
Come per ogni cosa, quando parliamo da “operatori di marketing”, dobbiamo sempre guardare alla digital experience con una duplice prospettiva: quella, appunto, da operatori di marketing, esperti di un particolare settore o di una particolare branca di specializzazione del marketing, e quella, altrettanto fondamentale, del consumatore (o meglio, della persona, come ci hanno avvisato in molti e come amiamo sottolineare ogni volta noi).
Così la digital experience è un percorso esperienziale attraverso diversi touchpoint (mutevolissimi) che noi, da “costruttori” dell’esperienza del consumatore – la tanto chiacchierata customer experience – dobbiamo comprendere a fondo in modo da creare qualcosa di coerente e di significativo per chi sta dall’altro capo.
Ma se utilizziamo gli strumenti strategici e operativi giusti, ad esempio partendo dal perché, e poi li decliniamo secondo le corrette caratteristiche del nostro target (possiamo iniziare dalla costruzione di un brand persona, per studiarlo), possiamo arrivare a costruire un’esperienza che abbia reale rilevanza per un particolare segmento di persone, magari proprio quello con cui volevamo iniziare a creare un dialogo.
E poi, soprattutto, c’è l’aggiornamento professionale, quello che ogni buon MARKETERs deve coltivare personalmente ogni giorno, e che poi deve condividere (ad esempio scrivendo su un blog) oppure andando ad ascoltare gli speech a un evento, e molto altro che, tra le varie cose, proviamo a raccontarvi ogni giorno in questo magazine.
La digital experience delle realtà professionali
Ma soffermiamo la nostra attenzione sulla Digital Experience dal punto di vista professionale. Il 21 Maggio saremo media partner al DigitalStrategies Forum, e l’idea di questo evento nasce proprio da questa premessa:
Essere aggiornati sulle ultime risorse che il mondo digital mette a nostra disposizione si può dire che è una continua corsa contro il tempo, non appena metti a fuoco la tua strategia marketing su Facebook o Google ecco che nascono nuove opportunità e nuovi canali di comunicazione.
Esatto: l’anno scorso era l’anno di Instagram, questo è quello di Snapchat. Facebook sembrava potesse rimanere calmo per un po’, e invece nel giro di due mesi ha annunciato prima le Facebook Reactions e poi una modifica dell’algoritmo, portando a tante nuove implicazioni per i marketer. Google rimane il motore di ricerca più utilizzato dalle persone, ovviamente, ma ormai più della metà delle ricerche mondiali proviene da mobile.
E in effetti, non c’è modo migliore di rimanere aggiornati se non sentendo le esperienze dirette di chi con il digitale ci lavora ogni giorno. Da qui il motto dell’evento “Basta Teoria. Solo Esperienza Diretta.”, appunto.
La digital experience nel 2016
Intanto, per arrivare preparati, possiamo andare a guardare quali sono i cinque ambiti di applicazione in cui la digital experience è più impattante nel 2016.
#1 Video Marketing
Le previsioni ci dicono che nel 2017 i video rappresenteranno il 70% (vedi le statistiche sotto) di tutto il traffico su internet: una quota altissima, che a tratti ci pare irreale, eppure rappresenta un segnale indiscutibile sui trend di consumo dei media da parte delle persone.
I video devono sempre più entrare nel mix di comunicazione dei brand che hanno già una presenza solida nel digitale, semplicemente perché è una delle forme più engaging di raggiungere obiettivi di awareness con il proprio target di riferimento. Più delle immagini, e più delle GIF, anche se alla fine sempre di contenuti si tratta.
Poi i video possono essere diffusi su Youtube oppure su Facebook, sicuramente con obiettivi diversi, ma entrambe le piattaforme devono essere considerate per intercettare bisogni diversi di persone che si trovano a uno stadio diverso del customer journey.
D’altronde le statistiche parlano chiaro:
- La quota di persone che guarda video da mobile è aumentata dal 10% del 2012 al 44% di fine 2015: un aumento dell’844%, che fa ben capire come si stanno muovendo gli interessi degli utenti (Fonte: Ooyala)
- Si prevede che nel 2017 il 74% del totale del traffico online avverrà tramite video (Fonte: Syndacast)
- Il 51,9% dei professionisti di marketing ritiene che il video sia il tipo di contenuto che presenta il miglior ROI (Fonte: Hubspot).
