuale – fare alcune distinzioni e, per facilitare l’esposizione e la comprensione di tali concetti, useremo 3 delle famose 5 W del giornalismo: WHY – WHAT – WHO.

Facebook e business: “why”?

Come ci insegna Simon Sinek nel suo saggio “Start with Why”, il “perché” è il motore che spinge (o, almeno, dovrebbe farlo) le aziende a mettersi in gioco, ed è la cifra stilistica che dovrebbe – qui il condizionale è d’obbligo – regolare ciascuna funzione aziendale interna e ciascuna iniziativa (di comunicazione e non solo) dell’azienda.

Se l’imprenditore (o CEO o top manager) è il primo a non essere consapevole del “perché” ha deciso di fondare la sua azienda, o di adottare una determinata innovazione di prodotto, o di scegliere quello specifico stile di comunicazione, i consumatori saranno i primi a non sapere “perché” devono comprare quel prodotto, e quindi quel brand.

In relazione al tema di questo articolo, ogni azienda, piccola o grande che sia, prima di decidere di aprire un profilo social deve individuare una motivazione chiara e precisa che possa giustificare la sua presenza in Facebook (degli altri social non parliamo nemmeno), perché è da questo “perché” che dipenderà poi il successo o meno di quest’iniziativa.

Spoiler: se la motivazione è “voglio vendere di più” oppure “perché costa poco”, partiamo già malissimo.

Social Media Strategy

Facebook e business: “what”?

Anche qui, come per il “why”, è necessario partire dalle basi, non perché dubitiamo dei nostri lettori, ma perché “repetita iuvant” e quindi è bene rimandare a mente anche i concetti che riteniamo più ovvi. Come ogni buon manuale di marketing potrà raccontarvi, le finalità di qualsiasi iniziativa di comunicazione sono sostanzialmente due (in sintesi):

  • Istituzionale: sono le cosiddette attività di branding, che mirano a comunicare un messaggio direttamente associato ai valori, alla storia e all’identità di uno specifico brand/azienda; uno dei migliori esempi di questa tipologia di comunicazione è lo spot di Dove del 2013 sulla bellezza autentica e sulla consapevolezza di sé;
  • Commerciale: sono tutte quelle attività che, dichiaratamente o meno, comunicano un prodotto/servizio offerto dall’azienda e mirano a stimolare i consumatori all’acquisto.

Il discorso sarebbe ben più complesso e articolato, ma in quest’occasione riteniamo opportuno semplificarlo, per mere finalità espositive.

Ora, essendo i social network adatti a comunicare in numerose forme multimediali, dal testo al video passando per le immagini, in queste piattaforme (e Facebook in particolare) si possono declinare strategie e piani di comunicazione perfettamente integrati e articolari, e dalle molteplici finalità, perciò sì, anche su Facebook si può fare pubblicità o, meglio, comunicazione aziendale.

Tuttavia, “cosa” comunicare sui social è strettamente vincolato a “chi” realizza la comunicazione, e questo è probabilmente il fulcro dell’argomento che stiamo affrontando.

Facebook e business: “who”?

Anche qui, attuiamo subito una netta semplificazione, dicendo che due sono le categorie aziendali che possono utilizzare i social network: i brand e le PMI.

Prima che ci vengano rinfacciati i nostri esami di diritto industriale, precisiamo che non utilizziamo questi termini in senso letterale: per “brand” intendiamo aziende di massa, note a livello nazionale (e non solo), con investimenti di comunicazione a 7-8 zeri, mentre definiamo “PMI” quelle imprese piccole, molto piccole, con un raggio d’azione ristretto e che prestano ancor più attenzione a come e dove allocano il budget di comunicazione.

I brand, com’è fisiologico che sia, sono avvantaggiati nell’approccio ai social network:

  • possono spendere di più,
  • possono contare su competenze interne migliori (e più numerose),
  • e possono anche affidarsi ai migliori partner in termini di agenzie creative e di comunicazione.

Ciò non li rende certo esenti da errori e passi falsi (vi ricordate il caso Melegatti?) o da una gestione della presenza social quantomeno discutibile; è tuttavia indubbio che la direzione da seguire è chiara nella loro mente e nei loro brief di comunicazione, sebbene il loro successo sui social – in termini meramente di brand reputation e di fan base – sia figlio della brand awareness costruita offline precedentemente ai social network.

Le PMI, specialmente quelle con un raggio d’azione e un target d’acquisto molto limitati dal punto di vista geografico, sono invece sotto-dimensionate, sia dal punto di vista del budget che delle professionalità interne competenti in materia di comunicazione e social media; se a questo si aggiunge una scarsa conoscenza intrinseca delle piattaforme social, ecco spiegato perché molti piccoli imprenditori sono così restii a investire in iniziative di Social Media Marketing.

