
Nel giugno 2018, Instagram ha raggiunto il miliardo di utenti (stando a quanto riportato da Techcrunch). Non solo profili personali, ma anche (e soprattutto) profili business, siano essi corporate o di persone fisiche che con la loro sola presenza sul social monetizzano grazie al loro essere influenti. Ma come si declina l’utilizzo di Instagram nelle varie categorie di prodotto?
Dal 2012, Instagram fa parte della grande famiglia di Facebook e da allora il suo numero di utenti è passato in 6 anni da 30 milioni a 1 miliardo, soglia raggiunta a giugno di quest’anno. È l’app che forse di più in assoluto è entrata a far parte delle nostre vite, avendo conquistato i più giovani (che lo preferiscono a Facebook) e parlando un linguaggio semplice come quello delle foto, spesso accompagnate da didascalie descrittive fatte solo da un’emoji, un simbolo, un’ideogramma 2.0, pieno di significati nella sua semplicità.
Instagram ha cambiato la nostra vita, questo è sotto gli occhi di tutti. Prima del suo avvento, nessuno mai avrebbe pensato di fotografare il piatto al ristorante prima di mangiarlo o di rendere poetica una foto di un paio di scarpe da corsa appoggiate sul marciapiede, magari sporche di fango. Con il filtro giusto e un po’ di hashtag che dipingono lo sforzo fatto con le suddette scarpe, una foto potenzialmente inutile diventa invece simbolo di #workout (Instagram conta 121 milioni di post con questo hashtag), #running (48 milioni) e #healthylife (18 milioni), dando prova dei nostri sforzi per tenerci in forma, sforzi che, diciamocelo, senza la testimonianza social varrebbero un pochino meno.
Di questo miliardo di profili, 25 milioni (stando a quanto afferma Instagram stesso) sono profili business, vale a dire account che offrono alle aziende la possibilità di avere insight, statistiche e caratteristiche utili (come ad esempio gli orari di apertura). Sono molti i modi in cui i brand si mettono in mostra su Instagram: condividendo i prodotti, veicolandoli attraverso testimonial, offrendo agli utenti anteprime di nuove collezioni o “dietro le quinte” di servizi fotografici.
Esistono tuttavia delle differenze tra i diversi account aziendali che costellano Instagram, a seconda della categoria di prodotto di cui si sta parlando. In questo pezzo abbiamo deciso di mettere sotto la lente d’ingrandimento i post delle categorie sport, fashion e food, dal momento che sono i più rappresentativi delle differenze che intercorrono tra settore e settore.
Sport, una miniera di engagement
Tra i 20 profili Instagram più seguiti del 2018, ben 5 fanno riferimento a realtà sportive, aziendali o di singoli atleti (parliamo di Cristiano Ronaldo, Leo Messi, Neymar Jr., Dwayne “The Rock” Johnson e Nike). Gli sportivi hanno molto seguito sul social network per la possibilità che si ha attraverso il mezzo fotografico di trasmettere la passione che viene profusa nell’impegno, che in foto e video si traduce in un bel gesto tecnico o atletico, una presentazione particolarmente accattivante di un nuovo modello di prodotto o nella celebrazione di una vittoria di squadra.
Gli account sportivi sono quelli seguiti con più trasporto proprio per l’elemento irrazionale che contraddistingue la categoria, e che viene veicolato tramite le immagini: la passione per un atleta o una squadra è difficile da spiegare razionalmente, è qualcosa che viene da dentro e il poter vedere (o rivedere) le gesta dei nostri campioni preferiti, il poter far parte anche solo per pochi istanti della loro vita, la vicinanza (reale o illusoria?) che permette un social in cui posso commentare la foto personale di un giocatore sono tutti elementi che spiegano l’engagement altissimo di questi profili.
Cosa viene postato in questi profili?
Tenuto conto del fatto che oramai le società sportive sono prima di tutto, appunto, società, l’utilizzo sapiente di Instagram permette una fidelizzazione potentissima della fanbase. I post che vengono presentati possono essere inseriti in due categorie:
- Quelli che afferiscono alle dimensione sportiva della squadra
- Quelli che afferiscono alla dimensione business della società
Rientrano nella prima categoria foto e video di vittorie passate o recenti, focus sugli allenamenti, su giocatori specifici o su gesti atletici particolarmente esaltanti. Della seconda categoria invece fanno parte i post che si focalizzano su iniziative della società, sui “dietro le quinte” delle suddette iniziative o che pubblicizzano campagne di marketing particolari. Entrambe le categorie servono a rafforzare il brand e l’identità di una società sportiva, che spesso (soprattutto attraverso le stories, che quindi spariscono dopo 24 ore) sa usare anche lo strumento dell’autoironia per entrare definitivamente in empatia con la propria base d’utenza.