#2 Email Marketing e Lead Generation
L’email marketing è un’attività di marketing digitale che si propone di raggiungere obiettivi top-of-the-funnel: cioè quelli più vicini all’acquisizione di contatti (lead generation, appunto), alle conversioni in generale e, nel caso degli e-commerce, alle vendite.
Al DigitalStrategies Forum avremo la fortuna di ascoltare due grandissimi esperti, Marco Ziero e Guglielmo Arrigoni (che su questo tema ha recentemente pubblicato un libro).
L’email marketing si muove dal presupposto che dal primo punto di contatto tra potenziale cliente e azienda ci sono molti altri step che, se opportunamente sfruttati, possono trasformarsi in occasioni che possono generare facilmente delle vendite, oppure la fidelizzazione di clienti già acquisiti.
[Per ripassare gli step del funnel dell’inbound marketing potete rileggere questo articolo]Con l’email marketing si possono avere moltissimi contatti con il potenziale cliente o cliente, ad esempio per:
- informarli su nuovi prodotti o notizie interessanti
- impostare delle email automatiche che hanno l’obiettivo di educare le persone riguardo ai prodotti dell’azienda
- inviare offerte mirate in giorni particolari
- recuperare le persone che in un e-commerce hanno “abbandonato il carrello”
- premiare gli acquirenti più attivi con dei buoni sconto esclusivi
- risvegliare gli utenti inattivi che non acquistano da qualche tempo
- inviare i propri contenuti più nuovi: è quello che facciamo noi con la newsletter di This MARKETERs Life ogni lunedì mattina alle 8.15 🙂
Se però siete interessati all’email marketing, questa era solo una breve anticipazione: la settimana prossima pubblicheremo un’intervista proprio a Guglielmo Arrigoni, quindi continuate a seguirci!
#3 Influencer Marketing
Nel 2016 il dibattito sul cosiddetto “influencer marketing” è più che mai amplificato, neanche che ad alimentarlo fossero proprio degli influencer. Il fatto è che ci sono sempre più personaggi che fanno gli influencer, più che essere davvero influenti. C’è una sottile linea che separa l’etica, l’autorevolezza e la fiducia da quella che può sembrare, legittimamente, una marchetta. E per dialogare in modo autentico con un target preciso quei tre sono dei presupposti fondamentali, a cui non si può rinunciare.
D’altronde l’influencer marketing non è nulla di nuovo: da che mondo è mondo, sono sempre esistite persone più influenti (o, meglio dire, autorevoli) di altre in grado di modificare i comportamenti altrui. Negli anni ‘80 e ‘90 venivano chiamati opinion leader, e con l’avvento del digitale si è subito inflazionato un termine inglese che ormai ci pare vuoto di ogni significato reale. La vera diffusione di un’idea, di un brand o di un prodotto viene garantita da persone interessate a qualcosa, le quali riescono a comunicare persuasivamente e con efficacia ad altre persone interessate.
Ma che ne dite se il vero influencer fosse il brand stesso?
#4 I nuovi trend nell’advertising: il Native Advertising
Per quanto ancora molti degli investimenti in online advertising passino per la search advertising (la keyword advertising o pay per click advertising su Google, per intenderci) e il peso della Social Advertising sia in aumento, nel 2016 si sta affermando definitivamente il native advertising. Di cosa si tratta, in breve?
Il native advertising è un tipo di pubblicità che si inserisce organicamente in un contesto editoriale, senza che venga interrotto il flusso di navigazione dell’utente. Secondo il Playbook sul Native Advertising dello IAB del 2013, vengono considerate “native” sei diverse forme di pubblicità, a partire dalle in-feed unit ad fino ai widget di raccomandazione (quelli che trovate alla fine degli articoli che leggete su un portale editoriale, per capirci, spesso promossi da Outbrain o da Taboola).
La forma di native advertising più “pura” è forse quella del contenuto editoriale sponsorizzato, spesso un long form content prodotto da un brand (o da un’agenzia) che si trova all’interno di un contesto editoriale sofisticato.