Essere presenti su tutti i social media

Tuttavia, anche all’interno della macro-categoria “PMI” si possono individuare tre sotto-insiemi:

  • quelle appena descritte, che finiscono per non fare nulla rinunciando così a un’opportunità;
  • quelle che scelgono di affidarsi a partner esterni, che costruiscono una strategia chiara e integrata, che definiscono un “tone of voice” preciso e che raccolgono i frutti del loro ottimo operato (Taffo G & C Onoranze Funebri è uno dei casi più celebri);
  • infine, quelle che decidono di credere a tutti coloro che dicono “devi assolutamente esserci sui social”, senza aver chiaro il “perché” debbano esserci o, ancor peggio, avendo in mente un obiettivo distorto.

Queste ultime sono quelle che, magari, hanno sposato la causa digital anche in tempi non sospetti, sentendosi veri e propri “pionieri”, ma che non hanno mai investito troppo (perché c’era il famoso cugino che per 50 € al mese gestiva tutto) o, peggio ancora, che hanno drasticamente ridotto gli investimenti dopo aver visto che la pagina Facebook non produceva i risultati sperati.

Presenza social media

Diciamolo chiaramente: i social media non sono per tutti!

Ci sono settori di mercato in cui avere un profilo social difficilmente porterà vantaggi alle vendite, soprattutto se il profilo in questione viene gestito in maniera ordinaria, piatta e asettica; se un’azienda non ha una motivazione precisa e un budget adeguato, è meglio non sostenere un investimento il cui ROI finale potrebbe essere nullo, se non addirittura negativo.

È invece fondamentale – soprattutto per aziende con mercati fortemente locali – avere quantomeno un profilo Google My Business: quando gli utenti cercheranno il nome di quell’azienda in Google (cosa che ormai chiunque fa, prima di compiere la decisione d’acquisto), nella prima pagina coi risultati della ricerca comparirà un box che riassume tutte le informazioni più importanti relative a quell’azienda (indirizzo, telefono, sito web, mail, orari di apertura, recensioni), e che faciliterà quindi l’interazione col cliente (potenziale o non) finale.

Se invece ritenete a tutti i costi che, pur avendo risorse limitate a disposizione, essere presenti sui social con un profilo aziendale sia assolutamente necessario per incrementare il vostro business, ci permettiamo di indicarvi alcuni aspetti “must have” prima di avviare quest’iniziativa:

#1 Conoscenza del mezzo

Conoscere le logiche che stanno alla base del funzionamento di Facebook, Twitter, Instagram, ecc., è fondamentale per usare questi mezzi, perché permette di sfruttarne al meglio ogni caratteristica e, soprattutto, permette a chi vi osserva di comprendere la consapevolezza con cui state agendo; analogamente, è fondamentale conoscere il “linguaggio” (ogni social ha il proprio) che gli utenti utilizzano per comunicare all’interno di queste piattaforme, poiché solo comunicando allo stesso livello potrete generare empatia coi vostri fan e costruirvi autorevolezza in quel social network. Un linguaggio che, con le emoji, sta ulteriormente cambiando

#2 Costanza 

Come in moltissimi altri campi, la perseveranza è una delle variabili più importanti che compongono l’equazione del successo, perciò non potete pretendere di vedere i risultati già nel breve periodo (e, anche se fosse, occhio a non adagiarvi sugli allori); dovete tener duro, monitorare costantemente l’andamento dei vostri profili e le reazioni dei vostri fan, anche perché gli algoritmi che regolano la visibilità sui social network saranno i primi a punirvi in caso di inattività prolungata.

#3 Contenuti 

I social vivono, si nutrono di contenuti: testo, video, foto, audio; dovrete essere costanti anche nel produrre contenuti sempre freschi e aggiornati, allineati con ciò che siete e fate come brand; vietato tentare semplicemente di piazzare sui social contenuti (es.: volantini) che utilizzate già offline, poiché non è questo che i fan richiedono e non è questo che funziona sui social.

Infine, ci teniamo a precisare che i social network sono sì uno dei numerosi media comunicativi di cui un’azienda può disporre, per cui difficilmente possono incidere in maniera determinante sul successo del vostro business, ma stanno anche acquisendo un’importanza sempre più rilevante, sia nell’immaginario dei consumatori-utenti sia nel panorama dei canali di comunicazione, tale per cui una pessima gestione potrebbe tradursi, nel medio-lungo periodo, in una drastica riduzione del tasso di conversione e in un indebolimento della brand image.

Noi vi abbiamo avvisati.

Al MARKETERs Festival ci sarà un intero percorso dedicato al Social Media Marketing, grazie agli interventi di formatori e speaker di primo rilievo. Appuntamento il 26 Novembre a Villa Fiorita (TV). Se vuoi rimanere aggiornato su questo argomento visita il sito del MARKETERs Festival oppure consulta direttamente il programma dell’evento! Altrimenti, se desideri ricevere in anteprima qualche spoilerata ed essere davvero sul pezzo, iscriviti alla newsletter!

MARKETERs Festival

Riccardo Buson

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