
Ti sei mai chiesto fino a che punto la condivisione di contenuti nei social network sia lecita? È una domanda molto difficile ed altrettanto difficile è trovare una risposta che rappresenti un buon compromesso tra diritto di espressione e necessità di censura.
Recentemente, diversi fatti hanno acceso la scintilla del dibattito attorno a questa controversa questione, generando un grande seguito mediatico che, a sua volta, è stato ulteriormente alimentato da tweet, post e condivisioni a dimostrare quanto, ormai, sia labile il confine tra reale e virtuale.
Che i social network siano attualmente il più importante ed efficace mezzo di comunicazione di massa è un dato di fatto: qualunque notizia, che si tratti di cronaca o di pura informazione, viene catturata, filtrata e diffusa dal mondo digitale, nel quale la community ha la possibilità di conoscerla e, nella maggior parte dei casi, commentarla.
Quante volte, infatti, ti sarà capitato di leggere tweet di influenti uomini politici che esprimono il loro punto di vista sulla situazione del loro Paese o di scorrere nella bacheca di Facebook innumerevoli post che condensano nei pochi caratteri disponibili fatti di cronaca provenienti da tutto il mondo?
I social sono diventati la vetrina della realtà, una sorta di diretta dal mondo attiva 24 ore su 24 in cui la parola d’ordine è “far sapere”. Far sapere cosa succede, dove ci si trova, con chi si è ma, soprattutto, far sapere cosa si pensa.
Ed è questo il punto cruciale che complica drasticamente il potere comunicativo dei social network: come si fa a stabilire cosa è giusto pensare (e condividere) e cosa invece no?
Come funziona la censura sui social?
Tanti social, tante regole! In effetti, è possibile constatare che non esiste una regola univoca che detti quali siano le cause che conducono alla censura dei post, in quanto ogni social network ha una diversa politica di privacy legata ai contenuti.
Oltretutto, le modalità di censura variano anche a seconda del Paese di riferimento: ad esempio, è noto che in Cina la libertà di espressione (anche attraverso i social network) è fortemente limitata, al punto che le pene per aver diffuso dei contenuti illeciti possono arrivare anche a 7 anni.
Ad ogni modo, le modalità di censura sui principali social network sono le seguenti:
- Facebook: il protocollo anti fake-news di questo social è particolarmente stringente e severo. Da anni, infatti, il social di Zuckerberg lotta contro la diffusione di contenuti inappropriati e scorretti, ragion per cui le linee guida sulla censura vengono aggiornate e aumentate ogni anno. In accordo con la policy di Facebook, esistono 5 tipologie di contenuti censurabili: violenza, contenuti deplorevoli, sicurezza, integrità e autenticità, rispetto della proprietà intellettuale. Qualora un post rientri in una di queste categorie, scatta in automatico la censura e il post viene rimosso.
- Instagram: anche su questo social, esiste un set di regole chiare e definite che impongono dei rigidi paletti ai creator. I contenuti censurabili vengono classificati in vietati e censurabili: nel primo caso, si tratta di contenuti contrari al decoro che vengono automaticamente rimossi da Instagram. Nel secondo caso, si fa riferimento a tutti quei post border line che, seppur non vietati, sono “poco raccomandabili”. In quest’ultima ipotesi, il regolamento prevede che tali post non vengano mostrati facilmente nella pagina “Esplora”. Anzi, vengono declassati, ottenendo poca visibilità e comparendo in fondo al feed.
- Twitter: stando alle norme sui contenuti sensibili, è severamente vietato pubblicare contenuti che incitino all’odio e alla violenza, a sfondo sessuale o contro le regole di sicurezza e civiltà. In questi casi, Twitter contrassegna il tweet come “sensibile”, bloccando temporaneamente l’account del soggetto che ha pubblicato fino alla rimozione del tweet. In altri casi, Twitter interviene rimuovendo direttamente i contenuti scorretti e, nelle situazioni più estreme, sospendendo in modo permanente l’accesso al social.
A proposito di Twitter: il caso Trump
Rimanendo nell’ambito di Twitter, ha dato molto scalpore tra i media di tutto il mondo il fatto che diversi cinguettii dell’attuale presidente americano Donald Trump siano stati censurati dal social in quanto, per un motivo o per un altro, ritenuti altamente fuorvianti e inappropriati, specialmente in quanto provenienti da una figura di grande influenza mondiale.
Il primo caso lo scorso 27 maggio 2020, quando il tweet di Trump riguardante il voto via posta come modalità per le prossime elezioni presidenziali americane è stato bannato, reo di diffondere informazioni inesatte e falsate.
Successivamente, nel mirino del social con l’uccellino blu è finito il tweet in cui Trump affermava che i bambini fossero immuni al contagio del virus. Questa volta, il leader americano è stato accusato di aver violato la politica di lotta alla disinformazione sul coronavirus promossa da Twitter ed il messaggio è stato quindi etichettato come infondato e pericoloso.
