
Domenica notte si è tenuta la 52° edizione del Super Bowl, che ha visto di fronte i Philadelphia Eagles, gli underdog, gli sfavoriti, e i New England Patriots, capitanati dall’eterno Tom Brady. Questi ultimi, favoritissimi dai pronostici, sono stati a sorpresa sconfitti dalle Aquile di Philadelphia. Nonostante il football americano (non chiamatelo rugby di fronte ad un abitante del nuovo continente se volete uscirne vivi) non sia particolarmente popolare in Italia, da gennaio iniziano a circolare anche nel Bel Paese due parole: Super Bowl.
[Spoiler: questo NON sarà l’ennesimo articolo infarcito di dati sulla guerra pubblicitaria tra i brand per accaparrarsi spazio pubblicitario]
Dopo il 4 luglio (Giorno del Ringraziamento) e Natale, per gli americani esiste solamente il Super Bowl. Quasi parificato ad una festività nazionale, questo evento, che storicamente si tiene la prima domenica di febbraio, letteralmente fa fermare gli USA.
Assistono incollati allo schermo, mediamente, più di 100 milioni di persone. L’edizione del 2018 non è stata un’eccezione, anche se pare che il trend di spettatori degli ultimi anni sia leggermente in calo, con lo show di quest’anno che si classifica ultimo nella classifica dei Super Bowl più visti negli ultimi 8 anni (peggio fece solo la partita del 2010); questo agli sponsor sembra non importare molto, dal momento che per 30 secondi di spot durante la partita i prezzi si aggiravano attorno ai 5 milioni di dollari.
Si tratta di una vera e propria tradizione, intere famiglie si ritrovano di fronte ad una televisione, preparano barbecue e si godono questo evento di sport (ed entertainment) mangiando tonnellate di cibo. Il giorno del Super Bowl, infatti, fa registrare un consumo di cibo secondo solamente a quello del Giorno del Ringraziamento.
5 motivi per cui il Super Bowl è così importante per gli americani
1) Dentro o fuori
In primis per la formula con cui avviene l’evento: il culmine della National Football League infatti è una partita secca. Nel campionato dello sport nazionale (il baseball), cioè la Major League Baseball (MLB), e in quello della pallacanestro, la National Basketball Association (NBA), la finale si gioca su 7 potenziali incontri, al meglio dei 4. La NFL, al contrario, prevede un singolo incontro: one shot, un po’ come l’europea finale di Champions League.
Questo fa sì che l’evento sia così carico di attesa e di hype da fermare una nazione intera. La pura logica è sufficiente per capire il motivo per cui molti brand spendono una fetta enorme del proprio budget pubblicitario durante la prima domenica di febbraio: a differenza degli altri sport, dove l’audience si spalma su tutte le partite delle finals, la finale di NFL tiene incollati tutti alla televisione nello stesso momento.
2) Non storie di sport, ma sport che fa storia
Il secondo motivo lo suggerisce durante un intervento l’Avvocato Federico Buffa, noto più per i racconti sportivi che per le sue azioni legali. Partendo dal principio come solo lui sa fare, cioè dalla storia di una nazione come l’America, arriva a far capire come sia possibile tutta questa enfasi sullo sport e sulle storie di sport. Una mitizzazione a tutti gli effetti della prestazione sportiva, dovuta proprio alla mancanza di una vera e propria storia del paese o meglio, al coincidere della suddetta storia con “uno dei peggiori genocidi mai occorsi sulla faccia della terra”.
3) Competitività fa rima con spontaneità
Terzo motivo: gli Americani sono forse, dopo i Greci, il popolo più competitivo mai esistito su questo pianeta. Di per sé lo sport è competizione, per cui l’equazione è un puro esercizio di stile. Ma lo sport in seconda battuta è anche intrattenimento, con la differenza non banale che rispetto alle tragedie greche quest’ultimo è spontaneo, non è possibile sapere in anticipo, con matematica certezza, l’esito di un evento sportivo, si veda il Super Bowl della notte scorsa.
È autentico, non è una recita, i protagonisti non sono attori ma atleti che, in questo caso, combattono una battaglia all’ultima meta. È coerente, ogni evento ha una trama, uno sviluppo ed una conclusione a se stanti. Racconta storie bellissime, alle quali le persone si possono affezionare, ma soprattutto racconta storie vere, talmente vere che possono anche non avere necessariamente un lieto fine proprio come nella vita, e il Super Bowl di Tom Brady di quest’anno ne è un esempio (a 40 anni, poteva essere il più vecchio quarterback a vincere un Super Bowl, ma ha dovuto soccombere alla squadra avversaria).
4) “Viulenza”
La quarta e più evidente motivazione è insita nella natura stessa del gioco: la violenza.
Il contatto fisico è alla base di uno sport come il football americano; i placcaggi, numerosi, suscitano adrenalina e grida di approvazione. Non si tratta di violenza nuda e cruda come quella della UFC (Ultimate Fighting Championship), bensì di violenza organizzata. Di questa violenza fanno parte strategie e tattiche pensate settimane prima della battaglia.
Un match di football americano, con le dovute distanze, riprende molte delle caratteristiche della guerra pre-moderna. Due schieramenti di soldati, due comandanti, fanteria e cavalleria in uno scontro frontale per la supremazia del territorio. Ma se un tempo la guerra e tutte le sue conseguenze erano considerate accettabili, ora non lo sono più, e sport come il football americano sono l’unica forma di violenza organizzata socialmente accettata.
5) Testa e cuore
L’ultima motivazione che tiene incollati gli americani alla televisione (o che spingono gli stessi a spendere migliaia di dollari per essere allo stadio) è psicologica. Il Super Bowl coinvolge la sfera razionale (lo sport, il risultato, la partita, il gesto atletico) e irrazionale (le storie di sport, l’eccitazione di un placcaggio, l’adrenalina di una fuga, il fiato che resta sospeso durante i 3 secondi di un lancio chilometrico in zona touchdown) delle persone, e questo non attiene solo allo show sportivo ma anche al contorno, che piace tanto quanto la partita.
Gli spot televisivi che vengono trasmessi durante l’evento sono unici e pensati appositamente per l’occasione: le persone sono incuriosite da quello che i brand possono tirare fuori dal cilindro annualmente, e la qualità delle pubblicità assume un’importanza tale che eguaglia quella della prestazione dei giocatori.
Il grafico fornito da Marketing Charts ben sintetizza come sia cambiata, nell’arco di un decennio, la percezione delle pubblicità da parte del pubblico televisivo. Ben il 2.4% in più rispetto al 2008 vede le pubblicità come intrattenimento vero e proprio. Il 2.8% in meno pensa che i brand farebbero meglio a non spendere tutti quei soldi. I consumatori inoltre, pur essendo più consapevoli della pubblicità, ammettono di esserne maggiormente influenzati rispetto al passato.
I nuovi media stanno prendendo il sopravvento e le percentuali di budget allocate sui media tradizionali diminuisce di anno in anno, ma c’è un muro difensivo che il web 2.0/3.0 ancora non è riuscito a sfondare, ed è proprio quello del Super Bowl.
Il Super Bowl è l’unico evento che i nuovi media non riescono a contrastare, ma che anzi rinforzano.
Il sillogismo di questa frase è dato dalle campagne social che hanno come culmine la prima domenica di Febbraio di ogni anno. L’hype generato dall’evento fa si che quanto accade sui social media sia solamente un contorno, una fase preparatoria per un climax che mediamente coinvolge più di 110 milioni di spettatori durante l’anno.