
Vi siete mai chiesti cosa significhi essere sostenibili per un’azienda e quale sia la responsabilità sociale di un brand?
Sostenibilità e corporate social responsibility sono due temi che hanno fatto fare negli ultimi anni un cambio di mentalità all’economia
Certamente il mondo non è cambiato in poco tempo e ci sono molte realtà solo di facciata su queste tematiche ma il cambiamento climatico e tutto il resto non stanno ad aspettarci, ma siamo noi a dover cercare di cambiare approccio e rimetterci in carreggiata. Fortunatamente esistono anche aziende che hanno ben chiara questa direzione e possono essere da esempio e da traino per tutti, ispirando anche il singolo nella sua quotidianità.
Grazie al MARKETERs Day 2023 “No Time To Waste” e al lavoro del MARKETERs Club abbiamo avuto l’occasione lo scorso 23 maggio, di sentire 4 di queste realtà, diverse tra loro ma con un medesimo scopo di formare le coscienze a essere migliori sul tema sostenibilità.
L’evento è stato presentato e condotto per la giornata dal Tiktoker Nicolò Greku, che ha aperto la giornata riflettendo sul concetto di entropia e di come questa sia sostanzialmente irreversibile e presente nelle nostre vite in diversa forma. Infatti se per la fisica nulla si crea o si distrugge ma si trasforma spesso questa trasformazione finisce al suo interno aumentando il caos che la compone e di fatto rendendola irreversibile. Quindi creare un sistema sostenibile significa creare un sistema a bassa entropia ovvero non lasciare troppo calore o energia al disordine che la costituisce.
Una spiegazione dal punto di vista fisico per ricordarci che molto spesso le grandi aziende hanno una responsabilità ambientale sulle loro azioni considerando la sostenibilità come un qualcosa di ciclico che si autosostiene, ma che in realtà è solo un insieme di azioni per rallentare e rendere meno pesante il nostro impatto sulla pianeta.
“Sogniamo un mondo senza sprechi alimentari, ispirare tutti a salvare cibo”
Con questa vision si introduce all’evento il primo ospite della giornata ovvero Too Good To Good, il quale è stato presentato da Giulia Sammarco e Davide Bedin entrambi Business developer dell’azienda. Il progetto nasce nel 2015 a Copenaghen da alcuni studenti che cercavano un modo di impedire che il cibo venisse sprecato o gettato via, in poco tempo si espande in Europa fino ad arrivare nel 2019 in Italia.
In tutto il mondo ogni anno si sprecano più di 2.5 miliardi di tonnellate di cibo, sostanzialmente 1⁄3 di tutto il cibo prodotto viene sprecato o buttato via, dati che equivalgono al 10% delle emissioni di gas serra e a circa 1.2 trilioni di dollari di valore. Tuttavia questo avviene in tutta la catena del cibo:
- produzione con 11%,
- lavorazione-trasformazione 18%,
- retail 7%,
- ristorazione e food service 9%,
- ambiente domestico 55%.
L’azienda si muove su più fronti per affrontare il problema infatti con la sua app permette ai commercianti di vendere tutto il prodotto invenduto della giornata a un prezzo minore per evitare lo spreco e così permettere ai clienti di consumare un prodotto fresco. Questo meccanismo funziona bene per entrambi i lati poiché il commerciante prepara delle surprise bag di diverse grandezze e prezzo senza dover scrivere l’elenco dei prodotti (senza perdere troppo tempo lavorativo) e il cliente ha l’effetto sorpresa del non sapere cosa potrebbe trovare poiché ogni bag è diversa dalle altre. In questa maniera l’applicazione permette di creare una rete di contatto tra le realtà locali e i clienti permettendo di conoscersi a vicenda.
Too Good To Go collabora con le scuole per parlare del problema (grazie alla realizzazione di un manuale anti spreco alimentare), inoltre ha realizzato l’etichetta consapevole (osservare – annusare – assaggiare) da inserire nei prodotti per insegnare a ridurre gli sprechi. Infatti molte persone ancora non sanno la differenza tra le diciture “consumare entro il” e “da consumarsi preferibilmente entro il”, grazie a questa etichetta si insegna che seguendo questi semplici 3 passaggi si può determinare se il cibo in casa può essere ancora commestibile qualora la data del “consumare preferibilmente entro” il fosse stata superata.