Insomma, lo scontro tra Trump e la censura di Twitter si è fatto così acceso al punto che il Presidente ha minacciato di “chiudere Twitter e tutti quei social che boicottano la libertà di espressione”, sostenendo che essi ostacolino la campagna presidenziale e, più in generale, la libertà di espressione.
Ma siamo sicuri che, in questo caso, la censura stia veramente limitando tale libertà?
Per suggerirti una riflessione, riportiamo quanto affermato da Zuckerberg in un’intervista a Fox: “Nonostante i social non possano essere sempre l’arbitro della verità per tutto ciò che viene detto, penso che la scelta di un governo di censurare una piattaforma perché è preoccupato della sua censura non sia la giusta reazione”.
Turchia: approvata la legge anti-social media
Circa un mese fa, il governo turco guidato da Erdogan ha approvato quella che è stata definita come la “legge anti-social media”. Il governo potrà disporre di un maggior controllo sui colossi del web come Facebook, Twitter ed Instagram. Per ciascuno di essi, infatti, verrà nominato un rappresentante legale di nazionalità turca con l’incarico di controllare i contenuti e, qualora fossero contrari alle norme turche, censurarli.
La Turchia ha così stretto il pugno sull’annosa questione della censura, decretando di fatto la fine della totale libertà di espressione sui social network all’interno del Paese.
Ma qual è la conseguenza più dannosa? Di certo l’informazione. Infatti, con il passaggio dei social nelle mani dello Stato, anche il diritto ad una informazione neutra e disinteressata subirà un grande contraccolpo, limitando la possibilità dei cittadini di accedere a delle notizie indipendenti dall’ideologia governativa.
Il provvedimento sarà valido a partire da ottobre e ci si aspetta (purtroppo) che le aziende alla base dei social network vi si adeguino al fine di non perdere completamente i quasi 60 milioni di utenti turchi che fanno uso dei social.
Insomma, tra censura e libertà di espressione il ruolo dei principali canali di comunicazione attuali, ovvero i social, si fa sempre più complicato e cruciale. La capacità di garantire agli utenti la possibilità di esprimere liberamente le proprie opinioni, che si tratti di politica, economia o ideologia, si scontra, da un lato, con l’esigenza di moderare i toni e non sfociare nella disinformazione e, dall’altro, con la necessità di sottostare alla regole di governi conservatori e stringenti.
Ti lasciamo, quindi, con questa riflessione: fino a che punto imporre una regolamentazione ai social corrisponde alla tutela della società e fino a quale limite, invece, sfocia nel soffocamento della libertà di espressione?
La censura dovrebbe riguardare esclusivamente gli ambiti della violenza fisica e verbale, pornografia, tutela dei minori e veridicità delle informazioni. È chiaro che sull’ultimo punto si gioca molto della dualità informativa. L’esempio del tweet di Trump sul fatto che i bambini sarebbero immuni da coronavirus è illuminante. Pur condividendo il fatto che Trump abbia detto un’idiozia, c’erano i virologi di tutto il mondo che stavano dibattendo su questo argomento con pareri diversi sulla minore predisposizione dei bambini a contare il virus. Trump ha solo modificato a fini elettorali tale dibattito, generando una fake-news. Per i politici, non solo americani, censurare uno degli argomenti del dibattito politico, pur consapevoli che sia falso, è di fatto un stavo politico e non etico. Nei paesi in cui non c’è libertà di espressione, solo dire il contrario rispetto all’informazione ufficiale corrisponde ad un attacco alla sicurezza del stato. Hai citato Cina e Turchia ma ci sono pure la Russia, moltI stati del Sud America e quasi la totalità dell’Asia e dell’Africa. Complimenti per il tuo articolo
Visto l’invasivitá della censura dei SOCIAL su notizie, video ecc sia necessaria UNA AUTORITÀ MONDIALE, UNA AUTORITÀ DELLA COMUNITÀ EUROPEA E UNA AUTORITÀ NAZIONALE, SUPERPARTE ché valuti se un contenuto non rispetti un decalogo precedentemente concordato tra tutte le parti in causa.
Pertanto ogni SOCIAL CHE DOVESSE RITENERE CHE, UN CONTENUTO NON RISPETTI IL DECALOGO SARÀ OBBLIGATO AD INFORMARE LE AUTORITÀ COMPETENTI CHE VALUTERANNO GLI EVENTUALI PROVVEDIMENTI DEL CASA.
CREDO CHE IN QUESTO MODO SI POTRÀ LIMITARE UNA PARTE CONSISTENTE DELLA DITTATURA DELL’INFORMAZIONE CHE ATTUALMENTE I SOCIAL SI SONO IMPOSSESSATI.
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