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Da Winnie the Pooh ai giochi di parole, la guerra online contro la censura in Cina

da 5 Novembre 2018Giugno 16th, 2019Nessun commento
Da quando è arrivato internet, la censura in Cina ha raggiunto dimensioni impressionanti. La maggior parte della popolazione si è ormai abituata al controllo governativo sul web, ma un piccolo gruppo di utenti continua a combatterlo. E per farlo usa armi come immagini di Winnie the Pooh e giochi di parole molto particolari.

Nel 2003 Hu Jintao è diventato il presidente della Repubblica Popolare Cinese. Di lì a poco ha annunciato l’obiettivo primario del suo governo: armonizzare la società cinese. Per farlo intendeva innanzitutto ridurre le grandi disuguaglianze create dal fortissimo boom economico degli anni precedenti. Finché è rimasta nei discorsi di Hu, l’idea ha generato un sincero entusiasmo fra la popolazione.

Poi però si è passati ai fatti. E così pian piano l’armonizzazione voluta da Hu Jintao si è trasformata in un ottimo pretesto per la repressione del dissenso interno in nome della stabilità sociale. I cinesi, visto l’andazzo, hanno iniziato a utilizzare sarcasticamente la parola “armonizzazione” (héxié) come sinonimo di censura sistematica di tutti i contenuti non in linea con le regole del Partito Comunista Cinese (PCC), che tutt’oggi governa la Cina.

Meme in cui Spiderman (metafora della censura) indica l'alter ego di se stesso (l'armonizzazione)

Questa “armonizzazione” in Cina coinvolge già da tempo i media tradizionali – stampa, radio, tv – che finora sono stati tenuti sotto controllo senza troppe difficoltà (spesso sono gli stessi giornalisti ad autocensurarsi per paura di avere guai col governo); la vera minaccia al regime piuttosto arriva da internet.

I cittadini cinesi con accesso alla rete infatti sono cresciuti esponenzialmente nel corso degli anni fino ad arrivare agli attuali 800 milioni. Una cifra pazzesca, l’equivalente degli utenti internet di Stati Uniti, Brasile, Germania, Francia, Regno Unito e Russia messi insieme. E cresceranno ancora. Visti i numeri, il governo sa bene che per mantenere il controllo del web deve adottare misure sempre più sofisticate e selettive. Misure come il Great Firewall o l’Esercito dei 50 centesimi. Di che si tratta? Per capirlo partiamo dall’inizio.

Censura online: nasce, cresce, si rafforza

Internet arriva in Cina nell’aprile del 1994, fra entusiasmi e speranze degli osservatori internazionali: “La Cina si aprirà definitivamente al mondo”, si auspicava. Speranze vane: appena due anni dopo, nel 1996, il governo istituisce alcune restrizioni da applicare agli Internet Provider, sottoponendoli tutti al suo controllo, e blocca i primi siti stranieri.

Con il blocco di questi siti comincia a formarsi il “Great Firewall”, la Grande Muraglia virtuale innalzata dal governo di Pechino. Dopo più di duemila anni dalla costruzione della Grande Muraglia vera e propria, il Great Firewall funge sostanzialmente allo stesso scopo: “protegge” la popolazione cinese dagli invasori stranieri, in questo caso i numerosi siti web occidentali pieni di informazioni su argomenti proibiti come la democrazia o la ribellione al sistema.

A causa del Great Firewall, quindi, in Cina sono inaccessibili servizi come Google, Facebook, Twitter, YouTube, Instagram, WhatsApp e PornHub (sì, è censurata anche la pornografia). Molte di queste piattaforme hanno corrispettivi cinesi simili (Baidu per Google, Weibo per Twitter, Youku per YouTube, WeChat per WhatsApp) perfettamente funzionanti in Cina perché i loro server si trovano sul territorio nazionale e sono più facilmente controllabili dal governo, che dunque consente loro di operare senza problemi.

