
La Voice Search, ovvero il riconoscimento vocale e la capacità di un motore di ricerca di tradurre il linguaggio naturale in una richiesta di un utente, o “query”, sta modificando il modo con il quale procacciamo online le informazioni che ci servono. Questo cambiamento ha delle implicazioni per i marketer del digitale, in primis per chi fa Search Marketing, ossia per chi si occupa di SEO e SEM.
Ho voluto scrivere questo approfondimento sulla Voice Search (detta anche “Vocal Search”), trattandosi di un argomento che meritava il suo spazio a sé stante. In quella che si può definire la Storia della Search, la ricerca vocale è uno degli ultimi traguardi raggiunti, un’innovazione che più di altre sta contribuendo a tracciare l’evoluzione della ricerca online.
Cambia il modo in cui ricerchiamo le informazioni su internet. E questo grazie ai diversi assistenti personali che le grandi aziende dell’IT hanno sviluppato in questi anni. Apple con Siri, Microsoft con Cortana, Amazon con Alexa, Google con il suo Google Now e Baidu con Duer, ci hanno fornito delle intelligenze artificiali in grado di comprendere (con un’accuratezza superiore al 95%) dei comandi che diamo loro utilizzando la nostra sola voce.
Gli smart assistant ci permettono di svolgere una miriade di compiti: effettuare chiamate, ottenere un percorso su una mappa, scrivere messaggi sotto dettatura, segnare dei promemoria o degli eventi sul calendario, riprodurre dei brani, seguire le istruzioni di una ricetta, fare acquisti e porre domande di qualsiasi tipo, non mancando di senso dell’umorismo (provate a rivolgervi a Siri chiamandola Cortana o viceversa!).
Si tratta quindi di comandi che, dati attraverso il solo uso della voce, permettono di far risparmiare tempo, soprattutto a chi ha una mano impegnata se non persino entrambe. Inoltre l’integrazione tra dispositivi, ad esempio tra smartphone e wearable, permette uno scambio di dati che amplia le funzionalità degli assistenti personali. Queste comodità lentamente si traducono nella delega di sempre più compiti ad un’intelligenza artificiale che altro non è se non una segretaria. E come una brava segretaria che si rispetti, questa sa della nostra vita più della maggior parte delle persone reali con cui interagiamo.
Gestisce i nostri impegni, le nostre attività e le informazioni di cui abbiamo bisogno. Oggi accumula dati per facilitare la nostra vita, domani inizierà a darci suggerimenti non necessariamente su richiesta, in particolar modo sui prossimi acquisti (avevate notato che c’è anche Amazon tra le aziende citate sopra, vero?), dopodomani ce ne innamoreremo, come accade a Theodore che nel film “Her” (2013) perde la testa per Samantha, la sua assistente digitale.
Questi smart assistant fanno e faranno sempre più parte della nostra vita di tutti i giorni. Principalmente li interroghiamo attraverso i nostri smartphone, all’interno delle miriadi di app in cui sono integrati, ma anche mediante altri dispositivi. Cortana di Microsoft è presente in Windows 10 ma anche nell’Xbox One, creando un unico sistema pc-smartphone-tablet-console. Alexa è presente in Echo, un cilindro nero connesso via Wi-Fi da tenere in casa a cui chiedere notizie sul meteo o di riprodurre la musica che vogliamo, di ascoltare audiolibri, di controllare i dispositivi elettronici di domotica con cui si integra e… di fare acquisti. E sarà sempre più abile nel comprendere le nostre “query”, persino di riconoscere dall’intonazione della nostra voce il nostro stato emotivo.
Google non si è fatta distaccare dai competitor e ha di recente lanciato Google Home, un dispositivo/assistente personale simile ad Echo che si integra con i vari servizi di Google, tra cui Google Foto, e di recente anche con Netflix, mentre in futuro sarà data la possibilità ai developer di sviluppare delle applicazioni ad hoc per questo dispositivo.
Nel settore dell’automotive Ford ha lanciato “SYNC”, un sistema per impartire comandi vocali all’automobile connesso a sua volta con lo smartphone, qualora volessimo effettuare una chiamata o riprodurre una playlist su Spotify.
