
Crediamo nella scrittura e nella forza comunicativa delle parole. Scriviamo tanto, troppo, troppo poco, mai abbastanza. Recuperiamo le 40 regole per scrivere bene in italiano perché non si smette mai di imparare e un ripasso, attraverso le parole di Umberto Eco, non può di certo fare del male.
Sembrerà retorica ma, in un’epoca dominata dalla velocità, dall’information overload e dall’immagine, è normale che la comunicazione si trasformi ed evolva adattandosi alle necessità di chi ne fa uso per necessità o per passione.
Comunichiamo sempre più attraverso immagini, usiamo emoji per spiegarci meglio o attirare l’attenzione del lettore, prediligiamo contenuti multimediali e la vita, anche quella dei brand, sembra ruotare attorno a Instagram Stories. E quando vogliamo andare da qualche parte, imparare qualcosa o acquistare un prodotto basta un “Hey Google”.
In questo scenario, il corretto uso delle parole acquisisce un significato ancora più importante.
Le 40 regole per scrivere bene in italiano, così come le conosciamo oggi, sono una versione rivisitata da Umberto Eco delle Fumblerules of Grammar di William Safire, pubblicate per il New York Times nella rubrica On Language.
Le regole vengono riproposte in italiano nell’ironica rubrica culturale La Bustina di Minerva, curata da Umberto Eco per l’Espresso. Ogni regola viene suggerita al lettore in maniera contraddittoria attraverso l’errore stesso, rispettando così il carattere ironico che spesso si dimostra utile per ottenere l’attenzione del lettore.
Le Regole
Nascendo come un progetto per i canali social, in questo articolo non troverai ancora trascritte subito tutte le regole. Ovviamente le puoi trovare online. Le aggiungeremo pezzo dopo pezzo, ogni settimana, per accompagnarti alla loro scoperta.
1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
L’allitterazione è una figura retorica molto apprezzata in poesia, ma da evitare il più possibile nella prosa, soprattutto se si tratta di un testo informativo. Durante la lettura, infatti, suoni simili in successione possono distrarre il lettore.
2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
Il congiuntivo lo si sbaglia a tutte le età e forse mai impareremo del tutto ad usarlo. Utilizzato nella sua forma corretta è una manna per occhi e orecchie.
3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
Sono da condannare tutti quei modi di dire e locuzioni di uso comune che sono accettabili in un dialogo ma davvero anti creatività nel testo scritto.
4. Esprimiti siccome ti nutri.
Evita di ostentare un lessico ricercato che non ti appartiene. I lettori noterebbero nel testo poca naturalezza e perderesti di credibilità.
5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
Le abbreviazioni non vanno più di moda. (Lo sono mai state?)
Dopo l’abbandono degli sms e l’aggiornamento di Twitter, non ci sono davvero più scuse per abbreviare. L’italiano è bello e vario, sfruttalo.
Ne approfittiamo per ricordarvi le più famose limitazioni di caratteri nel web:
- Twitter, 280 caratteri;
- LinkedIn, 1300 caratteri;
- Facebook, 63206 caratteri (per stare tranquilli);
- Instagram, 150 la bio, 2200 i post.
6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
È preferibile usare le parentesi, tonde o quadre che siano, quando abbiamo a che fare con testi di carattere informativo piuttosto che narrativo. Quelle graffe, invece, sono peculiarità della scrittura matematica.
7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
I puntini di sospensione sono sempre e solo 3… punto.
8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
Le virgolette che contraddistinguono parole o frasi di gergo comune sono grammaticalmente scorrette, ma è altresì vero che, quelle all’interno del testo, sono indispensabili quando si riferiscono a citazioni, dialoghi e per caratterizzare l’ironia o la retorica di una frase.
9. Non generalizzare mai.
Se vuoi risultare efficace, delimita il campo d’applicazione del concetto che vuoi spiegare, altrimenti il lettore rischia di mal interpretare.