Muraglia cinese fatta di postazioni di computer

Sempre nel 1996, per regolare il comportamento degli utenti su internet, viene varato un secondo provvedimento i cui riflessi orwelliani non sono affatto velati:

[…] Agli utenti è proibito utilizzare Internet per: creare, replicare, condividere o trasmettere informazioni che incitano alla resistenza nei confronti della Costituzione della Repubblica Popolare Cinese, delle leggi o dei regolamenti amministrativi; promuovere il rovesciamento del governo o del sistema socialista; minare l’unità nazionale; distorcere la verità, spargere voci infondate o destabilizzare l’ordine sociale […]

Dal 1998, come se non bastasse, la situazione peggiora ulteriormente. Inizia in quell’anno la pianificazione del “Golden Shield Project”, lo “Scudo Dorato”. Un nome eufemistico oggettivamente ben riuscito per descrivere un gigantesco sistema di sorveglianza di massa di tutti i cittadini.

Il Great Firewall – e quindi la sorveglianza di internet – è solo una parte del progetto Scudo Dorato, che comprende anche controlli sul traffico, sul crimine, sull’informazione, il riconoscimento del volto e della voce. Per questo vengono impiegati nel progetto dai 30.000 ai 50.000 funzionari governativi.

Nelle intenzioni del governo un controllo così soffocante e generalizzato dovrebbe portare i cittadini ad autocensurarsi per paura di ripercussioni legali. In effetti questo avviene con la maggior parte degli utenti, che vengono indotti a non criticare sui social le autorità locali o nazionali. Qualcuno però continua a farlo, incurante dei rischi. E quel qualcuno possono diventare milioni di persone, soprattutto in momenti di crisi in cui, a causa dell’ennesimo scandalo di corruzione o di malgoverno, la popolazione è particolarmente arrabbiata.

Per evitare che sui social monti la rabbia e che la gente si riversi in strada a manifestare, ecco che entra in gioco un altro strumento a disposizione del governo: il cosiddetto “Esercito dei 50 centesimi”. È chiamato così il nutrito gruppo di funzionari governativi che, a partire dal 2006 e fuori dal loro orario di lavoro, vengono pagati per inondare i social network con post patriottici e filogovernativi, distraendo le persone e spostando il focus della discussione. Spesso ci riescono grazie alla loro potenza di fuoco: le stime più affidabili dicono che ogni anno vengono pubblicati con questo metodo circa 450 milioni di commenti. E il dibattito sul web ne risente parecchio.

Inizialmente si pensava che questi commentatori online fossero ricompensati con 50 centesimi di renminbi per ogni post filogovernativo pubblicato – da qui il nome “Esercito dei 50 centesimi”. Alcune ricerche successive hanno evidenziato la mancanza di prove a supporto di questa tesi, ma il nome è rimasto in voga ed è diventato un insulto comune nei dibattiti online fra cinesi (“Sei un 50 centesimi” è simile al nostrano “Chi ti paga?!”).

Alla propaganda dell’Esercito dei 50 centesimi si affianca poi la vera e propria censura interna. Di solito i due reparti, propaganda e censura, agiscono in perfetta sincronia: l’Esercito dei 50 centesimi devia la discussione sui social pubblicando migliaia di post a favore del governo, mentre nel frattempo altre persone addette alla censura si occupano di rimuovere da internet tutti i contenuti considerati pericolosi. Possono farlo anche attraverso il blocco totale dei risultati per un determinato termine di ricerca o, in maniera più sottile, tramite l’accurata selezione dei risultati da mostrare.

Una schermata di Baidu, il Google cinese

È avvenuto esattamente questo durante il ventesimo anniversario della protesta di Piazza Tienanmen. Sono stati bloccati i risultati di ricerca per le parole “4 giugno” (giorno della protesta), “Uomo del carro armato” (lo studente divenuto il simbolo della rivolta”) e altri termini correlati. Questi termini sono spesso gli stessi che, se inseriti in un post sui social network cinesi, non ne permettono la pubblicazione, secondo un meccanismo di censura preventiva. In particolare sono off-limits i contenuti relativi alle tre T: Tibet, Taiwan e appunto Tienanmen.

Insomma: in Cina internet non solo non è libero, ma è pattugliato in maniera capillare e riempito di propaganda. E a moltissimi cinesi va bene così: secondo un sondaggio del 2012, l’89% di loro ritiene giusta la regolamentazione di internet e il 98% pensa che il governo debba sorvegliarlo per il bene della comunità. Esiste però anche una frazione minoritaria di utenza che contrasta la censura e si prende gioco degli sforzi del governo di controllare la rete. Ecco come se la ridono.

