
“È facile creare contenuti! Basta aprire un blog!” Iniziamo l’articolo che vuole sfatare il pregiudizio per cui creare contenuti sia semplice con un dato molto convincente: il 70% delle persone preferisce informarsi su un prodotto leggendo un contenuto piuttosto che attraverso la pubblicità tradizionale. I contenuti sono quelli che una persona legge o fruisce per piacere: vengono ricercati e non vengono “imposti”, arricchiscono l’utente perché sono rilevanti rispetto al suo interesse e sono approfonditi, godibili e di valore.
Per parlare di “come fare content marketing”, però, bisogna partire da molto più indietro (ancora prima dell’inbound marketing, che eppure vi deve essere chiaro cosa è). Prima di arrivare a spiegare perché i contenuti possono essere più efficaci di altre attività di comunicazione, però, dobbiamo innanzitutto spiegare cosa sono i contenuti. Ma ancora prima, in realtà, dovremmo partire dal perché: perché un’azienda dovrebbe realizzare una content strategy?
Cerchiamo di andare davvero nel profondo: le aziende dovrebbero fare content marketing perché devono comunicare in maniera distintiva i propri tratti valoriali al loro target di clienti o potenziali clienti attraverso uno o più canali secondo una strategia editoriale definita. Quindi, abbiamo individuato le prime quattro parole di riferimento: valori, target, canali, strategia.
Prima di pensare alla comunicazione aziendale: valori, target, canali e strategia
Valori
I valori sono unici e tipici di una sola azienda. Individuarli è il primo basso per costruire una strategia di content marketing o di corporate storytelling.
I valori devono essere distintivi e specifici: dei valori “generici” come “abbiamo una grande storia” o “siamo innovativi” non dicono niente, dovete dire di più, ad esempio “abbiamo un grande expertise nel trattare le olive prima della raccolta e un grande radicamento nel territorio”, se ad esempio siete il Consorzio di Olio del Garda DOP.
Target
La propria offerta aziendale è studiata per risolvere le particolari esigenze di un particolare target di mercato. Il vostro target di marketing è quello a cui l’azienda rivolge la propria offerta commerciale, mentre il target di comunicazione è quello a cui l’azienda si rivolge con mirate attività di comunicazione destinata a raggiungere un determinato obiettivo, ad esempio “diventare il prodotto di riferimento in ambito regionale nella categoria degli olii extra-vergine di oliva”.
Canali
Non si fa content marketing solo sul blog o solo sui social media. Deve esserci un modo di comunicare uniforme su tutti i canali a disposizione, coerentemente con il target e con la propria presenza online: canali proprietari – owned media (sito e blog), canali guadagnati – earned media (social media, canali offsite acquisiti attraverso attività di digital PR), canali acquistati – paid media (pubblicità online come Google AdWords, Display advertising, native advertising, ecc.).
Strategia
La creazione e la condivisione di contenuti deve essere guidata da una strategia chiara, che preveda azioni di comunicazione specifiche, pianificazione e timing all’interno dei canali giusti, coerentemente con la strategia di comunicazione aziendale (la quale a sua volta deve essere coerente con il posizionamento della marca, scelta derivata da una coerenza di fondo con la strategia di marketing, che discende dalla strategia di business, e così via…). Chiaro? Ecco un esempio per facilitare la comprensione: se siete Barilla, con un preciso posizionamento di marca per cui “Barilla produce la pasta preferita dalle famiglie italiane” non potete essere sponsor di un evento di musica rock, forse è meglio se siete sponsor di un’Accademia di cucina o di un programma tv culinario.
La narrazione di marca e il brand management
Ma torniamo alla narrazione di marca e a quello che Paolo Iabichino e Stefano Gnasso hanno chiamato “marketing esistenziale”. Ecco alcuni punti chiave da mettere in atto, se si vuole iniziare a fare content marketing (ma in un certo senso, anche branding):
- Tutte le aziende hanno una storia da raccontare: estrarre i valori del brand e iniziare a fare storytelling su questi.
- Individuare una nicchia di mercato e inserirsi in essa risolvendo in modo originali i problemi percepiti di un particolare tipo di target.
- Avere chiaro il proprio posizionamento di mercato e in cosa ci si differenzia rispetto alla concorrenza.
- Stilare le proprie linee guida di brand management: dotarsi, cioè, di un’identità di marca distintiva a partire da alcuni caratteri di base quali: chiarezza della mission e della proposta di valore, messaggi chiave, logo, colori, ecc.
- Scegliere un tono di voce coerente con i propri valori e con il proprio target e comunicare su tutti i canali scelti rispettando il tono di voce prescelto.
Bottom line: pensate alla vostra storia, e raccontatela.
Quindi, cos’è il content marketing?
