
Digital transformation, omnicanalità, big data… sono parole che nel nostro mondo e nel nostro tempo sono sempre più presenti e con un significato sempre più importante. Ma che cosa significano nella pratica della realtà aziendale? Come si traducono in consigli utili all’azione e alle decisioni di tutti i giorni?
La workability, dopo l’introduzione del digitale, non può prescindere da una conoscenza dei dati e di come cambiano gli approcci dei Clienti nei confronti dell’azienda, sia nel B2B che nel B2C, dove l’applicazione della digital transformation permette una nuova esperienzialità nel retail indissolubilmente legata all’omnicanalità.
Di questi argomenti ne abbiamo parlato con Lucio Vesentini, Global Head of Consumer Insight Manager per Pirelli, e non solo… C’è anche “one more thing” che Lucio ci ha consigliato alla fine dell’intervista.
Ciao Lucio! Grazie di aver accettato l’invito e benvenuto su This MARKETERs Life. Per chi non ti conosce, due parole su chi sei e che cosa fai.
Ciao Emanuele, grazie a te dell’invito e a This MARKETERs Life per ospitarci. Sono Lucio Vesentini, ho 37 anni, mi sono laureato in Trade Marketing e Strategie Commerciali all’Università di Parma nel 2008 e da subito sono entrato in Pirelli come stagista per poi crescere internamente attraverso ruoli ad importanza crescente: da responsabile Digital Marketing della Business Unit Moto fino a Global Brand Manager per il marchio Metzeler. Nel 2017 ho assunto il ruolo di Digital Marketing Program Manager con l’obiettivo di guidare la Digital Marketing Transformation e costruire un team di esperti all’interno delle consociate estere mentre da Marzo 2019 ho la responsabilità di Consumer Insight Manager a livello globale.
In questo recente ruolo mi occupo di portare all’interno dell’azienda le percezioni di chi utilizza pneumatici su tematiche che vanno da aspetti di prodotto a trend di mercato o interessi, in modo da dare stimoli sia per azioni tattiche di breve periodo che strategiche di medio-lungo.
Oltre alla vita aziendale da un paio d’anni insegno Omnichannel Marketing nel Master Post-Lauream in Marketing & Digital Communication Strategy presso la Aforisma Business School di Lecce e sono co-fondatore di De-LAB Società Benefit, un’agenzia di progettazione sociale specializzata nell’innovazione sociale, nella comunicazione Purpose-driven e nel business inclusivo.
Uno dei temi cardine della discussione oggi è quello dei big data e dei consumer insights, che sono di fatto il risultato della combinazione tra centralità totale del cliente e sfruttamento della tecnologia. Per un’azienda B2C lo sfruttamento è di grande aiuto, ma come li sfruttate e che vantaggio possono avere in una realtà B2B come Pirelli? E come ricavate dal dato grezzo delle informazioni utili al vostro business?
Per dare una breve introduzione di Pirelli, parliamo di un’azienda nata nel 1872 a Milano e oggi produttrice di pneumatici Consumer (automobili, ciclomotori e biciclette) con particolare focus sui prodotti High Value. Con 19 fabbriche in 12 Paesi e una presenza commerciale in oltre 160, Pirelli ha circa 31.600 dipendenti e un fatturato nel 2019 pari a circa 5.3 miliardi di euro.
La vendita, come ricordavi, è B2B, anche perché il prodotto necessita (soprattutto nel comparto auto) dell’intermediazione di uno specialista per il montaggio, ma parliamo sempre di prodotti che devono prima di tutto soddisfare i bisogni di chi poi dovrà effettivamente utilizzarli. La tecnologia negli ultimi anni ha senza dubbio aiutato una strategia legata alla conoscenza e al coinvolgimento del consumatore, che in Pirelli avevamo già in azione da tempo: la possibilità di conoscere il percepito del consumatore attraverso ricerche di mercato, l’analisi delle recensioni sul web e il coinvolgimento di chi è all’interno dei nostri database CRM ci permette di avere sempre più dati a disposizione da analizzare.
