
Ultimamente non si è parlato d’altro che di XIAOMI, della sua IPO miliardaria e dell’apertura del nuovo store a Milano. Gli smartphone XIAOMI low-cost hanno catturato l’attenzione collettiva segnando una vera e propria svolta nel settore degli smartphone. Il brand è l’incarnazione dell’ambizione di rivaleggiare con i prodotti Apple e Samsung, alla metà del loro prezzo di mercato, magari uscendone vincitori.
Tuttavia, XIAOMI non ha incentrato il proprio business solamente sugli smartphone, ma ha uno dei business model tra i più diversificati del mercato. I suoi profitti poggiano su diverse leve, così da non dipendere da un singolo business, e le sue strategie di marketing hanno svolto un ruolo centrale. Il risultato? XIAOMI è una delle aziende più flessibili degli ultimi anni.
Ma chi è XIAOMI?
L’azienda nasce in Cina nel 2010 dalle menti di Lei Jun e Bin Lei con lo scopo di rivoluzionare il mercato della telefonia differenziando comunque il proprio portafoglio prodotti in diversi settori di business. Il termine XIAOMI deriva dalle parole “piccolo” e “riso” e vuole rifarsi ad un antico detto buddhista secondo il quale sarebbe opportuno lavorare alle piccole cose, lentamente, senza cercare subito la perfezione, che altrimenti potrebbe deviare i piani ambiziosi di chiunque.
La società cinese si è fatta subito conoscere nel mercato vendendo device a prezzi accessibili a chiunque e con delle caratteristiche tecniche comparabili a rivali come Apple e Samsung, attirando così su di sé gli occhi di clienti e investitori. Il primo smartphone prodotto è stato il modello M1, ad un prezzo inferiore ai $300, ed è andato in sold-out in meno di tre ore.
È evidente come la vision del brand sia stata fin dagli inizi Value before price: lo smartphone doveva rappresentare gli standard di eleganza e innovazione, ma senza essere accessibile solo a quella piccola nicchia di consumatori disposti a pagare molto per averlo.
Dal momento che il mercato cinese con il quale stava iniziando a confrontarsi XIAOMI era per lo più saturo, con brand come Huawei, Oppo e Vivo già affermati, per poter emergere ha deciso di puntare sulla diversificazione del portafoglio di prodotti, consolidandosi quindi non solo come un’azienda produttrice di smartphone.
XIAOMI, infatti, oltre a smartphone, produce tablet, accessori per mobile phone, action cameras, fit tech wearables, prodotti tecnologici per la casa, simil-hoverboard, valigie, laptop, droni, ma anche delle semplici penne. Non è una smartphone company, ma una tech company a 360°. Giusto per farvi un’idea dell’immensità di prodotti disponibili date un’occhiata all’immagine qui sotto.
Tuttavia, il core business di XIAOMI è rappresentato dalla vendita di smartphone. Solo il 30% dei ricavi dell’azienda deriva dalla vendita di componenti e accessori esterni agli smartphone, come si nota nel grafico sottostante, riferito alla fine dell’anno 2017.
Sotto questa prospettiva, XIAOMI ha ottenuto un vantaggio competitivo e un fattore di differenziazione rispetto ai competitor mondiali in particolare grazie all’hype creato attorno al lancio dei propri prodotti, soprattutto in ambito social media, generando vendite shock, una domanda in costante crescita e stock indisponibili solo dopo poche ore dalla messa in vendita. Questo ha fatto sì che nel consumatore medio di XIAOMI si instaurasse una sorta di brand loyalty che lo avrebbe portato in futuro all’acquisto di prodotti aggiuntivi a quello già acquistato e rientrante nelle infinite linee di prodotti XIAOMI.
Nello speech del TEDxIIFTDelhi sottostante Manu Kumar, Country Manager and India Head di XIAOMI, spiega come, senza puntare in advertising, le strategie di marketing siano efficienti ed efficaci, soprattutto facendo i conti con un mondo digitalizzato come quello con cui ci stiamo interfacciando.
Il brand cinese ha puntato su un modello di business basato sull’ingente volume di device prodotti. La marginalità su cui può basarsi è relativamente ristretta considerando che il prezzo di vendita si avvicina molto al costo di produzione. Con la lealtà che si instaura nel consumatore XIAOMI riesce a creare una sorta di “ecosistema” attorno al proprio brand, portandolo all’acquisto di componenti aggiuntivi o gadget di altra natura.
L’espansione nel mercato orientale
Dopo aver trovato terreno fertile in Cina, XIAOMI ha deciso di ampliare il proprio raggio d’azione in altri mercati emergenti limitrofi, come India, Taiwan, Russia e Malesia. Per portare avanti questo progetto ha assunto Hugo Barra, precedentemente dirigente del reparto Android di Google, che ha iniziato a gestire in prima persona la divisione relativa all’espansione internazionale.