Joe Pulizzi è uno dei maggiori esperti mondiali di content marketing: più nello specifico, si può dire che lo abbia inventato. Sia chiaro: Joe Pulizzi (e il suo Content Marketing Institute) non ha inventato il content marketing, ma ha racchiuso le attività di creazione e diffusione di contenuti digitali sotto la keyword “content marketing”. Proprio come è avvenuto per Hubspot con la creazione della keyword “inbound marketing” (a cui il content marketing si collega, ma ci torneremo dopo). Il content marketing – questo (s)conosciuto è infatti sempre esistito, e riguarda ogni attività di comunicazione aziendale (e non solo: può essere anche di un ente pubblico, di un’organizzazione non-profit, di un personal brand, ecc.) che si basa su una storia da raccontare per risuonare con il proprio target di riferimento in relazione a determinati obiettivi di marketing.
In realtà, però, il content marketing – data la sua natura – è più adatta al raggiungimento di obiettivi legati alle prime fasi del customer journey, cioè:
- Brand awareness: attività di content marketing destinate a persone che non sono ancora a conoscenza del brand, con l’obiettivo quindi di rendere consapevole un determinato target di potenziali clienti sulle caratteristiche e i valori del brand stesso.
- Brand consideration: attività di content marketing rivolte a persone che sono già a conoscenza della marca, e stanno considerando l’acquisto di un particolare prodotto o servizio tra un ventaglio di proposte coerenti con le proprie intenzioni di acquisto.
L’utilità del content marketing, però, sta nel potersi inserire anche in fasi successive del customer journey. Il percorso decisionale verso l’acquisto, infatti, a causa del digitale è sempre più frammentato, e i consumatori possono essere influenzati in qualsiasi fase del loro percorso da una determinata attività di comunicazione e di engagement del brand.
I contenuti sono cruciali in tutto questo, perché rappresentano la modalità secondo la quale gli utenti, nei canali digitali, si approcciano nei confronti di qualsiasi prodotto o servizio.
Una content strategy a 360°: il content marketing nel digital
Infatti, esistono diverse modalità per permettere agli utenti a cui può interessare un determinato prodotto di “atterrare” su una pagina di un sito internet:
Traffico organico: SEO e content on-site
L’utente esprime un’intenzione digitando una “query” (una domanda che esprime l’intenzione, spesso formata da una o più “parole chiave”) su un motore di ricerca (in Italia, questo è 9 volte su 10 Google). L’azienda deve quindi ottimizzare le pagine del proprio sito secondo le best practice della SEO per riuscire a posizionarsi nei primi risultati della SERP (la pagina dei risultati nei motori di ricerca, quella che appare dopo avere digitato una query su Google) relativamente a determinate parole chiave rilevanti per il proprio business. In questo caso i contenuti possono aiutare perché permettono di lavorare su un maggior ventaglio di parole chiave correlate rispetto all’intenzione di ricerca dell’utente. In più, l’utente non cerca direttamente le parole chiave di prodotto, ma delle parole chiave che si avvicinano ai micro-momenti che sta attraversando in quella specifica fase. Secondo Google, i micro-momenti sono quattro:
- I-want-to-know: momenti in cui gli utenti ricercano informazioni specifiche inerenti un’infinita varietà di argomenti e prodotti
- I-want-to-go: momenti in cui gli utenti si informano su dove andare e quando, per un’attività o per trovare un particolare prodotto
- I-want-to-buy: momenti in cui le persone fanno ricerche su acquisti, opinioni, recensioni, fatti, offerte, informazioni comparative in merito a prodotti e servizi (anche se si trovano già in negozio)
- I-want-to-do: momenti in cui gli utenti ricercano informazioni della tipologia “How-to” relativi a qualsiasi varietà di attività, come ad esempio le riparazioni di casa, l’installazione di un software o la realizzazione di un oggetto.
Inserirsi in questi momenti non solo con delle risposte specifiche al bisogno espresso dall’utente ma anche con dei contenuti è sicuramente la strategia vincente per essere davvero rilevanti per un utente che vuole risolvere un suo problema.
Traffico social: strategia social e Facebook Instant Articles
In origine solo delle piattaforme conversazionali tra amici, dopo anni di maturità ormai i social media rappresentano dei veri e propri canali di acquisizione di nuovo business. La moneta di scambio all’interno dei social media è costituita soprattutto dai contenuti, e pertanto è necessario avere una presenza al loro interno coerente con le aspettative degli utenti. I post sponsorizzati (che prevedono davvero moltissimi formati) sono ormai ampiamente ammessi dagli utenti, ma questi si devono comunque conformare a delle particolari caratteristiche:
- Devono essere nativi, assumendo cioè lo stesso formato dei contenuti organicamente condivisi nella piattaforma
- Devono essere chiaramente distinti dai post “organici” con una chiara etichetta, solitamente contrassegnata come “sponsorizzato”
- Devono avere chiari obiettivi di coinvolgimento o azione dell’utente (iscrizione, registrazione, visita al sito web, ecc.)
