
È ormai noto come i like, i commenti e i followers abbiano innestato dei comportamenti sociali di difficile gestione, soprattutto per i più giovani; vale la pena ricordare, infatti, che in Italia la fascia d’età che ha accesso ad internet è una delle più basse al mondo.
Senza ulteriori indugi, possiamo affermare che le problematiche relative all’utilizzo dei social media sono indirettamente proporzionali all’età dell’utente: più giovani si è e meno strumenti si hanno per difendersi e per denunciare una situazione di disagio.
In correlazione alle situazioni pericolose, ci sono poi tutte quelle “patologie satellite” che girano intorno alle cosiddette vanity metrics: per gli influencer si tratta di dati importanti per il business, per i ragazzi sono valori determinanti per la propria accettazione. La BBC, emittente televisiva inglese, ha affermato qualche tempo fa che l’uso dei social procurerebbe ai ragazzi ansia: addirittura il 40% degli intervistati ha affermato di stare male qualora non ricevesse “mi piace” ai propri selfie.
A queste problematiche si lega il tema del cosiddetto cyberbullismo. In particolare, secondo una ricerca che ha coinvolto più di 10mila ragazzi tra i 12 e i 20 anni portata avanti da “Ditch the Label”, una delle organizzazioni di beneficenza anti-bullismo più grandi al mondo, Instagram è il social network più usato per diffondere commenti offensivi.
Liam Hackett, direttore esecutivo dell’organizzazione sopra citata, afferma che Internet non solo sta riformulando l’evoluzione del bullismo, ma sta anche avendo grandi conseguenze su identità, comportamento e personalità degli utenti più giovani. Per Hackett, i ragazzi quando sono online tendono a non mostrare la realtà, ma offrono una versione diversa, “ripulita” e migliorata di se stessi.
Il fenomeno diventa sempre più dilagante e i casi di cronaca nera portano alla luce dei gravissimi episodi di cyberbullismo: violenze psicologiche, persecuzioni e derisioni sono le armi a disposizione di questi piccoli (ma grandissimi) criminali.
Tanti sono gli accorgimenti che Facebook e Instagram hanno quindi messo a punto nel corso degli anni per cercare di circoscrivere questo tristissimo rovescio della medaglia.
È utile sapere che all’interno della piattaforma di Facebook è possibile trovare pdf scaricabili e indicazioni per chi è vittima di bulli, per i genitori e gli insegnanti di ragazzi che subiscono il bullismo, ma anche per genitori e docenti di adolescenti accusati di bullismo stesso. È possibile visitare la pagina di supporto fornita da Facebook qui.
Anche Instagram non ha tardato ad attivarsi per cercare delle soluzioni che potessero arginare questo tipo di violenza. Dopo il filtro in grado di rilevare e conseguentemente silenziare i profili che pubblicano commenti con linguaggi offensivi e denigratori, nel 2018 è arrivato l’aiuto del machine learning. Questa tecnologia permette di captare elementi collegati al bullismo nelle immagini, nei video e anche nei brevi testi o didascalie che solitamente accompagnano le Instagram Stories.
I social di Zuckerberg non arrestano la ricerca alle continue migliorie: siamo a luglio 2019 e in casa Instagram vengono annunciate delle ulteriori misure a prova di bullo. Questa volta si tratta di un Comment Warning. Mentre l’utente sta scrivendo apparirà un messaggio che lo avvertirà della presenza di contenuti potenzialmente offensivi consigliando un’ulteriore riflessione su ciò che è stato formulato. La seconda contromisura pensata per proteggere quanto più possibile la community è un ban “light”. Con questa opzione si potrà contrassegnare un profilo come “restricted” ed automaticamente avere la possibilità di filtrare i suoi commenti. Si può decidere di lasciarli in stallo oppure di farli apparire in pubblico, con una vera e propria moderazione dei commenti; questo garantisce che la litigiosità sotto i post non venga aizzata, ma evita anche che il bullo si veda bloccato, decisione che in molti casi potrebbe peggiorare la situazione.
Adam Mosseri, oggi a capo di Instagram, ha dichiarato che non sarà semplice determinare con degli algoritmi cosa può essere davvero offensivo e che la possibilità di “strafare” è alta; un rischio che però è pronto a correre:
“Mi preoccupa, certo, il fatto di poter superare il limite. Ma anche se dovesse significare un uso minore della piattaforma da parte degli utenti, prenderemo comunque delle decisioni che garantiscano la loro sicurezza.”
Sappiamo che i social network continueranno ad essere la culla di tutte quelle persone che vogliono disseminare odio senza metterci la faccia e, questa volta, non ci riferiamo solo ai più giovani. Gli autori dei commenti di body shaming sotto i post dell’influencer Chiara Ferragni sono per la maggior parte adulti, così come quelli che esprimevano opinioni poco tenere nei confronti del figlio di Belen Rodriguez e Stefano De Martino.
Concludiamo con un pensiero dello psichiatra Vittorio Lingiardi, che ci mette di fronte ad una sfaccettatura umana cruda, quasi animalesca, che però riesce a spiegare, almeno in parte, l’esponenziale quantità di odio che ogni giorno viene rigurgitata sui social senza distinzione di età, razza e classe sociale.
“L’odio è sempre figlio di un disturbo o un disagio e i social network spesso funzionano come luoghi di evacuazione delle proprie scorie psichiche”.