Nel 2014 è entrato in India con un notevole successo soprattutto grazie all’accordo stilato con il gigante del commercio elettronico Flipkart, vendendo più di un milione di device e coprendo nell’intero 2014 un volume di vendite superiore a 61 milioni. È diventata così la startup più grande al mondo, valutata 45 miliardi di dollari.
Questa espansione comunque non è stata rose e fiori per XIAOMI, con i problemi legali che iniziavano ad emergere più che mai. Sfruttando il fatto che nei paesi in via di sviluppo le leggi in materia di proprietà intellettuale non fossero tra le più ferree, ha così distribuito sul mercato dispositivi che violavano le licenze detenute da altri player. E non ha incontrato resistenze fintanto che Ericsson, competitor naturale, ha denunciato in India la società cinese per aver violato dei brevetti in merito alla tecnologia wireless.
Da questa esperienza XIAOMI ha compreso che, se avesse voluto vendere i propri dispositivi in mercati sviluppati come USA ed Europa, avrebbe dovuto sviluppare una politica legata alla proprietà intellettuale più stringente.
La conquista dell’occidente
Dal 2011, XIAOMI ha dimostrato una crescita esponenziale nell’acquisto di brevetti supportando il piano a lungo termine di penetrare i mercati occidentali senza incorrere in onerose sanzioni. Nel grafico sottostante si può notare l’evoluzione anno per anno del numero di brevetti depositati, con un picco registrato nel 2015.
Hugo Barra ha dichiarato a Bloomberg come infatti queste mosse avessero avuto per lo più un carattere difensivo, per proteggersi da eventuali attacchi legali, sulla falsariga di quello che Google fece nel 2011 acquisendo Motorola per proteggere, attraverso l’enorme quantità di brevetti dell’azienda di telefonia mobile, la proprietà intellettuale legata ad Android. Attualmente USA ed Europa sono le seconde aree geografiche dove XIAOMI ha depositato il maggior numero di brevetti, rispettivamente 786 e 408.
L’azienda cinese è arrivata a diversi accordi strumentali alle proprie strategie per poter usufruire dei brevetti detenuti dalle più svariate società, ma in particolare hanno ottenuto notevole rilevanza le collaborazioni nate con Intel e Microsoft, i quali vantavano una forte presenza, sia a livello di brand che di vendite, in Occidente. In particolare, l’accordo di cross-licensing stipulato con Microsoft comprendeva più di 1,500 brevetti, legati ad AI ed hardware, detenuti dalla società di Bill Gates per un valore che si aggirava attorno ai 40 milioni di dollari.
A differenza di Cina e India, nei paesi occidentali si è diffusa sempre più la consuetudine di acquistare uno smartphone incorporato ad un contratto telefonico con un qualsivoglia operatore mobile, dilazionando l’acquisto mensilmente, in allegato ad un offerta di dati e minuti di chiamata. Ecco che il forte peso dato al basso prezzo di XIAOMI agli occhi del consumatore si riduce drasticamente, ritrovandosi a competere con i giganti della mobile phone industry come Samsung ed Apple, che già godono di un importante posizionamento, con una lieve differenza di prezzo.
Per questo le partnership con operatori telefonici e l’imminente IPO alla borsa di Hong Kong, per un valore attorno ai 10 miliardi di dollari, sono l’inizio di un percorso che porterà XIAOMI a penetrare i mercati occidentali. E se le sue strategie di vendita sono sempre state coerenti con quelle implementate sin dall’inizio, per portare a termine questo obiettivo qualcosa è però cambiato.
Strategie di marketing targate XIAOMI
XIAOMI è partita con l’idea di fornire al proprio pubblico prodotti di qualità ad un prezzo accessibile a chiunque, uscendo dal classico target del settore high-end. Lo ha fatto focalizzando buona parte delle proprie energie nel servizio after-sale: il consumatore va assistito, sempre, al fine di instaurare un rapporto di fedeltà tra esso e il brand. Ciò ha dato vita ad un vero e proprio ecosistema ruotante attorno alla startup cinese, grazie a strategie mirate e sviluppate per obiettivi a lungo termine.
Innanzitutto, XIAOMI non è tanto paragonabile ad Apple ma piuttosto ad un colosso come Amazon, un eCommerce company. Le vendite avvengono per la maggior parte attraverso i canali online, in particolare il suo official website, lo stesso che vale come vetrina di tutti i prodotti disponibili ma anche come panel di ciò che ha in serbo XIAOMI per i mesi a venire, a monito della sua continua innovazione e sviluppo della linea prodotti.