In Italia i primi esperimenti di Native sono partiti nei portali molto verticali (ad esempio nei blog di mamme o di cucina; avete presente Giallo Zafferano, dove molte ricette venivano sponsorizzate da Barilla e Philadelphia?), ma a partire dalla metà del 2015 stanno sperimentando con successo questa forma di contenuto sponsorizzato anche Condé Nast, con Think Content (all’interno dei siti del loro network e su Condé Nast Live!, come Wired, Vanity Fair, GQ, Vogue, ecc.), RCS (all’interno di gazzetta.it e corriere.it) e Manzoni Advertising (all’interno di repubblica.it e huffingtonpost.it). Ma si trovano molti altri esempi, come quello di MediaCom, concessionaria pubblicitaria del gruppo editoriale Mondadori. Pochi giorni fa ho persino trovato un contenuto sponsorizzato da Nike all’interno de L’Ultimo Uomo, un blog che molti appassionati di sport leggeranno.
All’estero, però, siamo arrivati a progetti di comunicazione di tutt’altro respiro e qualità: basti vedere questo contenuto branded per il lancio di Orange is The New Black di Netflix sul New York Times, oppure quest’altro, sempre di Netflix per Narcos, “Cocainenomics” sul Wall Street Journal. Non ci sono parole per descriverli: sono semplicemente due tra i contenuti più belli che abbia mai visto online.
Le esigenze per cui è nato il native advertising sono fondamentalmente di tre tipi:
- impossibilità da parte dei publisher di monetizzare il traffico mobile: la fruizione da parte degli utenti di sempre maggiori contenuti da mobile, dove gli editori e i siti non riescono a monetizzare il traffico attraverso la classica display advertising, ha portato alla necessità di creare delle forme pubblicitarie più rispettose del contesto di navigazione mobile, dove la pubblicità si possa inserire a portata di tap, senza che venga ritenuta troppo invasiva
- gli utenti sono sempre più infastiditi dalla pubblicità, e molti di loro hanno iniziato a bloccarla con i software di Ad Blocking. Per far capire le dimensioni del fenomeno, vi riporto poche semplici statistiche da un report di PageFair e Adobe:
- si stima che l’ad blocking nel 2015 sia costato 22 miliardi di dollari di ricavi agli editori
- l’ad blocking è cresciuto del 41% a livello globale negli ultimi 12 mesi
- in totale, ci sono 198 milioni di utenti che utilizzano software di ad blocking.
- Gli utenti desiderano racconti per partecipare dei valori della marca, non banner pubblicitari poco informativi, oltre al fatto che un banner su due, in media, non viene nemmeno notato. La “pubblicità” può quindi essere un servizio ai consumatori: in questo modo risulta più credibile e viene più apprezzata dagli utenti perché fornisce loro valore.
Ma sul native advertising ci sto scrivendo una tesi di laurea magistrale, quindi stay tuned nei prossimi mesi, ché magari ci scappa un articolo più approfondito.
#5 Content Marketing
Molta parte della pubblicità a performance passa attraverso la qualità dei contenuti, come abbiamo capito dal punto precedente, quindi, come già abbiamo detto più volte, a farla da padrone è il contenuto. No, non sto ripetendo per l’ennesima volta “content is king”, anche perché è sempre più corretto dire “context is king”. Le aziende, cioè, devono garantire esperienze di comunicazione coerenti in primis con i propri valori e poi rispettose del contesto dove vengono distribuite. Così:
- su Facebook un’azienda dovrà proporre un tipo di contenuto che mira a creare engagement
- sul proprio blog aziendale dovrà fornire contenuti informativi, che siano collegati ad azioni ben chiare e tracciabili (come la compilazione di un form per partecipare a un contest, oppure per iscriversi alla newsletter)
- con i video l’azienda dovrà puntare alla viralità e al collegamento con una campagna di comunicazione integrata anche con i mezzi offline.
Ma chiaramente tutto dipende dagli obiettivi strategici, e da come, e dove, si decidono di declinare le attività di comunicazione. Non esiste il content marketing, infatti, se a monte non c’è una strategia di comunicazione, e ancora più a monte una strategia di marketing, all’interno della quale tutte le componenti devono essere coerenti.
Quindi, appuntamento al 21 maggio per il DigitalStrategies Forum, ma soprattutto ogni giorno qui – e altrove! – per rimanere aggiornati sulle novità del mondo del digital (ma non solo) marketing, e condividere insieme conoscenze, sì, ma soprattutto esperienze. Esperienze digitali.