È il tripudio dell’Internet of Things: gli oggetti con cui normalmente interagiamo diventano connessi, assumono un’intelligenza e si scambiano dati tra loro. Nel 2020 i dispositivi IoT si stima saranno 34 miliardi: 10 di questi saranno tradizionali dispositivi elettronici (smartphone, tablet, smartwatch, ecc…) mentre gli altri 24 saranno quelli di cui si è parlato sopra, insieme ai frigoriferi che terranno l’inventario del cibo che abbiamo e faranno la spesa in base ai nostri consumi abituali, alle porte di casa che veglieranno per evitare intrusioni, ai cassonetti dell’immondizia che ottimizzeranno la raccolta dei rifiuti, ai dispositivi-giardinieri che monitoreranno la salute delle nostre piante.
La diffusione della Voice Search
Circondati da tutti questi dispositivi intelligenti, le occasioni d’uso della ricerca vocale non possono che aumentare. Oggi le query vocali rappresentano il 20% del totale e si stima saranno il 50% nel 2020.
Il vantaggio principale, secondo uno studio condotto da MindMeld, è il poterne fare uso quando si hanno le mani o la vista occupate, ma anche per ottenere un risultato in modo più veloce o perché si reputa semplicemente più comodo non utilizzare la tastiera.
Come già detto la Voice Search viene in nostro aiuto per rispondere a delle esigenze abituali. Le diverse query vocali possono essere suddivise in quattro macro-categorie:
- Informazioni locali: rientrano in questa categoria tutte le query che riguardano ristoranti, hotel, meteo, eventi, mappe e percorsi;
- Intrattenimento: vi fanno parte tutte le richieste inerenti la musica, i film, i videogiochi, i libri, ecc…
- Assistente personale: in questa categoria vi rientrano tutte le query ma anche i comandi (perché poi è il software a capire se deve eseguire un’azione o effettuare una ricerca in rete) strettamente personali quali il chiamare o il mandare un messaggio, controllare lo status di un volo, il calendario o la sveglia;
- Informazioni generali: vi fanno parte tutte le altre tipologie di query quali curiosità, dizionario, notizie e andamento dei titoli, ricerca di prodotti o di consigli su come fare qualcosa.
Il linguaggio naturale delle ricerche vocali
Con la Voice Search a cambiare è e sarà prima di tutto il nostro modo di porci nei confronti degli assistenti personali. Sarà come rivolgersi a delle persone e non più ad una “fredda interfaccia”. E nella ricerca online questo appare subito evidente. Negli ultimi 15 anni ci siamo rivolti ai motori di ricerca attraverso delle query tendenzialmente “efficienti” (non “sempre”, ho usato “tendenzialmente” non a caso), limitando il numero di parole allo scopo sia di risparmiare tempo ma anche di dare in pasto al motore quelle parole chiave ritenute “necessarie e sufficienti” per ottenere la risposta che volevamo.
Con i nostri assistenti personali iniziamo delle vere e proprie conversazioni. A cominciare dai comandi base (notate come la mamma sia più cercata rispetto al papà!).
Utilizziamo quindi un linguaggio naturale, contraddistinto da quella immediatezza, quella comodità e quell’intimità che la ricerca testuale non ha mai avuto e mai avrà.
Le query vocali sono tendenzialmente più lunghe di quelle testuali: “Quanto costa un hard disk se lo compro online?” sostituisce l’economica “Hard disk prezzi”. Quelle vocali comprendono più spesso anche gli articoli e le preposizioni e il divario sarebbe ancor maggiore se non fosse per le query “copia-incolla” tipiche del desktop.
A dominare le query vocali vi sono le famose “question words”: Cosa, Dove, Come, Quanto, Quale e Quando.
Le percentuali che vedete in questo istogramma ci dicono quanto crescono le singole “question words” di anno in anno all’interno delle query. Il loro impiego è spaventosamente cresciuto ma ancor più interessante è notare l’intento che spesso queste parole rivelano.
Una classica e generica query come “MARKETERs Day” ci dice ben poco su ciò di cui ha bisogno il nostro utente, ma aggiungendo le “question words”, ecco che l’intento si fa più chiaro e con esso anche la posizione dell’utente nella customer journey:
- “Di cosa si parlerà al prossimo MARKETERs Day?”
