
Il Next Generation EU è il piano di finanziamenti che l’Unione Europea ha messo a disposizione per rilanciare le economie degli stati membri dopo i duri periodi di lockdown. L’Italia ha fatto la sua parte e ha individuato sei missioni su cui focalizzarsi, ma come si modificherà il mondo del lavoro?
L’abbiamo chiesto a Claudio Soldà, CSR e Public Affairs Director di The Adecco Group Italia che, in occasione dei Digital Innovation Days 2021, abbiamo avuto il piacere di intervistare per farci raccontare meglio i risultati contenuti all’interno del white paper “Re-Start Generation. Le prospettive occupazionali per donne e giovani alla luce del PNRR e le nuove competenze, tra sfide green e rivoluzione digitale”, uno studio sviluppato da The Adecco Group che indaga gli impatti del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) sull’occupazione in Italia.

Le sei missioni individuate nel PNRR
Claudio lavora all’interno del Gruppo da oltre venti anni. Inizialmente assunto nell’area commerciale, presto è diventato direttore di filiale a Torino. Dopo circa un anno dal suo inserimento assume il ruolo di Segretario Generale di Fondazione Adecco per le Pari Opportunità che opera con l’obiettivo di favorire l’inclusione nel mondo del lavoro di persone con disabilità, giovani in difficoltà, donne in situazioni di svantaggio e persone rifugiate. Segue l’organizzazione e lo sviluppo della Fondazione per 15 anni, fino al 2016. Dal 2007 dirige l’area di Corporate Social Responsibility & Public Affairs di The Adecco Group.
Iniziamo.
Qual era l’obiettivo di The Adecco Group nello svolgere questa indagine?
Quando The Adecco Group crea un documento come il white paper “Re-Start Generation” l’obiettivo è sia aiutare a comprendere meglio il mercato del lavoro e le politiche a esso collegate, sia identificare i percorsi professionali emergenti.
In questo caso specifico siamo stati guidati da tre, principali, finalità:
Innanzitutto alimentare il dibattito sul PNRR: è una operazione che riguarda il mercato del lavoro in modo trasversale, a partire dai soggetti che si occupano della formazione fino ad arrivare a chi, invece, si troverà ad affrontare la transizione come lavoratore.
In secondo luogo, vogliamo offrire ai cittadini, alle imprese e alle istituzioni una chiave di lettura: il PNRR investirà fondi principalmente in due settori, la digitalizzazione e la transizione ecologica. È fondamentale quindi che le competenze richieste risultino chiare e ben definite a tutti i soggetti interessati.
Infine, l’intento è di promuovere una call to action: è necessario che le istituzioni e tutti i soggetti del mercato del lavoro contribuiscano concretamente a mettere in campo quelle azioni che rendano il PNRR attuabile in maniera sostenibile.
Quali sono, secondo lei, i tre dati più interessanti ricavati dalla vostra analisi?
Sono molti i dati interessanti emersi e vi invito a leggere lo studio (lo potete trovare qui). In particolare, i tre dati su cui mi soffermerei maggiormente sono:
L’impatto occupazionale totale: Il PNRR dovrebbe creare, secondo i nostri studi, 733.000 nuovi posti di lavoro nel triennio 2024-2026, segnando un incremento del 3.2% dell’occupazione in Italia.
Altro dato importante è l’aumento dell’occupazione femminile per cui si stima un incremento totale di 380.000 posti di lavoro. Questo sarà possibile sia grazie all’impulso dato dai nuovi settori, sia perché migliorerà l’equilibrio lavoro-vita privata, tema culturalmente sensibile soprattutto per le donne. Grazie all’implementazione di una rete sociale che supporterà le donne con nuovi servizi a sostegno della famiglia, sarà possibile garantire un supporto in tal senso alle donne lavoratrici.
In ultima analisi è interessante soffermarsi sull’andamento dell’occupazione giovanile. Abbiamo calcolato un’aggiunta di 81.000 nuovi posti di lavoro per i giovani: rispetto agli altri dati di crescita questa cifra è senz’altro meno elevata, ma riguarda una fascia su cui bisogna valutare anche gli effetti di lungo termine, non registrabili all’interno del triennio 2024-2026. Per esempio, gli effetti di maggiori investimenti negli ITS (Istituti Tecnici Superiori) necessiteranno di più tempo per manifestarsi così come i risultati di altre politiche per i giovani.

Andamento dell’occupazione nel periodo 2021-2026
Quale sarà il ruolo di The Adecco Group in questo scenario? In che direzione evolverà?
The Adecco Group, ad oggi, gestisce più di 50.000 lavoratori in tutta Italia ogni giorno, e non può esimersi dal prendere parte a questa transizione. C’è sicuramente la volontà di attuare tutte quelle iniziative che, come operatore nel mercato del lavoro, il Gruppo ha a disposizione per poter facilitare l’implementazione di questo piano nel modo più sostenibile possibile.
Un primo passo è già stato fatto con la creazione di Phyd, phygital-venture di The Adecco Group, che ha il compito di analizzare il livello di competenze delle persone in funzione al mercato del lavoro di riferimento, aiutando a capire quali sono le skill più richieste e in linea con il profilo professionale inserito.
Più nel dettaglio, Phyd lavora con un algoritmo che valuta il profilo professionale, cercando di dare una visione completa di quello che il mercato del lavoro richiede. Il primo target a cui abbiamo pensato costruendo questa piattaforma è stato quello degli studenti perché, per come sono strutturati i percorsi di studi oggi, molto spesso sono lontani dal comprendere il mercato del lavoro e le sue richieste. Ecco, quindi, che uno strumento come Phyd può aiutare a capire come porsi nei confronti del mercato del lavoro in modo da essere in grado di rispondere alle sue esigenze.
