
Spesso diamo per scontato che il funzionamento di oggetti tecnologici anche di uso quotidiano sia reso possibile dall’unione di diversi componenti, che insieme ne permettono il funzionamento. Ma cosa accadrebbe se, nel mercato mondiale, l’offerta delle parti che formano il “cervello” di ogni mezzo tecnologico fosse nettamente inferiore alla domanda sempre più crescente di questi strumenti?
Tra questi componenti rientrano i chip e i semiconduttori che vengono inseriti non solo nei pc, ma vengono utilizzati in diversi settori come automotive, manifatturiero, gaming e medico. La richiesta di questi prodotti ha creato delle condizioni problematiche che si sono intensificate nel periodo di pandemia.
Perché è un problema industriale?
Il primo fattore riguarda la produzione globale di questi accessori, che principalmente è affidata a poche aziende che hanno sede tra Taiwan e la Corea del Sud, che vantano maggiormente clienti importatori.Inoltre, aumentando la complessità per migliorare le prestazioni dei chip, i tempi di consegna sono ora di 26 settimane (compresi i tempi di produzione), con un costo sempre più alto per le aziende a livello di ricerca e sviluppo, macchinari da lavoro e materie prime (importate da pochi paesi con i giacimenti).
è da considerare anche che chi opera in questo settore è maggiormente predisposto a lavorare per aziende che possono offrire un più alto ricavo (ad esempio, i chip con più alte prestazioni si rivolgono ad auto elettriche o gaming), tendendo a glissare la produzione di chip più obsoleti e meno remunerativi per l’industria di massa.
Un quadro geopolitico instabile
Un altro fattore è di carattere politico-economico: a seguito dei diversi ban imposti alle aziende cinesi, molte di queste si sono rifornite di chip in maniera massiccia per programmare la produzione dei mesi successivi, strategia seguita ad esempio dal colosso Huawei. Questo effetto a cascata ha colpito le principali aziende hi tech cinesi, eliminando dal mercato milioni e milioni di scorte e creando un effetto domino su altri settori. A ciò si aggiungono anche i ritardi nei tempi di consegna dovuti all’aumento delle spese doganali, che ha sua volta implica la partenza dei vettori commerciali navali solo a pieno carico.
Il Covid-19 scuote definitivamente il settore
In questo scacchiere molto complesso si sono aggiunte di recente anche questioni legate alla pandemia di Covid-19, che da un lato ha aumentato la domanda di componenti a seguito della crescita delle vendite di dispositivi per il lavoro e la la didattica a distanza, ma dall’altro il lock-down ha rallentato e fermato la produzione di questi elementi.
Uno dei mercati più colpiti da questa situazione è il comparto automotive, che non sviluppando una scorta di chip ma lavorando su richiesta e programmazione, al momento della ripartenza si è trovato sprovvisto in quanto altri settori avevano assorbito anche questa parte di offerta, causando un ritardo nella programmazione della produzione del settore veicoli.
Come è possibile uscire da questa crisi?
Secondo gli analisti la crisi durerà alcuni anni, nonostante i principali player di questa partita USA e Cina, seguiti dall’Europa, stiano sviluppando diversi progetti per sopperire al problema.
Gli Stati Uniti, sotto l’amministrazione di Biden, stanno creando un piano di investimento da 50 mld di Dollari che prevede collaborazioni con alcune aziende e la creazione di nuove grandi fabbriche sia in Asia sia nel territorio americano.
La Cina invece, oltre a poter rivendicare la proprietà dei metalli alla base dei chip, mira a diventare autonoma nella produzione dei prossimi anni attraverso incentivi e sgravi statali per la creazione di fabbriche adibite alla produzione dei componenti, di fatto cercando un autonomia dal resto del mondo.
L’Europa dal canto suo non rimane a guardare e prova a creare un doppio filo orientato al lungo periodo, puntando alla costituzione in casa di aziende ad hoc e accordi con i principali paesi partner produttivi per rafforzare la filiera di approvvigionamento in attesa della produzione interna.