Per quanto concerne invece i profili degli atleti singoli, è interessante notare come la gestione sia decisamente soggettiva. Alcuni si focalizzano sullo sport praticato, postando solo e soltanto immagini di loro in azione (si veda ad esempio Tiger Woods, talmente innamorato del proprio “swing” che praticamente non posta altro); altri, invece, ben consci della risonanza che le loro gesta sul terreno di gioco hanno già sui media tradizionali, sono interessati a far conoscere aspetti di sé che non vengono pubblicizzati altrove: esempio è Roger Federer, sul cui profilo, nel momento in cui questo articolo viene scritto, è necessario scendere fino alla quindicesima foto per trovare un’immagine di lui con una racchetta da tennis in mano.
Food, quando un social fa gola
Se gli account sportivi sono quelli con il seguito maggiore, data la devozione quasi religiosa dei fan, i profili a tema cibo riescono comunque a ritagliarsi uno spazio importante sul social network. Detto che l’hashtag #food conta quasi 300 milioni di post ed è al 25° posto nella classifica degli hashtag più utilizzati, il nostro approccio col cibo è probabilmente la cosa che più è cambiata da quando Instagram esiste. E non si tratta solo della foto artistica prima di cena.
Secondo una ricerca del 2017, la maggior parte delle persone che segue un profilo di un locale è perché sta programmando di andarci a mangiare, e vuole capire cosa ordinare; questo significa che sono utenti che hanno intenzione di spendere soldi, e che prenderanno la loro decisione in base al livello di attrattività che hanno i piatti su Instagram.
Ecco quindi che il social network si popola di foto di cibi impiattati in maniera esemplare, video di guarnizioni da acquolina in bocca, tutorial su come realizzare un determinato piatto e così via, per non parlare dei video in cui gli stessi chef si mettono alla prova nella preparazione “live” delle pietanze.
Un esempio di come questo tipo di comunicazione funzioni è rappresentato da Salt Bae, lo chef turco proprietario della catena di ristoranti di lusso Nusr-Et. Con i suoi modi epici di tagliare, condire e cucinare le fette di carne e con l’immancabile sale versato da sopra il gomito alla fine di ogni preparazione, grazie a un video virale postato su Instagram è diventato famoso in tutto il mondo, al punto da attirare nei suoi locali (inizialmente presente solo ad Istanbul, ha ora aperto ristoranti a New York, Londra e Dubai) star di ogni tipo pronte a gustarsi lo spettacolo della carne tagliata e guarnita alla maniera di Salt Bae.
Menzione a parte la meritano i food blogger, profili di persone che di mestiere fotografano, illustrano e recensiscono il cibo nei locali. Oltre a foto e video nel proprio feed personale, da questo tipo di utenti viene fatto largo uso delle stories, per immortalare le esperienze che risiedono dietro il loro essere virtuosi del cibo.
Due esempi tutti italiani di questo modo di interpretare il cibo online sono Chiara Maci e Gnambox. La prima, classe 1983, trova il successo online attraverso Instagram (ad oggi ha 432 mila follower) e un blog aperto con la sorella nel 2010, ben prima che il fenomeno food blogger raggiungesse la portata che rappresenta oggi. Dopo aver partecipato a uno show televisivo riesce a ritagliarsi uno spazio suo in tv conducendo vari programmi su emittenti diverse, Instagram resta però il suo mondo, inizialmente fatto solo di piatti e ricette, in un secondo momento costruito su tutta la sua vita. Il rapporto con la figlia e il figlioletto, con il suo compagno, i suoi viaggi, tutto ciò che si cela dietro alla persona Chiara Maci, dietro ai piatti che mangia e che cucina.
Gnambox, invece, è il progetto nato da Riccardo e Stefano, due ragazzi di Milano che decidono di raccontare in un sito il loro amore per il cibo, per l’estetica dietro ai bei piatti e per l’esperienza che un buon pasto può regalare. Su Instagram (126 mila follower) non raccolgono solo foto di piatti, ma descrivono la loro vita a tutto tondo, catturando tramite fotografie, video e stories i momenti delle loro giornate che poi traducono in post nel sito, guide o libri (hanno scritto guide gastronomiche per molte città del mondo e recentemente una guida di Milano con touchpoint riguardanti non solo cibo ma anche moda e design).
Fashion: quando esserci conta
In assoluto, il settore del fashion è quello più rappresentato su Instagram, con il 35% dei profili (dato aggiornato a fine 2016) dedicati al mondo della moda. Restando sui numeri, la sua presenza su Instagram sembra in assoluto la più importante rispetto agli altri due: secondo uno studio, infatti, il 96% delle aziende di fashion americane è sul social delle immagini, un dato strabiliante che va di pari passo con l’engagement medio di ogni post (circa 610 mila interazioni di media).