Tramite Phyd e il costante studio dell’evoluzione del mercato del lavoro, The Adecco Group si prefigge di fornire un supporto concreto sia alle generazioni future sia a quelle che dovranno affrontare questa transizione.
Oltre alla formazione dei lavoratori, pensa possa essere utile formare anche le aziende a cercare e riconoscere le giuste caratteristiche nelle persone?
E’ importante differenziare tra le grandi aziende e le realtà più piccole del territorio: in Italia, il tessuto industriale è costituito in gran parte da aziende con meno di 15 dipendenti, spesso è difficile che queste identifichino e richiedano competenze estremamente specifiche.
Quello che può succedere, invece, è che le aziende abbiano difficoltà ad individuare e riconoscere in prospettiva i profili che serviranno nel futuro. In questo The Adecco Group si impegna ad aiutare le aziende a definire meglio i profili professionali che saranno necessari, sia guardando alle competenze tecniche sia a quelle trasversali.
Ritengo importante parlare di formazione all’interno delle aziende, a qualsiasi livello, per imparare a capire come il mercato sta evolvendo e, soprattutto, come le competenze stiano continuamente cambiando.
Quale può essere una soluzione alla reticenza culturale da parte delle piccole-medie aziende ad investire nella formazione dei dipendenti?
Sicuramente c’è un retaggio culturale che frena le aziende più “tradizionali” ad avere un approccio positivo nei confronti della formazione continua. È un fenomeno legato ad una forma mentis generazionale: molti vedono ancora il processo di apprendimento come strettamente legato alla parte iniziale della loro vita. I giovani d’oggi, invece, saranno i primi a richiedere alla propria azienda di poter seguire un percorso di formazione continua sia per poter crescere all’interno dell’impresa, sia perché riconoscono l’importanza di rimanere aggiornati in un mondo in costante evoluzione.
Sicuramente deve diventare fondamentale anche per l’azienda investire in formazione per imparare a capire come le figure professionali stanno cambiando. Ad esempio, se stiamo cercando un nuovo direttore marketing senza sapere come le sue competenze siano cambiate nel tempo, la ricerca risulterà probabilmente inutile e fuorviante. Ecco, quindi, che le aziende hanno un doppio interesse nel decidere di garantire ai propri dipendenti un percorso di formazione.
Abbiamo parlato molto di competenze tecniche e specifiche ma quale ruolo avranno le soft skill?
Le competenze trasversali sono quelle competenze che ci accompagneranno per tutta la vita e, a mio parere, sono la base su cui costruire le competenze tecniche. Sono da considerarsi assolutamente fondamentali.
Per questo motivo ritengo che tutte le attività extra-curriculari, come ad esempio quelle sportive, possano insegnare moltissimo, in primis sui noi stessi e poi anche sugli altri, permettendo di sviluppare competenze che non si imparano tramite il percorso scolastico.
Fondamentale, in questo percorso, è avere una figura (un allenatore, un insegnante, un familiare o una figura esterna) che aiuti a trasformare determinati comportamenti in competenze. Ad esempio, fare sport aiuta moltissimo nello sviluppare le capacità di gestione del tempo, l’organizzazione, il senso del sacrificio etc. Tutte queste caratteristiche risultano fondamentali anche nel mondo del lavoro ed è necessario saperle mettere in risalto. Per poterlo fare, una capacità fondamentale su cui è necessario lavorare nel momento in cui si approccia il mondo del lavoro è la consapevolezza di sé.
Quale è secondo Lei, una politica per il Lavoro applicata da un Paese UE da prendere a modello?
Partendo dal presupposto che ogni Stato ha le proprie peculiarità a livello giuridico e culturale, uno dei modelli esteri da cui l’Italia sta prendendo esempio è sicuramente quello svizzero-austriaco-tedesco.
Questo modello accompagna i giovani in un sistema di apprendimento duale composto da attività in aula e attività in azienda. Ciò comporta un percorso condiviso di medio-lungo periodo permettendo, poi, un inserimento definitivo da parte dello studente in azienda. Questo paradigma consente una contaminazione continua tra il percorso formativo e quello professionale dell’individuo, garantendo l’allineamento con le richieste del mercato, essendosi sviluppato contemporaneamente nei due ambiti: scuola e azienda.
Per noi, questo modello può essere molto interessante soprattutto se considerato sotto il punto di vista dello sviluppo degli ITS (Istituti Tecnici Superiori) e dell’affermarsi della pratica dell’apprendistato.
Nel PNRR c’è un investimento importante, circa 1,5 mld, legato agli ITS che hanno come punto di riferimento il modello appena descritto, ovvero una formazione duale.
The Adecco Group sta investendo molto in queste strutture, ancora poco riconosciute in Italia, perché crede nel percorso formativo proposto: permette, infatti, di abbattere i gap e le criticità riguardanti le competenze tecniche senza sacrificare la formazione tradizionale dell’individuo.
Ringraziamo ancora Claudio Soldà per il suo tempo e la sua grande disponibilità.
Se vuoi ascoltare Claudio ti invitiamo a non perdere il suo speech durante i Digital Innovation Days.
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Se invece vuoi leggere di più sul white paper “Re-Start Generation” sviluppato da The Adecco Group, lo puoi trovare qui.