Xi Jinping alias Winnie the Pooh

Nel 2013 sui social cinesi è circolata moltissimo questa immagine. Da un lato ci sono Winnie the Pooh e Tigro (due personaggi del cartone “Winnie the Pooh” della Disney), dall’altro lato Xi Jinping (leader del Partito Comunista Cinese) e Barack Obama.

Due immagini a confronto: da un lato Winnie the Pooh e Tigro, dall'altro Xi Jinping e Barack Obama

L’immagine è una simpatica presa in giro nei confronti di Xi Jinping perché paragona la sua fisionomia a quella paffuta e tozza di Winnie the Pooh. I poliziotti informatici cinesi si sono affrettati a censurarla ovunque, ma ovviamente non è bastato: da lì in poi si sono moltiplicati i parallelismi satirici dello stesso tipo.

Nel 2014 per esempio una foto dell’incontro fra Xi Jinping e il primo ministro giapponese Shinzo Abe è stata accostata all’immagine di Winnie the Pooh e dell’asino Ih-Oh, diventando subito virale.

Due immagini a confronto: da un lato Ih-Oh e Winnie the Pooh, dall'altro Shinzo Abe e Xi Jinping

Nel 2015 invece è stata ridicolizzata la posa di Xi Jinping che spunta dal tetto di un’automobile per una parata militare. L’accostamento con la macchinina-giocattolo di Winnie the Pooh è azzeccatissimo, infatti l’immagine è stata la più censurata dell’anno in Cina.

Due immagini a confronto: da un lato Winnie the Pooh in macchina, dall'altro Xi Jinping anch'egli in automobile

Nonostante l’intenzione probabilmente bonaria dei creatori delle immagini, il fatto stesso che queste siano state rimosse da internet ha pian piano trasformato Winnie the Pooh in un simbolo di dissenso politico.

Ecco perché altre raffigurazioni dell’orsetto sono diventate virali la scorsa estate, quando si è diffusa la voce che il Partito Comunista Cinese volesse abolire il limite dei due mandati presidenziali e spianare così la strada al governo a vita di Xi Jinping (poi è successo davvero). Gli utenti cinesi sui social hanno reagito a questa ipotesi condividendo all’impazzata immagini come quella di Winnie con una corona in testa (un esplicito riferimento all’epoca imperiale) o di Winnie che abbraccia un enorme barattolo di miele, con la didascalia “Trova ciò che ami e tienitelo stretto”.

Due immagini: una con Winnie the Pooh che indossa una corona, l'altra con Winnie che abbraccia un grande barattolo di miele

Persino il dissidente politico Liu Xiaobo, arrestato per “idee sovversive”, poco prima di morire in ospedale ha posato per una foto assieme alla moglie in cui entrambi brindano con tazze di Winnie the Pooh. Un’ultima stoccata ironica e di gran classe indirizzata al governo autoritario di Pechino.

Animali fantastici e come inventarli

La guerra online tra governo censore e utenti che cercano di aggirarlo è in costante evoluzione. Se il governo continua a rendere ogni giorno più precise le intelligenze artificiali che censurano il materiale su internet, gli utenti rispondono sviluppando linguaggi in codice sempre nuovi che le intelligenze artificiali non sono in grado di comprendere. E lo fanno in due modi.

Innanzitutto si inventano espressioni fantasiose per riferirsi a parole sensibili. Prendiamo ad esempio il 4 giugno, giorno della protesta di Piazza Tienanmen: in rete è diventato il 35 maggio oppure il “Giorno della manutenzione di internet in Cina”, perché in quella data vengono oscurati ogni anno centinaia di siti e pagine di ricerca riguardanti Tienanmen con la scusa di essere “temporaneamente in manutenzione”.

