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Disruptive innovation: cos’è e perché è così spesso associata alle startup

da 8 Novembre 2016Giugno 21st, 2017Nessun commento
Disruptive innovation

Innovazione: è diventato ormai un termine molto usato, potremmo dire quasi inflazionato. Si sente dire ovunque che bisogna innovare per rimanere al passo con i tempi, per avere un vantaggio competitivo, per soddisfare sempre più i bisogni dei consumatori. Un termine strettamente correlato ma che viene usato molto meno è disruptive innovation: molto spesso associato a startup, sapete di cosa si tratta?

Tradotto letteralmente si tratta di quel tipo di innovazioni che sono “devastanti”, “distruttive”: cambiano radicalmente il modo in cui i consumatori sono abituati ad usare i prodotti e servizi o delineano nuove modalità in cui le aziende si trovano a concorrere. In pratica, sono quelle innovazioni che portano dei cambiamenti che rivoluzionano un intero ecosistema.

Se vi fermate a pensarci un attimo vi renderete conto che gran parte delle vostre abitudini arrivano proprio da innovazioni “disruptive”: tutte, o quasi, sono dovute al fenomeno della digital transformation. Questo tipo di innovazioni è sempre esistito ma con la diffusione del digitale, infatti, tutto diventa più dinamico e più veloce: un settore può cambiare radicalmente nel giro di qualche anno.

Pensate a Google, Whatsapp, Facebook, Snapchat: aziende che hanno cambiato il nostro modo di comunicare e il modo in cui le altre aziende comunicano con noi. Per non parlare poi di Ryanair o Easyjet, Airbnb, Uber, BlaBlaCar, Flixbus che con i loro nuovi business model hanno rivoluzionato il nostro modo di viaggiare: il resto del settore ancora fatica ad adattarsi a queste novità. Infine, ultima ma non meno importante, Apple: che siate supporters o haters non potete negare che l’azienda californiana abbia creato più volte nuovi trend, dalla user interface a cui siamo abituati sui nostri computer all’iPod, dall’iPhone all’iPad.

Notate qualcosa di strano nelle rivoluzioni e relative aziende che avete appena letto? Ebbene sì, sono (o meglio erano) tutte startup nel momento in cui hanno aperto nuove traiettorie di valore nei rispettivi settori. L’unica eccezione è Apple: Steve Jobs aveva nel DNA la capacità di pensare sempre al prodotto successivo, che doveva per forza essere rivoluzionario.

Ma perché sono solo le nuove aziende a creare questo tipo di innovazioni “devastanti”, perché non quelle consolidate?

Innovation funnel

Perché non le aziende di successo?

Il problema alla base non è poi così difficile da individuare: le aziende consolidate tendono a concentrarsi principalmente su innovazioni di tipo incrementale piuttosto che rivoluzionare totalmente il loro portfolio. Da un punto di vista di economia dell’innovazione, ciò si può spiegare attraverso il ciclo di vita dell’industria: inizialmente le aziende si concentrano sull’innovazione del prodotto; poi, quando uno standard di design emerge, le stesse spostano il loro focus sull’innovazione dei processi per riuscire a diminuire i costi.

Se si considera un punto di vista più manageriale, il limite è spesso nel sistema decisionale dell’azienda: mentre una startup ha solitamente una sola idea di business e cerca di svilupparla fino in fondo, all’interno di un’azienda consolidata le idee sono molteplici. Come scegliere? Questo è il momento in cui spesso vengono compiuti gli errori di cui le aziende poi si pentono e che solitamente possono essere di due tipi:

  • Tipo 1: far procedere un’idea che non porterà nessun valore aggiunto all’azienda
  • Tipo 2: non far procedere un’idea che avrebbe potuto creare una nuova traiettoria di valore per l’azienda.

Perché accade questo secondo tipo di errore? Due sono i motivi che portano i manager a fare queste scelte:

  • I cambiamenti più netti vengono visti spesso come troppo rischiosi perché sono contornati da un’aura di incertezza (difficoltà di prevedere la probabilità di un evento) e ambiguità (difficoltà di prevedere il significato ad un evento)
  • Le loro decisioni si basano sui clienti attuali e sui loro bisogni in quel momento

Disruptive technologies

Le caratteristiche delle disruptive technologies

Perché le aziende di successo si focalizzano e investono su tecnologie che soddisfano i bisogni dei clienti attuali ma non riescono a vedere futuri mercati? Questo è proprio il concetto alla base del primo articolo che ha introdotto nella letteratura il termine disruptive innovation: “Disruptive Technologies: Catching the Wave (Harvard Business Review) scritto da un professore di Harvard, Clayton Christensen, insieme a Joseph Bower.

I due sottolineano più volte che i mutamenti disruptive non sono particolarmente complessi da un punto di vista tecnologico e possiedono due caratteristiche fondamentali:

  • presentano delle proprietà che non sono apprezzate dai clienti esistenti, anche perché spesso i clienti per quel tipo di innovazioni ancora non esistono
  • evolvono molto rapidamente, tanto da riuscire ad invadere i mercati consolidati.

Questo non vuol dire che le aziende di successo non abbiano speranza. Al contrario, possono e devono continuamente essere in grado di aprire nuove traiettorie di valore per rimanere di successo. Ciò di cui hanno bisogno è cambiare il modo di pensare: devono utilizzare una diversa mentalità, metodi di decisione e strumenti. Insomma, devono tornare a pensare come delle startup.

