
Fortuna (o sfortuna) vuole che il manager non sia soltanto una figura di spessore per quanto riguarda conoscenze e pratiche tecniche, ma che ricopra l’aspetto di educatore e mentore per tutti i membri del proprio team. Il fattore umano all’interno di un’organizzazione è quello che il più delle volte inceppa piani e strategie progettate su carta. Ma come fa un manager a migliorare le condizioni lavorative di una corporate? Semplicemente capendo che tipo di figure rappresentano i suoi membri e come possano individualmente creare un valore aggiunto collettivo.
La cultura del fallimento
Mentre in Italia la cultura del fallimento è ancora un aspetto difficile da integrare all’interno della vision condivisa da top e middle management, negli USA è tutta un’altra storia.
Nel 2005 Steve Jobs esortò i neolaureati di Stanford con il suo iconico “Stay Hungry, Stay Foolish” ripercorrendo tutte le sfide, e soprattutto le cadute, che lo avevano accompagnato durante il suo percorso. L’importanza che diede ai suoi fallimenti era tale perché essi erano stati fondamentali nel processo che aveva reso Apple possibile. Seppur possa essere considerato anche un fattore di crescita, anche per chi non l’abbia vissuto di persona (dai un’occhiata alle FuckUp Nights se ancora non le conosci), molte volte il fallimento rischia di essere un fattore che influenza la performance di un intero team.
Le responsabilità di un manager
La figura manageriale dovrebbe essere prima di tutto una figura collante in grado di comprendere e analizzare la situazione attuale di un team. Non solo: deve essere capace di ricucire gli “strappi” che nascono a causa del gap marginale tra le competenze e le risorse possedute da ciascun membro del team. Se si vuole avere successo in un mercato che anno dopo anno sta diventando più competitivo per via di tecnologie che fanno risparmiare tempo e risorse economiche e lavorative, allora fondare la propria strategia su un team solido e con competenze complementari è il primo step per raggiungere i risultati ricercati nel lungo periodo.
Il termine “manager” viene spesso associato a persone che hanno saputo fare il proprio lavoro talmente bene da riuscire a raggiungere uno standard di performance più alto di altri, salendo in questo modo la scala gerarchica. Ma insieme a un aumento del salario, anche le responsabilità diventano maggiori. Queste responsabilità si possono dividere in due categorie: tecniche e sociali. Le prime sono relative a quelle mansioni ordinarie svolte giorno dopo giorno per fare in modo che il job to be done venga effettivamente portato a termine. Le seconde sono direttamente complementari alle prime, dato che rappresentano quelle interazioni relazionali tra colleghi che rendono l’ambiente di lavoro un posto dove poter esprimere sé stessi nel migliore dei modi, migliorando le prestazioni dell’intero team.
Perché manager non è sinonimo di leader?
È proprio qua che sorge il problema di come delegare al meglio le mansioni da compiere, bilanciando l’efficienza nei risultati con le skill possedute dal team.
Come e a chi delegare? In questo frangente si scorge la figura del leader che si sovrappone a quella del manager.
In uno dei suoi speech più intensi, Simon Sinek ha definito manager e leader due persone che non sempre è facile amalgamare in un’unica figura. Questo partendo dal presupposto che essere manager è facile, molto facile, ma essere un leader è tutta un’altra cosa. Fare leva sulle proprie abilità di emotional intelligence non è cosa scontata, specialmente quando la mole di lavoro si scarica su ogni minuto della giornata lavorativa. Quindi come fare? Il primo passo è riconoscere che ogni individuo è per definizione un singolo, diverso da chiunque altro, con caratteristiche simili, ma diverse da tutti gli altri. Analizzare come tutte le personalità possano portare benefici e sconfitte allo stesso tempo aiuta a muoversi di conseguenza nelle più svariate situazioni all’interno di un ufficio.
Il Core Quadrant Model di Ofman è uno strumento che può fornire al manager le basi per portare la barca aziendale sulla giusta rotta.
Cosa è il Core Quadrant Model
Per portare un team a ottenere risultati di successo è fondamentale che ogni singolo individuo sia inserito all’interno di un long term plan basato su skill che siano complementari le une con le altre. Di conseguenza ogni player deve portare, per un beneficio comune, risultati e competenze che altri non possiedono. Questo è causa di molte incomprensioni e fraintendimenti tra i vari membri.
Il metodo più adeguato e affidabile per risolvere questi conflitti è far comprendere ai vari membri come ogni caratteristica personale, considerata positiva sotto un aspetto, possa essere vista negativamente sotto un altro. Ciò è descritto dal Core Quadrant Model dell’olandese Daniel Ofman: la caratteristica principale di un individuo può portare a un atteggiamento a cui un altro individuo è “allergico”.
Ma da cosa è composto il Core Quadrant Model? Quattro sezioni, una collegata all’altra, in un motivo circolare che inizia dove finisce.
Core Quality
È la qualità principale del comportamento di una persona, che a volte può essere alimentata ed espressa in modo troppo vivido. Un esempio può essere la puntualità e la cura per i dettagli.
Pitfall
Quando questa qualità principale supera il suo limite naturale, Daniel Ofman parla di “Pitfall”: essa diventa un elemento negativo per l’ambiente circostante e la persona in questione. Un esempio è il perfezionismo.
Challenge
La visione opposta, ma positiva, del “Pitfall” è la “Challenge”: è quindi un supplemento della “Core Quality”, capace di creare equilibrio tra gli individui. Un esempio è accettare la realtà e imparare a posticipare.