Il suo modello di vendite unicamente incentrato sul servizio online ha comunque subito una variazione nell’ultimo periodo quando c’è stata una massiva inaugurazione dei Mi Store, negozi fisici monomarca XIAOMI molto simili agli Apple Store per predisposizione dei prodotti e design interno, pensati per una più diretta ed efficiente assistenza post vendita e per raggiungere quel segmento di consumatori non ancora propensi ad un acquisto totalmente via web.
I costi legati ai tradizionali media per sponsorizzare il brand e i rispettivi prodotti sono stati tagliati nettamente attuando una comunicazione basata interamente sui social media, ovvero costi inferiori e con un ROI (Return on Investements) decisamente superiore, se paragonati alle immense commissioni necessarie per essere presenti sulle televisioni nazionali. I social media miravano all’awareness del brand, ovvero alla consapevolezza della sua esistenza, tra i consumatori attuali e potenziali e a spingere le vendite flash.
La piattaforma più utilizzata? Weibo, un social cinese che potremmo definire un mix tra Facebook e Twitter, dove addirittura ogni linea di prodotti aveva il proprio account personale.
La produzione di XIAOMI è estremamente snella, al fine di evitare sprechi inutili, e per la maggior parte delle volte inferiore addirittura alla domanda prevista, al fine di creare un hype globale attorno al prodotto ed evidenziare (sempre sui social) la rapidissima vendita shock di tutti i modelli prodotti. Ad esempio i 50,000 esemplari del modello Mi4 sono andati in sold out in soli 25 secondi. Ovviamente segnalato sul profilo Weibo aziendale.
Anche se la domanda eccedeva paurosamente l’offerta di XIAOMI, la società non ha mai pensato di aumentare i prezzi, cosa più che naturale in situazioni del genere. La politica di prezzi era e sarà sempre “low-cost smartphone for everyone”, senza la quale non saremmo qui a parlarne.
Quello che ad ogni modo ha differenziato XIAOMI dagli altri smartphone handset makers è stata la creazione da parte dell’azienda stessa di forum e community di appassionati del brand, che magari inizialmente avevano acquistato un gadget, poi uno smartphone e così via, fino all’instaurarsi di una sorta di loyalty nei confronti di XIAOMI. Queste community sono il vero cuore pulsante della startup, forse la più sincera ed efficace pubblicità che potesse ottenere, accompagnata da concreti “loyalty programs” stile supermercato, con annessa accumulazione di punti ad ogni acquisto, che in futuro si traducono in sconti di qualsiasi genere.
Cosa vuole ottenere XIAOMI?
Il primo quadrimestre del 2018 XIAOMI, secondo i dati della società di consulenza Gartner, ha raggiunto il quarto posto su scala globale per unità vendute con un market share di 7.4%, dietro solo a Samsung, Apple e Huawei, segnale di come le strategie poste in atto dalla startup cinese stiano avendo i risultati voluti. Forti di una possente presenza nel continente asiatico, in Cina e in India in particolar modo, quindi una proporzione altamente importante rispetto al totale mondiale, le vendite nei paesi occidentali sono aumentate a dismisura negli ultimi anni.
XIAOMI però non punta ad essere presente sul panorama globale come una singola azienda produttrice di smartphone, ha fatto quel passo in più per guadagnare una rilevanza maggiore, ha puntato su accessori e gadget. Come ho descritto precedentemente il suo business model si aggrappa sulla vendita di quei comparti extra smartphone, che creano una sorta di loyalty del consumatore verso il brand. Ecco, XIAOMI per lo più non li produce neppure quei gadget. Ha investito in più di 70 società che già producevano letteralmente “qualsiasi cosa”, dandogli la possibilità di brandizzare a marchio XIAOMI i propri prodotti e mettendo a loro disposizione marketers, designer e i propri canali di supply chain. Zero costi di produzione, solamente investimenti che ora producono device profittevoli e che in futuro saranno comunque merce di scambio nel caso le partnership non siano più adeguate agli standard XIAOMI. Tutto ciò con un’unica vision: “Ogni device elettronico che si può possedere prima o poi potrà diventare smart”.
Questa è la sottile differenza che c’è tra XIAOMI e società come Apple, la diversificazione. E nel 2018, in un mondo eterogeneo come questo, è la vera chiave del successo su larga scala.
Ma quindi?
XIAOMI tra le sue strategie di diversificazione e la sue ottime campagne pubblicitarie a costo zero ma con ritorni superiori a quelle tradizionali ha la strada spianata per emergere da vincitore nel settore della telefonia high-end, riuscendo a cambiarne le regole, offrendo smartphone di alta gamma ma a prezzi dimezzati rispetto la media.
Tutto contornato dalla vendita di quei gadget che sempre più stanno correndo parallelamente al core business degli smartphone, aumentando la fedeltà dei clienti e catturandone di nuovi.
Se diventerà leader di mercato? Molto probabile, staremo a vedere.