
Non c’è dubbio, l’influencer marketing resta uno dei topic del mondo digital più discussi. Una buzzword a cui però manca spesso il giusto livello di confronto e, soprattutto, insight dedicati su cui lavorare.
Comprendere lo scenario è infatti il primo e più rilevante passo per approcciare in modo strategico l’argomento, evitando che siano le mode, e non i fatti, a guidare discussione e utilizzo.
Nasce da questa necessità il progetto dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing, una realtà no profit costituita dai più importanti stakeholder del settore con la mission di fare cultura e migliorare la comprensione dell’influencer marketing nel nostro paese.
Influencer marketing: lo scenario attuale in Italia
Il primo passo firmato ONIM è il report pubblicato ad aprile (è possibile richiederlo qui): un’analisi nata grazie al supporto di oltre 400 professionisti intervistati e grazie a cui è stato possibile delineare caratteristiche, trend e prospettive del mercato.
L’analisi ci restituisce un mercato attivo e sempre più rilevante, ma ancora poco maturo per progettualità e approccio. Il 67% dei marketer intervistati ha dichiarato di aver realizzato tra uno e tre progetti nel 2018, un numero esiguo, ma che pare aver dato risultati: il 67,22% degli stessi si ritiene soddisfatto dei risultati ottenuti e desidera quindi aumentare il budget dedicato (67,5%).
I settori in cui l’influencer marketing è utilizzato con maggiore frequenza ricalca quasi alla perfezione l’immaginario consueto: Fashion e Food sono i settori più rilevanti (17,6%), seguiti dal Travel (12%), dal Tech (9%) e dal Beauty (8,6%).
I principali obiettivi
La “gioventù” del mercato ben si evidenzia anche negli obiettivi legati all’influencer marketing. Awareness, il più noto e di facile comprensione, è il principale con un 19,5%. Presenti anche finalità più mature come, ad esempio, l’incremento della brand reputation (18,3%) e il rafforzamento delle relazione con utenti e community (10,7%). Lontano, invece, l’incentivazione agli acquisti (7,3%), motivabile con la doverosa necessità di progetti più complessi e strutturati, non alla portata di tutte le realtà.
Il budget limitato e la mancanza di un team verticale dedicato all’influencer marketing sono invece le maggiori sfide che i marketer devono affrontare. Sfide che, anche in questo caso, sono conferma di quanto lo scenario italiano debba crescere e migliorare.
I principali canali, attività e selezione degli influencer
Se ancora ci fossero dubbi, il report conferma come Instagram sia la piattaforma più utilizzata per l’influencer marketing (83% lo usa da “spesso” a “molto spesso”), con numeri nettamente superiori alle altre. Facebook si attesta infatti al 37%, con un impiego in molti casi di supporto alle campagne principali prodotte su Instagram. Staccato, nonostante sia un canale di grande rilievo lato influencer marketing, anche YouTube. Un dato che però va contestualizzato: realizzare campagne su YouTube significa nella maggior parte dei casi un forte investimento economico, investimento non alla portata di tutti.
Spostando l’attenzione sulle attività, è il product placement quella preferita dai brand (21,6%), spiegabile con la facilità di utilizzo e la mancanza, in molti casi, di una visione più complessa. A seguire la promozione di un contenuto (19,6%) e il lancio di prodotto (19,1%). Anche gli eventi resistono con un buon 16,2%.
Relativamente alla selezione degli influencer – una delle fasi chiave nella buona riuscita di un progetto di influencer marketing – emerge prepotentemente la mancanza di professionalità del mercato italiano. Le liste online e i social network (36,8%) sono gli strumenti più utilizzati, con tutti i limiti del caso. Solo il 33,5% dei marketer utilizza strumenti data driven come tool dedicati (15,1%) o di social e web listening (18,4%).
I micro-influencer sono la categoria più coinvolta. Il 59,7% collabora con figure sotto i 30mila follower, mentre il 13,7% sceglie invece influencer tra 50mila e 100mila follower. Non mancano progetti con figure più alte a livello di audience: il 9,7% coinvolge influencer sopra 100mila follower.
KPI e compensi
La misurazione è una fase spesso meno considerata, ma decisiva per comprendere la bontà del progetto. Anche in questo aspetto l’approccio non è sempre di estrema qualità. I KPI ricadono su parametri più “semplici” come Engagement e Audience raggiunta. Menzioni e Sentiment restano indicatori sì di valore, ma non sempre utilizzati data la necessità di utilizzo di strumenti pro.
Il costo degli influencer sta vivendo una profonda evoluzione – evoluzione che il report sottolinea in modo chiaro. I creator sono ormai professionisti: il 33,7% degli intervistati dichiara di retribuire sempre gli influencer, mentre le collaborazioni gratuite si fermano a un risibile 11,3%.
Analizzando i compensi per canali, troviamo che la fee media si attesti tra i 300€ e i 600€. Non mancano le eccezioni: Instagram e Youtube vedono collaborazioni anche sopra i 2.000€ che, seppur limitate, sono ampia dimostrazione del valore dei due canali; maggiore professionalità che emerge anche nel rispetto delle regolamentazioni promosse da AGCM e IAP. Le iniziative pro trasparenza (#ad e simili) sono utilizzate sempre dal 54,9% dei marketer, mentre solo l’8,5% non utilizza mai tali pratiche.
In conclusione, in seguito a una crescita vertiginosa negli ultimi anni, l’influencer marketing in Italia ha raggiunto una fase di apparente maturità. Questo rende più semplice la comprensione dello scenario grazie a insight e dati finalmente concreti e utilizzabili per aziende e professionisti, come si evince dal report completo disponibile sul sito di ONIM.
Articolo a cura di Matteo Pogliani, founder di ONIM, Osservatorio Nazionale Influencer Marketing.