10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
Sicuramente questa regola divide i lettori in due fazioni. Siamo tutti d’accordo, invece, che le parole inglesi italianizzate sono ancora peggio?
11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
Ottima regola per risultare più autentici agli occhi del lettore; e sacrosanto consiglio per i tesisti che hanno il terrore del software antiplagio.
12. I paragoni sono come le frasi fatte.
A differenza delle frasi fatte, i paragoni possono essere molto creativi, a volte anche troppo. Ricordati di fare in modo che il lettore capisca a cosa fai riferimento.
13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
Noioso, supponente, banale: tutti aggettivi che possono essere attribuiti allo scrittore che ignora questa regola.
14. Solo gli str**zi usano parole volgari.
C’è chi ritiene che le parole volgari, o parolacce se preferite, siano rivelatrici di aspetti profondi e nascosti. Invece, come avrete già capito, Eco credeva nell’uso del “politicamente corretto”. E noi seguiamo il suo esempio.
15. Sii sempre più o meno specifico.
Vale lo stesso identico discorso fatto per le generalizzazioni.
16. L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
Quando esagerare è lecito? Non abbiamo una risposta universale. E probabilmente nemmeno Eco l’aveva. Armati solo di buonsenso.
17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
Il motivo che ha spinto Eco a scrivere questa regola è da ricercare nel tono che una frase monotermine può esprimere: si rischia di comunicare saccenteria, arroganza, nessuna apertura a possibili repliche. D’altro canto, alcuni scrittori hanno basato il loro stile proprio su locuzioni brevi e dal ritmo incalzante. È il caso di Niccolò Ammaniti, autore nostrano e rappresentante del cannibalismo, un fenomeno letterario caratterizzato da una narrazione nuda e cruda.
18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
Non smetteremo mai di ripeterlo: la base per una buona comunicazione è farsi capire dall’interlocutore.
19. Metti, le virgole, al posto giusto.
Tiriamo in ballo il caro vecchio Pierino:
Pierino riceve un 4 per la punteggiatura nel compito.
Borbotta: “Sì, ma in fondo la punteggiatura non è così importante…”
Il maestro va alla lavagna e scrive: “Pierino ha detto: il maestro è un asino”
Pierino allora balbetta: “Ma io non intendevo dire questo…”
Il maestro torna alla lavagna e cambia la punteggiatura della frase: “Pierino, ha detto il maestro, è un asino”.
20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
Il punto e virgola è una pausa intermedia tra il punto e la virgola, mentre i due punti indicano che ci sarà un chiarimento della frase precedente. Se ti trovi in difficoltà e non sai quale usare, ti consigliamo di andare per esclusione.
21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
A chi è cresciuto in ambienti dove è usato correntemente, capita spesso che il dialetto contenga espressioni che descrivono meglio il concetto che abbiamo in mente. Cosa fare in quel caso? Passi nel parlato; intransigenza totale nello scritto. Prova a cercare dei sinonimi.
22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
Ricorda che il lettore non è nella tua testa; non ti può comprendere se non gli fornisci della sana e logica coerenza.
23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
Lo chiediamo a te: c’è davvero bisogno di domande retoriche?
No! Il lettore vuole risposte, anche le più banali, purché trasmettano certezza; al massimo vuole che gli poni delle domande per le quali vale la pena struggersi.
24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
Abbiamo dovuto rileggere la regola due volte perché ci eravamo dimenticati della parte iniziale. Alla lunga sopraggiunge un senso di noia. Lo stesso effetto che ottenevano i professori assegnando enormi mattoni da studiare.
25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
Facciamo chiarezza su un dilemma che mette in crisi anche i più ferrati.
Si scrive fa o fà? Ci viene in soccorso la Treccani distinguendo in questo modo:
- fa è la terza persona singolare dell’indicativo del verbo fare;
- fà è una forma scorretta.
P.s. fà accentato si usa solo come desinenza nei composti di fare, seguendo la regola dell’accento grafico obbligatorio sull’ultima sillaba (es. rifà, strafà).