Allergy
“Allergy” è l’opposto della “Core Quality”: quando qualcuno alimenta troppo la “Challenge” rischia di deteriorare la propria “Core Quality”. Come, per esempio, la disorganizzazione e l’ignoranza.
Solitamente, quando qualcuno incontra un’altra persona che condivide la stessa core quality, la fiducia e il rispetto reciproco diventano naturali, ma in situazioni di stress si può arrivare a infastidirsi gli uni con gli altri. D’altro canto, quando si incontra il proprio opposto ci si scontra con la medesima allergy, diventando vulnerabile al proprio pitfall. Questo può aiutare a prevenire e identificare il proprio pitfall ed evitarlo il più possibile. I manager (ma anche qualsiasi altro individuo parte di un team) possono essere “allergici”, per esempio, alla core quality che non possiedono. Questo significa che possono vivere momenti di incomprensione e di sofferenza emotiva nei confronti di quei dipendenti che presentano tali tratti caratteristici, portando di conseguenza a risultati e performance negative.
Assumendo che ogni manager diventi così consapevole del fattore emotivo intorno a ogni suo dipendente, l’ambiente sociale può diventare più aperto al confronto e alle idee altrui, riconoscendo le motivazioni dietro ogni azione.
Come funziona il Belbin Test
C’è un modo per riconoscere questi aspetti comportamentali e agire di conseguenza.
La soluzione si chiama Belbin Test: il test si basa sull’idea che ogni team non sia solamente costituito da job title, ma bensì da un insieme di individui con caratteristiche personali ben definite, dove ognuno conosce e riconosce il ruolo altrui, creando un mix di skill complementari necessarie a raggiungere un obiettivo comune. Secondo Meredith Belbin ogni membro del team può essere etichettato secondo nove “bucket” comportamentali:
- Resource Investigator: è solitamente una persona estroversa, piena di sé. Sonda opportunità presenti sul mercato per portare idee innovative all’interno del team. Il suo punto debole sta nel fatto che potrebbe essere super-ottimista, tralasciando la realtà e arrivando a perdere quella ondata di entusiasmo una volta che i primi step sono stati implementati;
- Teamworker: identifica il lavoro che il team deve portare a termine, è molto diplomatico e orientato alla condivisione di conoscenze, idee e risorse. Può capitare che in momenti di stress e conflittuali si tiri indietro e rifiuti il confronto;
- Co-ordinator: si focalizza sugli obiettivi del team e delega le task da completare basandosi sulle varie figure a sua disposizione. È goal-oriented, maturo e sicuro di sè, ma può essere giudicato come manipolatore e offensivo;
- Plant: tende a essere un vero creativo e a risolvere problemi fuori dal comune. A volte rischia di pensare troppo e comunicare troppo poco;
- Monitor Evaluator: fornisce un giudizio oggettivo in ogni situazione, giudicando imparzialmente. A volte può essere troppo critico e difficilmente riesce a ispirare gli altri;
- Specialist: fornisce una conoscenza specifica in un’area particolare sviluppata dal team. È un’unica mente pensante, altamente focalizzato sulla sua zona di expertise;
- Shaper: è colui che fornisce lo sprint al team per rimanere focalizzato sui propri obiettivi e non perdere motivazione ed entusiasmo. È molto espansivo e non si ferma davanti agli ostacoli che trova di fronte a sé, ma a volte può risultare arrogante e cedere alle provocazioni;
- Implementer: è colui che definisce la strategia operativa e fa in modo che questa venga implementata nel miglior modo possibile. È pratico e affidabile, ma rischia di essere inflessibile e lento a rispondere a nuove opportunità;
- Completer Finisher: al termine del lavoro controlla che tutto sia in regola, completato seguendo tutti gli standard per ottenere la più alta qualità possibile. È riluttante a delegare e tende a stressare il team inutilmente.
Il Belbin Test è solitamente costituito da una serie di domande standard a cui ogni membro del team deve rispondere in concomitanza con gli altri. In base al tipo di risposte, diversi touchpoint indicano in quale dei nove “bucket” l’individuo si inserisce. Una volta riconosciuti i ruoli assunti da ognuno, agire quotidianamente è molto più facile.
Cosa fornisce concretamente il Belbin Test a un team?
Il Belbin Test fornisce ai manager in primis, ma anche a tutti i componenti del team, le basi per comprendere meglio cosa ognuno possa offrire agli altri in termini di “supporto sociale” per raggiungere obiettivi comuni, insieme.
Ogni manager dovrebbe essere consapevole delle difficoltà che possono nascere a causa del tipo di comportamento degli attori che dipendono da lui. Riconoscere che queste situazioni possono essere arginate grazie a una logica maggiore è il primo passo per affrontare futuri attriti.
È stato statisticamente provato come i manager, dopo aver fatto questo test, siano tornati in ufficio con una strategia sociale totalmente rivoluzionata e abbiano riconosciuto cosa migliorare del proprio comportamento, adattandosi alle necessità dei propri dipendenti. Dal lato employee invece, questi si sono ritrovati in un ambiente lavorativo più aperto e con interazioni più genuine tra colleghi, sapendo come e quando esporre idee e opinioni proprie.
In conclusione
Per definizione un team non è l’equivalente di un gruppo, è un insieme organizzato di persone che lavorano per raggiungere uno scopo condiviso. Grazie a queste tecniche psicometriche riuscirete a fare del vostro team una famiglia, dove sguardi ed emozioni riusciranno a comunicare più di una singola email.
Bellissimo articolo, grazie