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Welcome to the MemeEconomy

da 6 Luglio 2017Luglio 7th, 2017Nessun commento

I meme – o meglio, i dank memes – non sono più un fenomeno di nicchia per nerd su 4chan, Reddit o 8chan, gli imageboard e aggregatori di threads più usati dai fanatici delle sottoculture della rete. Siamo davanti a un nuovo standard comunicativo, a un nuovo fenomeno culturale di massa: siamo davanti alla MemeEconomy.

Economia, almeno nel suo significato etimologico, vuol dire “le regole che governano la casa”, e con “casa” non possiamo che intendere qualsiasi ambiente o contesto. Nel contesto del trend comunicativo ormai usato e compreso da buona parte dei nativi digitali, c’è un nuovo standard, un nuovo paradigma: il meme.

Meme, chi è costui?

Come si definisce un meme? Lo scienziato Richard Dawkins, ne “Il gene egoista” (1976), cercava di spiegare il comportamento evolutivo non degli esseri viventi, ma delle culture. Per inquadrare i cambiamenti e le evoluzioni culturali Dawkins introdusse allora un concetto parallelo al gene: il meme. Per chi mastica un po’ di greco antico, deriva da “mimesis”, cioè “imitazione”. Si tratterebbe di idee, concetti (Dawkins le chiama “unità di trasmissione culturale”) che passano di cervello in cervello.

Col tempo e con l’uso, ogni meme si modifica in modo casuale e impercettibile, evolvendo in nuove forme, arrivando a un nuovo standard (come i memes a noi familiari, i dank memes) o spegnendosi. Così come il gene, il meme lotta e si modifica per garantirsi la sopravvivenza: ma dove il gene cerca di garantirsi energie biologiche, il meme necessita dell’attenzione per continuare ad auto-replicarsi. E quando un meme si auto-replica, ha vinto: è allo stato virale, si è ritagliato un posto nello spirito del proprio tempo.

Un meme allo stato virale è pronto ad avere un ritorno nella realtà sociale, fino ad arrivare anche a livello istituzionale: c’è stato un periodo in cui il conduttore televisivo Giancarlo Magalli era diventato un’ossessione dell’internet italiano (ancora oggi ci sono delle tracce, a dire la verità), con una pioggia di memes su di lui che ha saputo ben cavalcare; in contemporanea, il Parlamento stava tentando di eleggere il Presidente della Repubblica. Risultato? Qualcuno ha votato veramente per Magalli.

Il senso di sfruttare un meme

Certo Dawkins nel 1976 non credeva di diventare il padre della teoria che spiega il nuovo paradigma comunicativo del web, però sembra che sia stato in grado anche di spiegare come un meme, nato da un contesto, possa modificare il contesto stesso da cui è nato grazie a un processo di memetic engineering (jobs of the future, anyone?). In pratica, l’effetto che un meme ha su una società deriva dalla diffusione del meme stesso da parte di chi ne ha compreso qualità essenziali e potenzialità: conosci la materia, fai in modo di manipolarla creando le giuste “unità di trasmissione culturale”, diffondile e osserva il ritorno sperato in termini di cambio dello scenario in cui comunichi. Semplice, no? A questo punto, sarà evidente il potenziale che il meme ha in termini di marketing. Un case study interessante in materia può essere la svolta vaporwave di Tassoni. La cedrata Tassoni è da sempre un prodotto di nicchia, “alternativo” sia nel target che nel modo di presentarsi grazie all’iconica canzoncina dello spot. Se su internet vengono sommati un’immagine retrò, un prodotto di nicchia e una canzoncina iconica (e già per sua natura vicina a certi ritmi di tendenza nelle sottoculture del web) il risultato è questo: Il meme a questo punto era nato, nel 2015. Bisognava solo alimentarlo e, possibilmente, bisognava che lo facesse anche il protagonista del meme, nel suo stesso interesse: quando il target è un pubblico di nicchia e il marchio diventa virale pur continuando a essere coerente con la sua identità aziendale, c’è solo da guadagnare in awareness. Fortunatamente, Tassoni è stata abbastanza illuminata da rilanciare questo tipo di user-generated content, riguadagnando l’attenzione anche del sottoscritto e spingendolo a comprare in prima persona il prodotto. Altro esempio di come un brand possa utilizzare i meme per distinguersi dalla concorrenza ce lo fornisce Unieuro: dopo essersi creata un pubblico che ormai preferisce i meme del Social Media Manager (nei commenti viene chiamato a volte anche “mastro mematore”) al resto dei post, ha lasciato quella che viene definita “base” del meme ai suoi utenti, spingendoli a creare un meme su Unieuro a partire da quella. Il Tone of Voice da usare era chiaro, l’oggetto del meme anche, restava solo lo spazio per l’inventiva degli utenti. Inutile dirlo, il risultato è stato una pioggia di interazioni, con il meme “vincitore” postato da loro il giorno dopo: anche questa una mossa da manuale.