Queste possibilità, unite allo sviluppo crescente di pneumatici ad alta tecnologia che permetteranno di comunicare sempre più informazioni sia all’auto che al conducente, ci aiuteranno a mettere sul mercato prodotti che rispecchieranno sempre meglio le esigenze di chi dovrà sostituire gli pneumatici della propria auto, moto, o bicicletta.
Ci hai detto insegni Omnichannel Marketing ad AFORISMA. L’omnicanalità è un altro tema acceso, soprattutto nel retail e soprattutto post-Covid. Già aziende come Diesel con il progetto Moon e il Gruppo Calzedonia con il suo scaffale infinito hanno aperto la strada in Italia e la seamless customer journey è già una realtà. Ci spieghi, secondo te, quali sono le sfide che l’implementazione di progetti omnicanale porta con sé e quali sono i grandi vantaggi per le aziende?
Sì, un paio d’anni fa Riccardo Guggiola, amico e uno tra i maggiori esperti di Programmatic Advertising in Italia, mi ha chiesto di entrare a far parte del team docenti di Aforisma, la più grande School of Management privata e indipendente del Sud Italia con sede a Lecce, dove appunto mi occupo di insegnare Marketing Omnicanale.
L’Omnichannel, o omnicanalità, vale la pena ricordarlo, si riferisce alla capacità di un’azienda di gestire in modo sinergico i canali di comunicazione (fisici e digitali) e di tutti i touchpoint con il consumatore in modo da offrire un’esperienza con il brand che sia appunto “seamless”, senza soluzione di continuità: permettere quindi ai consumatori di cercare, acquistare, interagire con il brand attraverso tutti i canali in contemporanea e senza interruzioni nella customer experience.
Molte aziende nel tempo hanno sviluppato interessanti progetti multicanale, ma l’omnicanalità richiede un passo in più e purtroppo non è un’attività che si attiva con un pulsante dall’oggi al domani. È necessario ripensare la struttura organizzativa in un’ottica integrata con l’abbattimento di strutture a silos, il coinvolgimento e il coordinamento di molti dipartimenti, garantendosi inoltre un forte commitment da parte dei vertici aziendali. Sostanzialmente va rimodulata l’intera cultura aziendale in questa direzione. Per fare un paragone, l’omnicanalità è come la sostenibilità, funziona solo se integrata e radicata nella strategia d’impresa.
I risultati della ricerca annuale dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience del Politecnico di Milano evidenziavano lo scorso anno che le barriere alla trasformazione omnicanale sono legate al tipo di organizzazione che in Italia è prevalentemente orientata al prodotto piuttosto che calibrata sulle esigenze del consumatore: mancano spesso le competenze interne ma anche investimenti tecnologici adeguati ad assicurarsi ad esempio la raccolta centralizzata dei dati, che sta alla base della struttura necessaria all’integrazione e all’analisi per arrivare a poter prendere decisioni data-driven.
Per parlare di vantaggi, molti studi riportano che, se come azienda sei in grado di offrire un’esperienza in cui sia il consumatore a scegliere il canale d’acquisto, in un ecosistema nel quale l’offline spinge l’online e viceversa, avrai uno scontrino medio più alto.
Inoltre, riuscirai a garantire una maggiore fedeltà al marchio e a costruire un rapporto così solido da poter contare su dei brand ambassador che in alcuni casi arriveranno anche a crescere fino a diventare micro influencer, strategici in alcuni settori.
Sempre parlando di omnicanalità ed esperienza digitale, come pensi che sia cambiata la customer journey e di conseguenza anche il funnel di vendita? I canali digitali hanno infatti introdotto recensioni, ricerche di prodotto, confronti e quant’altro. Come secondo te questo ha cambiato il comportamento dei consumatori?
I canali digitali hanno senza dubbio dato il via ad un cambiamento che ha rivoluzionato tutto il mondo dei consumi: dal modo di cercare ciò di cui si ha bisogno al modo in cui acquistare prodotti e servizi ma anche lato azienda dalla proposta dell’offerta ai messaggi promozionali. Un ulteriore passo in avanti l’hanno poi fatto fare la diffusione degli smartphone, la possibilità di essere sempre connessi, i social media e le nuove modalità di pagamento utilizzando strumenti sempre più innovativi.