I 5 profili di brand appartenenti al mondo della moda che più riscuotono successo sul social network sono Chanel, Louis Vuitton, Gucci, Dior e Dolce&Gabbana. La quarta posizione, in realtà, è occupata da Victoria Beckham, che però non essendo un brand vero e proprio abbiamo escluso dalla classifica: fa comunque pensare il fatto che una persona fisica possa avere più follower di aziende del calibro di Prada, D&G e Versace (che occupano nella classifica tutte una posizione inferiore rispetto alla signora Beckham).
Le aziende del fashion, insomma, su Instagram devono esserci. Ma una volta lì, come si comportano?
Come detto per i singoli atleti sportivi, il comportamento social delle diverse aziende è molto diverso e si differenzia, soprattutto, in linea con il tone-of-voice e l’immagine aziendale di ciascuna. Profili e post sono molto coerenti con l’identità che il brand vuole esprimere, pur parlando tutti il linguaggio proprio di Instagram.
Si possono dunque incontrare realtà molto differenti:
- Aziende come Burberry che costruiscono collaborazioni con artisti per promuovere collezioni o capi di abbigliamento specifici;
- Moltissimi brand sfruttano Instagram per presentare gli endorsement o le influencer scelte per pubblicizzare i propri capi;
- Viene fatto un larghissimo uso delle stories, per la loro caratteristica peculiare di poter rimandare (tramite lo “swipe” verso l’alto) all’e-commerce e all’acquisto dei capi pubblicizzati;
- I brand sportivi sono tra i pochi che sfruttano, in questo settore, i video: è importante che le persone apprezzino i testimonial che utilizzano il capo di abbigliamento o l’accessorio durante la performance sportiva, e un video rende decisamente meglio rispetto alla sola fotografia.
Nel settore fashion, merita un approfondimento un tema decisamente attuale: i brand che vendono la merce in dropshipping.
Per chi non ne avesse mai sentito parlare, il dropshipping è la modalità con la quale un negozio online vende merce agli utenti senza entrarne mai materialmente in possesso: ciò che il negozio (in questo caso, il profilo Instagram) fa è convogliare le persone all’interno del proprio sito web, dal quale vendere oggetti stipati in magazzini in giro per il mondo (tendenzialmente in Cina, ma non solo) che partiranno alla volta delle case degli acquirenti senza mai passare per il negozio stesso. Questo meccanismo fa sì che chi vende in questo modo non abbia costi di magazzino, ma abbia come unico obiettivo quello di dirottare gli utenti nel sito e vendere loro gli oggetti proposti.
Internazionale ha dedicato un post al fenomeno, che può essere riassunto così: esistono orde di negozi virtuali che di concreto non hanno nulla, se non un’ottima capacità di vendita di prodotti tendenzialmente mediocri, che non maneggiano mai e che arriveranno a casa vostra direttamente dalla Cina. Questi shop compaiono sicuramente nelle vostre ads su Instagram, fateci caso: nomi generici, prodotti all’apparenza di qualità (magari ogni tanto lo sono anche), foto fatte bene e siti di e-commerce zeppi di inviti all’acquisto e meccanismi di social-proof, a rappresentazione di un fenomeno che trasforma la supply-chain in supply-cloud.
Come si è potuto constatare, l’approccio a Instagram da parte di aziende di settori merceologici diversi è molto peculiare e unico nel proprio genere:
- Nei profili a tema sportivo, a fare da padrone è l’engagement. L’obiettivo di chi pubblica i contenuti è dunque quello di creare post ad alto tasso emotivo, così da saziare la voglia degli utenti di post inerenti ai loro beniamini;
- Nel food, estetica ed esperienze sono le parole chiave. Fondamentale, dunque, non è soltanto proporre foto allettanti di piatti da mettere in mostra, ma raccontarne la genesi e la preparazione (nel caso di brand o locali) o il background esperienziale che ne ha portato alla realizzazione o all’assaggio (nel caso di food influencer);
- Quando invece parliamo di moda, la sola presenza online per il brand è condizione assolutamente necessaria bensì non sufficiente per riscuotere successo. Serve inoltre un’identità e un progetto che miri a fare in modo che le persone si identifichino con la marca e con i prodotti che la marca stessa propone.
Come abbiamo visto, dunque, ognuno a modo suo cerca di massimizzare l’interazione con la propria fanbase, nel tentativo di esaltare le caratteristiche del brand entrando nella vita delle persone attraverso il loro smartphone, per poi arrivare in questo modo ad incidere nelle decisioni di acquisto nella vita di tutti i giorni.
Di social, Instagram e strategie editoriali si parlerà anche alla terza edizione di MARKETERs Festival, sabato 24 novembre 2018. Partecipa alla terza edizione, sei ancora in tempo per comprare il biglietto.