Ciò che è nuovo soprattutto dal 2015 è che i social network (specie Facebook) sono diventati anche un fondamentale canale per la diffusione dei contenuti di un editore o di un’azienda, tanto da portare Facebook a implementare i Facebook Instant Articles, dei link speciali che permettono la fruizione di un contenuto esterno alla piattaforma (tipicamente, un contenuto editoriale di un sito di news o di un blog) in maniera istantanea all’interno di Facebook. Questa novità ha portato i canali social ad avere sempre maggiore rilevanza nella quota di “traffico” che portano verso i contenuti editoriali di un sito.
Traffico referral: Digital PR e SEO off-site
Una delle classiche strategie di diffusione di un contenuto (soprattutto nel mondo offline) è la strategia di public relations attraverso invio di comunicati stampa e condivisione di determinati contenuti con gli opinion leader, gli influencer e la stampa. Tutto questo, nel mondo digitale, è diventata quella attività che viene chiamata digital PR: in ottica di SEO off-site, si tratta di diffondere un contenuto presso siti con un pubblico a target con l’obiettivo di acquisire dei link che puntino al sito dell’azienda o dell’editore. Questa pratica, che nelle pratiche SEO fino a poco tempo fa veniva chiamata “link building”, è un fattore di posizionamento importantissimo su Google, che rileva i segnali di collegamento tra domini autorevoli e a tema con il sito a cui puntano i link di cui si vuole aumentare il posizionamento.
Traffico a pagamento: display advertising e native advertising
Uno dei modi più rapidi e meno costosi nel breve termine per portare traffico verso una pagina web è pagare per la pubblicazione di un contenuto in un determinato spazio editoriale o sito web con una audience ampia e/o mirata. Per obiettivi più commerciali ha sempre funzionato (e tuttora funziona, nonostante la grande crisi in cui imperversa, per non parlare dell’ad blocking) la display advertising (o pubblicità tabellare, nel formato dei banner), ma per i contenuti è più indicato il native advertising, che consente di creare traffico a pagamento attraverso la creazione e diffusione di contenuti editoriali di alta qualità. Il native advertising permette forme molto evolute di storytelling, inseriti in spazi editoriali coerenti con il tono di voce e il target sia della testata editoriale stessa che dell’azienda che promuove il contenuto.
(Se volete approfondire il native advertising, vi rimando al punto #4 del mio articolo sulla digital experience nel 2016, in attesa di pubblicare la mia tesi 😀)
Bottom line: se pensate che basti aprire un blog e lasciarlo là e il content marketing si faccia da solo, vi sbagliate di grosso.
Misurare i risultati della content strategy
Oltre a non poter lasciare a se stessi i contenuti creati per il vostro brand, è necessario anche misurarne il successo, giustificare in quale fase del customer journey possono avere un apporto misurabile e concreto, e in definitiva capire quanto hanno aumentato il ROI delle vostre attività di content marketing.
Per quanto possiate pensare che i numeri importanti siano i like sulle vostre pagine Facebook o quanto il vostro contenuto sia diventato presumibilmente “virale”, queste vanity metrics non vi servono a niente: in realtà ciò che importa nel bilancio da chiudere a fine anno sono gli indicatori di performance economico-finanziaria, e di conseguenza la variazione relativa di fatturato rispetto all’esercizio precedente ottimizzando gli investimenti provenienti da un particolare canale.
Tuttavia, rimanendo nell’ambito del marketing, i KPI (key performance indicators) del content marketing sono soprattutto il numero di lead generate, il numero di link ottenuti e il totale di condivisioni sui social media ottenute, secondo uno studio di Fractl e Moz.
Bottom line: se credete che vi basti creare il contenuto e che poi questo abbia vita propria senza necessità di misurarne il ROI, vi sbagliate di grosso.
Come sarà il content marketing nel 2017?
È difficile prevedere come sarà una disciplina che tra il 2015 e il 2016 è esplosa in tutto il mondo, diventando in molti casi una di quelle tipiche “buzzword” per cui tutte le aziende dicevano “il content marketing è il futuro! Dobbiamo iniziare a creare contenuti! Apriamo un blog!”. Per fortuna, però, un utile articolo del Content Marketing Institute (qui nella versione originale: “How Content Marketing evolved in six years”) ha raccolto le testimonianze degli addetti al settore per sapere come e quanto il content marketing sia evoluto da quando è “nato”, nel 2010, e cosa si prevede per il suo futuro. Ecco i key points:
I brand sono diventati delle media companies
Il cambiamento più grande è che le aziende hanno iniziato a riconoscere il valore dei contenuti (e di una content strategy). Nel frattempo, i media tradizionali non si sono ripresi da una crisi che era già iniziata, e i brand hanno ora accesso agli stessi metodi di distribuzione delle media companies. Quindi i brand possono competere con BuzzFeed e The New York Times: sono diventati a tutti gli effetti delle media companies.