L’analisi del MemeMarket

Il punto è che, essendo ancora un fenomeno in maturazione, i trending memes sono difficili da prevedere nella loro parabola, oltre che nel loro bacino d’utenza ideale. Tuttavia stanno nascendo degli strumenti utili per chi li sa usare. Ci sono degli esperti, dei memetic engineers (o – se preferite – dei nerd della periferia del web), che hanno ideato un “mercato” dei meme, una miniera d’oro per chi lo prende sul serio nelle sue serie implicazioni. Sto parlando del subreddit r/MemeEconomy e del cosmo che gli sta crescendo attorno, come un magazine di riferimento e una sorta di enciclopedia dei memes indipendente.  

In pratica, il tutto funziona come un mercato finanziario con tre indici di raccolta “titoli” su cui poter investire (in termini di GBP – GoodBoyPoints, una valuta fittizia con cui partecipare a questo strano tipo di trading – o in termini di memetic engineering, per ciò che interessa a noi). Questi titoli sono memes specifici che appartengono a un indice o all’altro sulla base delle loro caratteristiche.

L’indice S&MEME500 raccoglie tutti i memes con un minimo di viralità (ovvero quelli che, anche se minimamente, sono stati condivisi e ricondivisi in un determinato contesto) e li cataloga fino alla loro “morte”, ovvero l’esaurimento del loro potenziale virale. DADJOKES è uno dei due indici che raccolgono i memes di alto valore e viralità, ma è specializzato in “mainstream memes”. Sono mainstream quei memes che anche vostro padre sarebbe capace di capire e condividere sul suo profilo Facebook (per questo DADJOKES) o che, più in generale, devono la loro viralità principalmente a Facebook.

L’altro indice di memes di alto valore è il NASDANQ, che raccoglie i memes meno mainstream (quindi virali su 4chan, Reddit, 8chan…) ma comunque ad altissimo tasso di viralità. L’esempio più calzante di meme da NASDANQ è Pepe the Frog: è stato un meme per anni, sempre di nicchia, fino a quando è esploso come simbolo delle campagne della alt-right a favore dell’elezione di Donald Trump (motivo per cui continua a fare scalpore). Il suo creatore, il fumettista Matt Furie, non riconoscendo la svolta di significato che Pepe ha preso, si è visto recentemente costretto a “uccidere” la sua creatura, disegnando il funerale dell’anfibio. Ha dovuto uccidere il meme, ormai troppo potente a livello comunicativo per poter cambiare pelle: la alt-right di 4chan scrisse, giustamente, “we actually elected a meme as president”.

Funeral Pepe the frog by Matt Furie

Insomma, se pensate che i memes possano essere la next big thing per le vostre campagne di comunicazione, da oggi avete anche gli strumenti per essere un passo avanti agli altri in materia; basterà solo imparare a districarsi in questo mondo di persone estremamente insolite, che potrebbero concludere un articolo così:

Here's a potato meme

Thomas Siface

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