Ad oggi Too Good To Go nel mondo è presente in più di 17 paesi con 74 milioni di iscritti e collabora con 135 partner, ha già salvato 200 milioni di pasti togliendo più di 500 milioni di kg di CO2. Come obiettivi per il futuro è in fase di test il lancio della nuova opzione ovvero una box dispensa (equivalente a 4 bag grandi) da ritirare presso fabbriche o centri di lavorazione (con prodotti integri ma che per difetti estetici non possono essere venduti nella GDO) intervenendo sempre più internamente nella catena dello spreco alimentare.
“Build the best product cause no unnecessary harm. Use business to inspire and implement solution to the environmental crisis”
Così recitava nella delle prime versioni la mission di Patagonia in un iconico murales; l’azienda, ovvero il secondo ospite della giornata, ci è stata presentata e raccontata dal suo Country Manager Italia, Fabio Zardini.
Alla fine degli anni ‘50 il suo fondatore, Yvon Chouinard, fondò un’azienda per la produzione di chiodi per arrampicata, modificati nel corso degli anni così da inaugurare la clean climbing ovvero un’arrampicata senza d’anno per la roccia, ma è solo alla fine degli anni ‘60 che viene alla luce Patagonia come azienda di vestiti.
Patagonia in quanto azienda che realizza prodotti è consapevole del suo impatto sull’ambiente e per questo motivo afferma che è solo avendo chiaro l’impatto dei loro prodotti che posso capire e decidere come intervenire e in quale maniera. L’azienda si è posta l’obiettivo per il 2030 della riduzione del 50% delle emissioni di CO2 e per il 2050 la riduzione del 100%. Ma questa presa d’atto dell’impatto ambientale è frutto di analisi e studi sulla propria filiera e produzione e su come si possa essere più sostenibili anche dopo la vendita del prodotto stesso. Infatti dal 1990 l’azienda utilizza poliestere riciclato e cotone biologico, inoltre l’uso del neoprene è stato sostituito dalla gomma naturale. Nell’ottica di mantenere un prodotto in uso per molto tempo tutti i capi dell’azienda possono essere riparati gratuitamente presso i suoi punti vendita o tramite il loro sito, in aggiunta spesso viene mandato in tour per i paesi un furgoncino che permette di riparare tutti i capi di qualsiasi brand.
Patagonia tuttavia non è solo questo infatti è molto attiva in tantissime campagne di sensibilizzazione e supporta attivamente organizzazioni locali a livello globale. Infatti grazie alla realizzazione di video e alle sue piattaforme dà voce a tante realtà che lottano contro l’abuso edilizio e lo sfruttamento a danno di foreste, fiumi oceani e molto altro. Per questo motivo l’azienda ha creato una piattaforma “Patagonia action works” che permette di vedere questi progetti e le associazioni e anche di finanziarli. Inoltre è membro del programma “1% For The Planet”, ovvero un gruppo di più di 1000 aziende che donano a cause ambientali 1% delle vendite.
Nel 2022 il fondatore assieme alla famiglia, ovvero l’unico proprietario dell’azienda, ha creato 2 fondazioni a cui sono state trasferite la proprietà al 100% dell’azienda per un duplice scopo. La prima “Patagonia Purpose Trust” ha lo scopo di mantenere inalterati i valori e l’indipendenza dell’azienda per il futuro e la seconda “Holdfast Collective” ha lo scopo di combattere la crisi climatica e difendere la natura e sarà finanziata con l’intero utile aziendale che si aggira attorno 100 milioni di dollari annui.
“Le cose preziose non vanno sprecate, ma le cose che sprechiamo non è che le paghiamo troppo poco?”
Il terzo ospite della giornata è introdotto e illustrato da Elisa Carraro project marketing manager di Fairtrade Italia.