Il content marketing ha dimostrato la sua efficacia
“Content marketing” era partita come una buzzword, e molti hanno iniziato a farlo perché era “la nuova cosa figa da fare”: adesso, con il testing si è scoperto quali contenuti funzionano e quali no. I contenuti si possono tracciare e misurare, e possono portare benefici nella massimizzazione del ROI in diverse aree aziendali.
Il content marketing è diventato un modello di business
Da mera tattica di marketing il content marketing ha mutato il modo in cui viene percepito dalle aziende. Ora i contenuti spingono la crescita aziendale, portano valore e fatturato che è distinto da quello proveniente dall’offerta aziendale.
Con il content marketing le aziende possono raccontare la propria storia
Dopo lo studio di riferimento di Google sullo zero moment of truth del 2011, i brand hanno capito che possono aspettare che a raccontare la propria storia siano gli altri oppure oppure fare in modo che la raccontino gli utenti, ma molti hanno scelto di usare il content marketing per raccontare davvero la propria storia, individuando la propria nicchia e utilizzando i canali più adeguati.
I contenuti devono avere la giusta qualità
Agli inizi del content marketing, se non si pubblicava un post sul blog almeno una volta al giorno, si era destinati a scomparire. Ora le priorità sono cambiate, e i contenuti devono essere rilevanti: devono parlare a una buyer persona specifica, e devono essere in linea con le intenzioni di queste.
I tool non bastano, serve la creatività
Il marketing è sempre di più giornalismo, design, psicologia e storytelling. L’industria del marketing ha realizzato che i processi e gli strumenti possono portare le aziende fino a un certo punto; ma per andare davvero oltre serve la creatività.
Il content marketing è un fattore di posizionamento per la SEO
Con la continua evoluzione degli algoritmi di Google, che danno sempre più rilevanza alla user experience, i contenuti sono diventati sempre più centrali nel search marketing per catturare le intenzioni degli utenti e portarli alla conversione.
Il futuro è rappresentato dai video
Per quanto molti prediligano i contenuti nella forma di “testo”, per arrivare davvero a raggiungere un’audience ampia bisogna ricordarsi che i tre quarti dell’umanità sono “visual learners”. Le informazioni trasmesse via video sono più facilmente memorizzabili. Non bastano i video su Youtube poi incorporati nel vostro sito web, ma dovete pensare a una specifica video strategy adatta a Snapchat, Facebook e i live video streaming.
E se non vi fidate, leggetevi l’articolo sul video marketing, tra televisione e digitale.
Se volete usare il testo, non preoccupatevi di andare lunghi
Ok, avete comunque scelto di puntare su una strategia editoriale basata sui contenuti scritti. Per fare in modo di creare davvero contenuti rilevanti, però, dovete usare i long form: 500 parole non bastano più oggigiorno. Per essere davvero informativi e creare un potenziale di interesse, aumentate la vostra reputazione cercando di essere il più autorevoli possibili nella vostra nicchia. E andate in profondità: dovete essere il punto di riferimento per il vostro particolare target.
Sponsorizzate i vostri contenuti
Sì, può funzionare l’influencer marketing. Però il miglior ROI è generato dalla sponsorizzazione dei contenuti sulle piattaforme giuste al momento giusto all’audience giusto (qualcuno ha detto native advertising?)
Bottom line: il content marketing esiste da sempre, e i contenuti sono alla base di ogni storia di brand o di prodotto e di ogni attività comunicazione. Bisogna sapere riconoscere le evoluzioni del mercato per capire come sfruttare nuove attività di comunicazione digitale. Se l’altro ieri i contenuti erano solo testo e ieri erano testo e immagini, oggi e domani saranno soprattutto video, per non parlare di quello che si potrà fare con la realtà virtuale (ma per ora fermiamoci ai trend del content marketing nel 2017).
Ecco, adesso avete capito che per fare content marketing non basta avere un blog? Di certo, il blog può essere una buona base di partenza per iniziare a raccontare i propri valori e per capire cosa è davvero rilevante per il proprio target audience, ma in seguito bisognerà tarare la strategia di content marketing rispetto alle risposte degli utenti di riferimento, all’evoluzione dell’ambiente di mercato e agli obiettivi di marketing in senso più ampio. Perché alla fine, i vostri contenuti devono aiutarvi a vendere. Lo diceva anche il padre dell’advertising, dopo tutto:
In the modern world of business, it is useless to be a creative, original thinker unless you can also sell what you create.
Fonte dell’immagine di copertina: sito ufficiale Michelin.