Dall’altra parte gli utenti giocano sull’omofonia, ovvero la somiglianza tra le pronunce di due parole o frasi. I suoni dei nomi di alcuni animali fittizi vengono quindi utilizzati come lessico alternativo attorno al quale le persone hanno creato un vero e proprio universo di doppi sensi. Ecco i principali personaggi:

Il cavallo di fango ed erba

Cǎonímǎ” è la pronuncia della parola cinese traducibile con “cavallo di fango ed erba”. Il suono assomiglia molto a quello della frase “cào nǐ mā”, che si traduce in un insulto esplicito rivolto alla madre. L’espressione volgare verrebbe censurata dai filtri su internet, perciò gli utenti cinesi hanno trasformato il mitologico cavallo di fango ed erba (rappresentato spesso come alpaca) in un simbolo della libertà di espressione. Gli hanno persino composto un inno ufficiale, pieno di… ambiguità:

Il granchio di fiume

Héxiè” significa “granchio di fiume”. Anche stavolta la pronuncia è praticamente identica (cambia solo l’intonazione di una vocale) a quella di “héxié”, che si traduce con “armonizzazione”, ovvero censura. Le due parole vengono utilizzate anche sotto forma di verbi: quando si viene “armonizzati”, cioè censurati, si può anche dire di essere stati “mangiati dal granchio di fiume”. Inoltre spesso vengono evocate epiche battaglie tra il cavallo di fango ed erba e il granchio di fiume come metafora della lotta fra censura e libertà d’espressione:

Lotta fra lama e granchio

Lo sciacallo-veleno

Lo “sciacallo-veleno” (“dú chái”) è utilizzato come sinonimo di dittatura (“dú cái”). Questo animale mitico viene descritto come presente soprattutto in Cina, Cuba e Corea del Nord. Lo sciacallo-veleno è stretto alleato del granchio di fiume. Insieme danno la caccia al loro nemico più grande, il “maiale cinguettante” (“míng zhū”), ovvero la democrazia (“mín zú”).

Queste sono solo le più conosciute fra le numerose creature assurde inventate nel glossario del web cinese. Per chi fosse interessato ad approfondire la particolarissima mitologia internettiana, esiste una wiki apposita che racconta l’intero ecosistema.

Come uccidere il granchio di fiume

Il concetto di censura è radicato nella cultura cinese al punto che, come abbiamo visto, molti cittadini la considerano normale e legittima. Deng Xiaoping, per spiegare la sua teoria di apertura economica ma al contempo di controllo totale su ciò che entra in Cina (informazioni comprese), utilizzava uno dei suoi proverbi cinesi preferiti: “Se si apre la finestra per un po’ d’aria fresca, bisogna aspettarsi che entrino anche delle mosche”. Questa è l’esemplificazione massima di ciò che molti cinesi ritengono ci sia oltre i loro confini: le mosche.

Il problema è che forse non hanno mai dato un’occhiata “fuori dalla finestra”, neppure tramite internet. Anzi, il loro sistema di censura è così pervasivo che spesso gli utenti meno esperti non si rendono conto di navigare in un web pieno di restrizioni.

Quindi cosa si può fare per consentire agli utenti cinesi di accedere a tutti i siti censurati dal regime? La cosa più semplice è informarli dell’esistenza dei VPN (Virtual Private Network), ovvero software che consentono di mascherare la propria connessione internet fingendo di essere collegati da un altro paese del mondo a propria discrezione. Utilizzando un VPN è possibile scavalcare il Great Firewall, avendo quindi accesso a tutti i siti web normalmente visibili nel paese da cui ci si finge connessi.

Dal 2011 esiste un gruppo di attivisti anonimi che in Cina provano a fare esattamente questo: informare il più possibile la popolazione sui danni della censura e sui metodi più efficaci per bypassarla. Il gruppo si fa chiamare GreatFire e opera sotto forma di organizzazione senza scopo di lucro. Sul loro sito gli attivisti espongono i prodotti che hanno sviluppato per aggirare la censura su internet, fra cui un browser privo di filtri, un sito che confronta la velocità e l’affidabilità dei servizi VPN e un altro sito che copia in tutto e per tutto Weibo (il Twitter cinese) ma in più pubblica al suo interno molti post che nel vero Weibo vengono censurati.

Il lavoro di GreatFire è preziosissimo non solo per i cinesi che già conoscono la realtà della censura, ma soprattutto per quelli che finora hanno sempre creduto che internet in Cina fosse libero. Se volete contribuire alla battaglia per la libertà d’espressione, GreatFire accetta donazioni mensili attraverso il suo profilo su Patreon. È un’ottima occasione per uccidere il granchio di fiume. O, se preferite, per aprire la finestra e cambiare l’aria.

 

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Giovanni Barzon

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