Attualmente è uno dei maggiori marchi certificati a livello globale per quanto riguarda il commercio equo e solidale ed è l’unica certificazione che tutela, oltre alle condizioni di lavoro e altro, il prezzo della materia prima trattata. Infatti garantisce ai produttori un prezzo minimo di vendita a prescindere dall’andamento del mercato, qualora il prezzo di quella data materia calasse drasticamente non potrà scendere oltre alla soglia indicata da Fairtrade.
Oltre al prezzo minimo è previsto anche un premio fisso in denaro in aggiunta al prezzo minimo, questo permette di essere reinvestito nell’attività o di essere usato come fonte di reddito aggiuntivo. Infatti la remunerazione equa e giusta per il lavoro rientra nella logica di giustizia sociale e ridistribuzione equa della ricchezza che permette di combattere la povertà.
Ad oggi vengono venduti diverse centinaia di prodotti con il loro marchio certificato in tutto il mondo, dal caffè al cacao cereali frutta e molto altro, e la loro etichetta garantisce al cliente finale che gli agricoltori sono stati pagati in maniera equa e giusta. Infatti 7 persone su 10 conoscono la certificazione e 8 su 10 ne hanno fiducia, inoltre le persone sono disposte a pagare un prezzo più elevato di qualche punto percentuale per un prodotto con certificazione rispetto ad analoghi senza.
Fairtrade è una certificazione fatta dagli agricoltori e non è figlia di logiche di mercato infatti essi stessi compongono il 50% delle assemblee dove vengono trattati temi sulla biodiversità e sul rispetto del terreno e delle acque oltre a quelli relativi alle necessità pratiche legate alla coltivazione. Al loro marchio sono associati oltre 2 milioni di lavoratori locali di oltre 70 paesi nel mondo (Asia e Pacifico, America Latina e Caraibi, Africa).
“Sky is the limit”
Il quarto e ultimo ospite a parlare è stata una content creator che sui suoi canali social tratta di sostenibilità, stiamo parlando di Alice Pomiato ovvero Aliceful. Nel suo intervento ci ha parlato di come nell’economia difficilmente venga insegnato il senso del limite, infatti non ci si considera mai arrivati ma cerchiamo sempre di ottenere di più rispetto al prima.
Questo ragionamento va a danno del pianeta poiché noi operiamo in un sistema vivente di cui ignoriamo gran parte delle interconnessioni dei processi che lo compongono; questa nostra ignoranza è una delle cause principali della crisi climatica.
Per questo motivo non possiamo più ragionare a compartimenti stagni ma dobbiamo vedere il quadro d’insieme di come ogni cosa è legata e connessa con tutto il resto.
Il nostro modo di fare economia non prende in considerazione i cicli definiti che compongono l’ecosistema e opera come se non esistessero, basti pensare che negli anni ‘60 assorbivano il 73% della biocapacità mentre oggi siamo a quota 160%.
Non stiamo dando il tempo alla terra di rinnovare le risorse e con il nostro modo di produrre creiamo sostanzialmente un debito verso il ciclo successivo, rendendo inutili tutti gli interventi ambientali che potremo attivare. Infatti anche tutta la famiglia della green economy non mette in discussione il modello di business e non impone limiti di produzione ma cerca solo un modo per rendere più sostenibile le nostre economie, rallentando solamente l’inevitabile.
Occasioni di incontro e formazione come questa giornata ci permettono di capire da vicino e di parlare direttamente con le aziende di determinati temi. Quest’anno abbiamo capito che essere sostenibili non è così scontato ma dimostra una reale intenzione, non si tratta solo di avere alcuni comportamenti green in parallelo al proprio business model. Infatti per parlare di sostenibilità e corporate social responsibility bisogna conoscere a fondo il proprio impatto come azienda o il ruolo che essa vuole avere all’interno di uno di questi ambiti e come vorrebbe cambiarlo in meglio.
Infine ringraziamo il MARKETERs Club per questa giornata e per aver portato all’attenzione un problema attuale che spesso viene trattato con superficialità.