26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
Ben detto. E a proposito di fa’ con l’apostrofo, dovresti sapere che è un troncamento del verbo fare, e si usa per la seconda persona dell’imperativo.
27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
Va bene! Non voglio risultare aggressivo!
28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
La lingua italiana non prevede che i termini plurali si formino con l’aggiunta della -s o -es. L’unica parola straniera che hai il diritto, anzi, il dovere di scrivere con la esse finale è MARKETERs!
29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
Tenendo sempre bene a mente la regola #11, controlla attentamente i nomi dei personaggi che citi e, magari, aiutati con Google.
30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
In questo caso, la perifrasi è un pessimo escamotage per allungare il discorso. Il risultato è un periodo noioso e privo di informazioni utili.
31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
Qui Eco ti suggerisce di trattare il lettore con rispetto: non è stupido. Accompagnalo con pazienza attraverso l’espletazione dei tuoi concetti.
32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
O cadrai inevitabilmente vittima dei grammar nazi!
33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
La preterizione è una figura retorica usata moltissimo nel discorso comune, nella maggior parte dei casi senza saperlo. Consiste nell’affermare di voler tacere su qualcosa di cui, in realtà, si desidera parlare (es. meglio non parlare di…, per non dire…, ecc.). L’effetto ricercato è far sì che l’interlocutore chieda esplicitamente di raccontargli quella cosa. Non ne hai bisogno.
34. Non andare troppo sovente a capo.
Almeno, non quando non serve.
Andare a capo è una questione delicata: farlo troppo spesso potrebbe disorientare il tuo lettore ma, al contrario, lesinare sugli spazi renderebbe la lettura pesante. La giusta misura sta nel mezzo.
35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
Plurale majestatis è riferirsi a se stesso in forma plurale. L’effetto che ottieni è più o meno quello di un carabiniere che ti ferma e dice “abbiamo bevuto questa sera, eh?”: pessimo. Scrivi di te stesso al singolare, non avere paura di metterci la faccia.
36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
Il senso logico è importantissimo. Perché spiega la causa; parole come dunque e perciò spiegano la conseguenza, l’effetto.
37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
Perdonaci maestro, ma a noi questa sembra la regola precedente espressa in altro modo. Tu che ne pensi?
38. Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
Tradotto per noi comuni mortali, tutt’altro che esteti della lingua italiana:
“Non ricorrere a parole vecchie, rare o in disuso, tanto meno su radici linguistiche. Per quanto possano sembrare significative per la grammatica e invoglino ad una lettura consapevole, non sono comprensibili dal tuo lettore. Peggio ancora sarebbe infatti se proprio un lettore particolarmente attento, critico e colto, le commentasse.
Dopo questo sforzo ci meritiamo un applauso.
39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
Come trovare una giusta via di mezzo? Noi ti suggeriamo di andare dritto al punto, inserendo tutti, non di meno, quegli elementi necessari alla comprensione del testo. Poi dedica i periodi successivi ad una spiegazione più approfondita.
40. Una frase compiuta deve avere.
Dai, completa tu. 😉
Caro lettore, se sei arrivato fino a questo punto avrai di sicuro notato che, nella stesura delle 40 regole, il caro Umberto è stato, per certi versi, ripetitivo mentre per altri, contraddittorio. La risposta che ci siamo dati è che se conosci la buona scrittura, se hai completa padronanza della lingua, puoi permetterti il lusso di infrangere le regole, i paradigmi: puoi creare.
Per concludere un breve estratto dalla prima uscita de La Bustina di Minerva del 1985.
Il titolo calza a pennello: Che bell’errore!
Certe volte temo che chi non scopre mai niente sia colui che parla solo quando è sicuro di aver ragione. È mica vero quel che ci raccomandavano i genitori: «Prima di parlare pensa!». Pensa, certo, ma pensa anche ad altro. Le idee migliori vengono per caso. Per questo, se sono buone, non sono mai del tutto tue.
Umberto Eco