Il segreto è infatti uno solo: creare domanda dove non ce n’era. Quindi, crearsi il proprio posto in spiragli lasciati scoperti dalle altre aziende: in questo modo si evita anche, almeno all’inizio, una competizione diretta con altri più potenti di noi. Soprattutto per una startup, è un ottimo modo per iniziare.

Nuove traiettorie di valore

Come sviluppare nuove traiettorie di valore?

Dopo aver trovato lo spot libero in cui inserirsi, la strategia diventa fondamentale: sia per una startup sia per un’azienda di successo è essenziale comprendere dove si vorrà arrivare nel futuro e poi ragionare e stabilire una strategia per arrivarci. Sembra un processo scontato, forse per alcuni di voi lo sarà davvero, ma ci sono soprattutto quattro punti su cui vale la pena riflettere per creare la strategia:

  • Avere una visione del futuro e decidere priorità e confini per realizzarla. Dopo aver deciso la propria vision, è necessario stabilire cosa si vuole e cosa non si vuole fare
  • Anticipare e modellare i bisogni dei consumatori. L’importante è non solo concentrarsi sui bisogni attuali dei clienti, ma andare oltre e cercare di capire i bisogni latenti: portare i consumatori dove vogliono andare ma ancora non lo sanno
  • Anticipare le mosse dei concorrenti e creare barriere all’entrata e lock-in dei consumatori. Per evitare di perdere la posizione di vantaggio competitivo, è essenziale pensarci prima: basta attuare una serie di strategie di prelazione per evitare che altri entrino nel mercato
  • Anticipare future innovazioni disruptive ed essere pronti a cambiare. Nessuna innovazione distruttiva lo sarà per sempre: ogni azienda deve essere pronta ad intravedere appena sta arrivando una nuova onda e a cavalcarla prima che sia troppo tardi.

Per quanto riguarda un’azienda di successo, poi, i manager devono avere il coraggio di fare delle scommesse, senza però mai arrivare a rischiare l’intera azienda: devono capire il momento giusto in cui si possono permettere di cambiare radicalmente evitando la rovina. Non solo, devono anche essere in grado di gestire le relazioni con i competitor: quando allearsi, quando farsi piccoli e quando invece combattere?

Infine, in un mondo così digitalizzato e così social, mai dimenticarsi di sviluppare un buon network: ce lo insegnano ai primi corsi all’Università, c’è spesso una massa critica di clienti che bisogna superare per riuscire a diventare davvero di successo. Solo allora gli effetti di network saranno talmente efficaci da diffondere all’intero mercato la propria idea. Come si sente dire spesso, l’ideale è partire dagli early adopters, anche chiamati oggi influencer dei vari settori: la loro opinione positiva su una vostra idea vale più di mille vostre parole.

Sarà difficile da credere ma la parte difficile di un’idea innovativa non è l’idea stessa, ma la commercializzazione dell’idea, anche per una nuova divisione di un’azienda di successo. Infatti, l’azienda consolidata ha sicuramente un canale di distribuzione ben sviluppato, una buona base di clienti e sostenitori, ma siamo davvero sicuri che sosterrebbero anche un’idea innovativa? Come potete immaginare probabilmente non una gran parte: anche le grandi aziende devono quindi crearsi un gruppo di early adopters all’inizio della commercializzazione di un’idea rivoluzionaria.

Certamente per le startup il processo è più complicato: oltre al problema degli influencer, devono anche pensare a come riuscire a crescere e a raccogliere i fondi necessari per farlo al meglio.

Far crescere una startup

Come può crescere una startup?

Riuscire a far crescere un’azienda non è semplice, soprattutto se l’idea proviene da persone con poca esperienza in campo manageriale. Per questo, sono nate delle strutture che si occupano proprio di supportare ed accompagnare le startup nel primo periodo di vita e di crescita, fino a quando non sono in grado di camminare con le proprio gambe: i cosiddetti incubatori digitali.

I business incubator possono essere di diverse tipologie e possono offrire diversi servizi, ma ciò che è costante è che fungono da una specie di mentor che aiuta gli startupper a commercializzare la propria idea. In particolare, possono:

  • inserire la nuova azienda nel network di interesse
  • aiutare nella stesura del business plan
  • fornire un sostegno logistico e tecnico
  • aiutare la start-up a trovare investitori che possano credere nel progetto e dare un aiuto economico

A proposito dell’ultimo punto, il secondo problema grosso che hanno le startup è proprio quello di trovare i fondi necessari per passare dallo sviluppo dell’idea alla produzione vera e propria. È un passaggio molto importante perché ad ogni fase di vita della startup ci devono essere i fondi necessari per proseguire: a differenza di un’azienda consolidata, la relazione tra investimenti e attività da svolgere, o milestones da raggiungere, è essenziale.

Se prima dell’avvento del digitale le figure più importanti nelle fasi iniziali di un’azienda erano gli angel investors e i venture capitalists, oggi si aggiunge anche un’altra tipologia di raccolta di investimenti: il crowdfunding. Questa tipologia di raccolta fondi si è sviluppata soprattutto negli ultimi anni, e può essere vista come una reinterpretazione della raccolta fondi nell’era digitale.

Da qui nascono le piattaforme di crowdfunding che si occupano di concentrare su un portale online i progetti presentati dalle startup: il loro obiettivo è quello di facilitare l’incontro tra nuovi progetti e investitori in modo che la raccolta di capitale da parte degli startupper diventi più semplice. Per sapere come si costruisce una campagna di crowdfunding da chi ne ha creata una: Cronache di una campagna di crowdfunding.

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Giada Carlassara

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