
Non si viaggia solo per piacere, non ci si sposta sempre volontariamente: Il progetto Open Homes di Airbnb, nato nel 2012 durante l’uragano Sandy a New York, offre un alloggio gratuito a chi è costretto a spostarsi per motivi molto diversi dal piacere di muoversi. Ecco come Airbnb è riuscito a creare un network di solidarietà che risolva temporaneamente l’emergenza abitativa di alcune persone, ed ecco perché il progetto è buono, ma non assolve Airbnb verso l’emergenza abitativa che sta contribuendo a creare.
L’Internet dei dati e delle cose ha presupposto la connettività delle persone, ed è sul valore di legame tra gli individui che sono nate le grandi aziende degli ultimi dieci anni. Si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di aziende che non possiedono fisicamente nulla di ciò che vendono: è il caso, tra le altre, di Airbnb, la piattaforma che fa incontrare chi offre temporaneamente un alloggio con chi è in cerca di una stanza o di un’intera abitazione.
Rivoluzionando l’idea dell’ospitalità e dell’accoglienza turistica, con il tempo Airbnb ha svuotato gli alberghi di mezzo mondo proponendo un’offerta sempre più ampia, in cui si passa dall’esperienza di lusso, al turismo business, al più banale dei subaffitti nella maggior parte dei casi.
Ma non si ci si sposta solo per piacere o comunque per scelta: le sfide degli ultimi anni ci portano a contrapporre a una versione patinata del “movimento” l’esperienza di chi è costretto ad andare via per cause politiche e naturali, o per altre gravi problematiche.
Cos’è Open Homes e come funziona
Il progetto di Airbnb permette agli host di mettere a disposizione a titolo gratuito il proprio alloggio, per un tempo variabile; Airbnb, dal canto suo, rinuncia ai costi del servizio e fa da agglomeratore di domanda e offerta in casi di emergenza.È proprio un’emergenza che ha dato il via a Open Homes: nel 2012, dopo che l’uragano Sandy colpì New York, gli host si offersero di aiutare i vicini che erano stati costretti a evacuare le proprie abitazioni.
A partire da quel momento, il progetto è stato fatto proprio da Airbnb ed è stato applicato non solo alle emergenze e ai disastri naturali, ma anche a supporto di altri tipi di spostamento “obbligato”, collaborando con molte associazioni ed enti umanitari facenti capo a diversi ambiti di azione.
Soccorso in caso di catastrofe
Nato in risposta all’uragano Sandy, Open Homes ha come primo obiettivo il supporto a chi ha bisogno di un alloggio temporaneo quando si verificano delle catastrofi. A seguito di una calamità naturale c’è un arco di tempo limitato in cui è possibile richiedere oppure offrire un alloggio, se si possiede una casa o una stanza in alcune aree specifiche.
Coloro che potrebbero aver bisogno di una stanza sono in questo caso non solo gli abitanti delle zone colpite dalla calamità, ma anche le persone impegnate nei soccorsi. Si tratta di un’azione portata avanti ripetutamente in caso di emergenza: l’esempio più recente ha riguardato l’uragano Dorian, ma i casi sono tanti, come ad esempio il terremoto che nel 2016 ha colpito il Centro Italia.
Soggiorni per motivi medici
Molte persone viaggiano perchè hanno bisogno di cure mediche, oppure necessitano di un posto dove terminare la convalescenza a seguito di un intervento. In questi casi pagare una stanza o una casa può rappresentare un costo proibitivo, che si aggiunge a quello delle cure necessarie.
Insieme ad associazioni di volontariato che si occupano di sostegno ai malati, è possibile mettere a disposizione la propria stanza o abitazione per ospitare i degenti o i familiari che vogliono stare loro vicino.
Sistemazioni per rifugiati
L’ultima opzione che offre Open Homes di Airbnb è dedicata ai rifugiati, che hanno ricevuto o sono in attesa del diritto d’asilo. In questo caso l’ospitalità gratuita è finalizzata a far sì che i rifugiati riescano a integrarsi bene nelle comunità in cui vivranno, in attesa di avere abbastanza denaro da affittare una casa o una stanza.
Una lodevole iniziativa di marketing?
Open Homes di Airbnb è un progetto indiscutibilmente lodevole, che riporta in evidenza la centralità dell’abitazione non solo come elemento da mettere a rendita, ma come diritto ad avere un tetto sopra la testa.
Dall’altra parte, però, questa iniziativa di responsabilità sociale appare anche come un’azione totalmente slegata dal modus operandi di Airbnb: la piattaforma che permette di affittare la propria casa, affidando al privato la dichiarazione dei proventi nel proprio Paese e scrollandosi ogni responsabilità fiscale, ha generato soprattutto nelle grandi città un’emergenza abitativa per gli affitti a lungo termine.
L’iniziativa è senz’altro da lodare, su questo non ci piove; ci sentiamo tuttavia di aggiungere altre categorie di persone che avrebbero bisogno di un’abitazione, e che spesso non riescono a trovarla proprio a causa del sistema Airbnb:
- gli studenti universitari fuorisede, che vogliono andare a studiare in una grande città e sono costretti a spendere cifre improponibili per una stanzetta, magari condivisa;
- i lavoratori, che spesso spendono più della metà del loro stipendio per pagare un affitto;
- chiunque cerchi una soluzione abitativa a lungo termine in una città a vocazione turistica, in cui la gentrificazione incalza e non esiste una vera e propria regolamentazione del sistema degli affitti brevi.