A questo, infine, si è aggiunto il mondo dei tool comparativi ma soprattutto quello delle recensioni: ci sono molti studi a riguardo, con dati molto simili. Per sintetizzare potremmo dire che la grande maggioranza di chi acquista online non finalizza la transazione senza aver prima verificato le opinioni su quel prodotto o servizio, in particolar modo se si tratta di qualcosa di costoso. Inoltre, non è solamente importante avere recensioni positive sopra i 4/5 per essere scelti (gli esperti dicono che i bestseller abbiano valori tra 4.2 e 4.7) ma è importante verificare anche quelle negative, perché molti consumatori controllano le valutazioni molto basse.
Il comportamento del consumatore è, quindi, decisamente cambiato negli ultimi vent’anni: da un consumatore passivo e offline siamo passati a quello – per dirla con Luciano Floridi – onlife, cioè un utente iperconnesso, che vive in continuità tra online e offline, e che è in grado di indirizzare le aziende mostrando in modo sempre più attivo le necessità e le tendenze da seguire.
In quest’ottica il ruolo delle ricerche di mercato è sempre più centrale all’interno dei dipartimenti marketing: conoscere il consumatore, vedere i trend, capire come l’azienda si può inserire per soddisfare questi bisogni e guidare di conseguenza gli altri dipartimenti ad offrire prodotti e servizi che troveranno domanda sul mercato è diventato chiave nei processi interni.
Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato. Prima di lasciarci, hai qualche consiglio da lasciare per dei giovani che vogliono farsi strada nel mondo aziendale? Quali caratteristiche aziende come la tua ricercano nelle giovani figure e cosa tu ritieni fondamentale per un giovane per “stand out” rispetto alla concorrenza?
In una fase complessa come questa, caratterizzata da molte variabili in continuo divenire, dare consigli diventa ancora più difficile ma, per utilizzare delle dinamiche simili a quelle che definiscono la brand equity e la capacità di essere scelto dal consumatore, potrei suggerire di prepararsi molto e non smettere mai di farlo, magari specializzandosi in un segmento. Poi, se possibile, crearsi un ruolo e un network in modo da risultare rilevanti per le aziende, puntando ad essere la risposta al loro bisogno.
Infine, un aspetto per me importante è chiedersi sempre cosa ci guadagni l’azienda dall’averti tra i suoi collaboratori: su questo aspetto possono entrare in gioco competenze diverse, come quelle di innovazione legata a nuove tecnologie o nuovi processi. Soltanto così avremo fondamenta solide per essere pronti a rispondere alla domanda “perché dovrei scegliere te e non un altro?”.
Che cosa ci portiamo a casa quindi da questo confronto con Lucio Vesentini? Proviamo a sintetizzare qualche punto:
- Bisogna conoscere il consumatore: attraverso lo studio dei suoi comportamenti, dei suoi dati di consumo, delle tendenze di mercato e dei trend. Nel tempo digitale è importantissimo sfruttare tutti i mezzi di informazione che possiamo ricavare per essere il first in mind del nostro Cliente, se non lo facciamo il nostro competitor non ricambierà certo il favore.
- Omnichannel, omnichannel e ancora omnichannel: il nostro Cliente non è nostro Cliente solo quando entra nel nostro negozio/sito, è nostro Cliente sempre. Online e offline. Quando pondera l’acquisto e quando beve un americano il venerdì sera. Ed è sempre più connesso su diverse piattaforme e diversi touchpoint. Di nuovo l’azienda deve essere presente sempre e presidiare ogni possibile punto di contatto con il Cliente.
- Trattare noi stessi come un brand: per condurre con successo la nostra vita professionale è opportuno applicare le stesse logiche che come professionisti applichiamo ai nostri Clienti: capire come poter essere rilevanti e indispensabili. Nel caso della professione si può esserlo essendo sempre preparati e sul pezzo, senza perdere mai un colpo. In una parola, essere un asset per l’azienda per cui si lavora.