- “Chi saranno gli ospiti del prossimo MARKETERs Day?”
- “Quanto costa il biglietto per il MARKETERs Day?”
- “Quando sarà il prossimo MARKETERs Day?”
- “Dove si svolge il MARKETERs Day? Sono appena uscito da casa e sono nel panico!”
Ovviamente l’ordine non è generalizzabile ma anzi varia da settore a settore. Sta di fatto che si tratta di informazioni succulente per chi fa Search Marketing.
Di seguito un video con vari esempi di query vocali (notate anche come il motore di ricerca faccia tesoro delle ricerche precedenti).
Quali sono le implicazioni della ricerca vocale per il Search Marketing?
Chi lavora nel Digital Marketing, e in particolare chi si occupa di SEO o di SEM non può certamente ignorare questo trend. La conoscenza del proprio utente/consumatore passa anche (non solo, ovviamente) per ciò che questi cerca online e per il modo in cui lo fa.
L’analisi delle parole chiave si arricchisce così di maggiori informazioni. In particolare, come si è detto, circa l’intento degli utenti, ossia dove questi si trovino all’interno della sua customer journey. Ciò può dare degli interessanti insight utili alla definizione della struttura del proprio sito web o della strategia di content marketing, sempre meno legata alle singole parole chiave e più alle tematiche e agli argomenti correlati. I contenuti devono essere sempre pensati per rispondere a delle esigenze (un classico esempio è la sezione FAQ di un sito).
Dagli intenti possono emergere spunti utili anche per la struttura delle campagne di Paid Search: in determinati casi/mercati può essere utile raggruppare i propri annunci e le proprie landing page in base all’intento dell’utente e quindi a quanto vicino questi si trovi dalla conversione. Può aver senso pagare di più per delle keyword che pongono l’utente più “vicino” alla conversione? Se il mio consumatore ha difficoltà nel comprendere come usare il mio prodotto, la pagina dove lo farò atterrare verterà più sul vantarne le funzionalità o sul mostrare un video “how to”?
Comprendere l’intento che sta dietro una ricerca ci aiuta ad immedesimarci meglio nell’utente e a capire le sue esigenze e ci consente di scegliere le parole giuste da usare: che si tratti di contenuti delle pagine informative, di annunci pubblicitari o di landing page. Un tono più conversazionale in genere risponde meglio alla domanda vocale dell’utente.
Le query vocali possono darci anche informazioni sulle esigenze degli utenti legate nello specifico al nostro brand: ci possono dire se ad esempio hanno difficoltà a comprendere alcune caratteristiche del nostro prodotto, ad usarlo o persino a trovarlo nei negozi.
E tutte queste implicazioni sono ancor più di rilievo per tutte le attività di business di tipo local, che competono non solo su spazi ravvicinati ma anche in tempi ravvicinati, dato che spesso tali query vocali sono formulate in movimento (in macchina ad esempio) e quindi un’eventuale distanza tra l’intenzione e l’acquisto è di gran lunga più breve. Il processo d’acquisto è più breve.
In generale pensate sempre che quando l’utente cerca qualcosa su internet che riguarda un prodotto non cerca di acquistare, cerca di avere una risposta che gli porti valore (che può essere anche acquistare, ma non necessariamente in quell’esatto momento). Il vostro scopo non è quindi vendere ma rispondere offrendo un contenuto di valore. La Voice Search vi darà sempre più spunti per comprendere meglio cosa può portare maggiore valore al vostro utente in base al suo intento.
La Voice Search è uno dei temi centrali per quanto riguarda gli sviluppi futuri della Search Engine Optimization. Al Search Marketing Connect, dove saremo Media Supporter, sarà materia di discussione con uno speech di Marco Loguercio, CEO e Fondatore di FIND, dal titolo “Search Vocal: Google Home e Scenari Futuri“. Seguite il nostro live tweeting dagli account @ThisMLife e @mktrsclub per non perdervi nemmeno un minuto del Search Marketing Connect: l’evento per professionisti del mondo della SEO, Web Analytics e PPC!