
I miti da sfatare del colloquio di lavoro: intervista a Lisa Chiaradia, Deloitte Italia.
5 step per ottenere il lavoro dei sogni (comodamente seduti sul proprio divano).
Il fatto che il mondo del lavoro sia mutato profondamente dopo il periodo di lockdown che ci ha costretti in casa è senza ombra di dubbio realtà. In un articolo precedente abbiamo parlato di come la propulsione al digitale di questi ultimi mesi abbia accelerato alcuni cambiamenti già in corso come per i colloqui di lavoro online; ci siamo poi occupati dei passi per promuovere i propri lavori attraverso la costruzione di un portfolio efficace o ancora di come riuscire a scovare l’azienda in linea con i propri valori.
Con Lisa Chiaradia, Human Capital Consultant per Deloitte Italia, cercheremo ora di ripercorrere uno ad uno gli step necessari per apparire il candidato ideale e ambire a posizioni quali social media manager, web marketing manager, e-commerce manager e junior graphic designer nelle aziende dei nostri sogni!
Quali sono le strategie per cercare online posizioni aperte negli ambiti digital, marketing e graphic design, comodamente seduti sul divano di casa? Consiglia di procedere scandagliando i siti ufficiali delle varie aziende di nostro interesse oppure di norma i recruiter si affidano a piattaforme create ad hoc nelle quali inseriscono la descrizione della posizione?
Sono vere entrambe le modalità e poi ce n’è una terza. L’approccio a cui siamo più abituati nel mondo fisico è quello ‘a vetrina’: immaginiamo di camminare fisicamente per strada e vediamo attorno a noi vetrine e insegne. Quando si è iniziato a navigare sul web, visitare i siti delle aziende era quasi come andare a bussare alla porta delle stesse oppure guardare da fuori la sede. Oggi invece il web si sta rivoluzionando ed ogni persona è un nodo attivo di una rete. Quando si accende qualunque device oppure si è davanti a uno schermo, tutto quello che si fa impatta anche le persone che ci sono dietro. Dunque in chiave proattiva è senz’altro molto utile andare a verificare posizioni aperte sul sito di una certa azienda e studiarne il portale carriere. Esso è un punto elitario da cui i recruiter interni alle Risorse Umane possono individuare i profili direttamente interessati alla posizioneIn una scala di rapidità, al primo posto c’è fare domanda direttamente da una posizione aperta: a quel punto l’efficienza è massima, poiché si incontra un interesse del lavoratore con un interesse dell’azienda. Il problema è che per ogni posizione aperta arrivano migliaia di candidature: si tratta quindi dell’approccio più veloce e efficiente ma non quello che ha il miglior tasso di risposta.
Un’ulteriore possibilità è guardare piattaforme di ricerca come Linkedin, ma anche società di recruiting come Adecco e Ranstand, ovvero agenzie di collocamento del personale sulla base del grado di seniority. Queste società raccolgono tutte le domande, anche quando ancora non c’è offerta dal lato aziende; perciò, quando emergono interessi da parte di qualche azienda nel settore di appartenenza, si viene contattati.
Una terza leva assolutamente strategica dataci dal web, sono le persone che lavorano all’interno di quell’organizzazione. Quando vi interessa una particolare organizzazione, parallelamente allo studio di mission, vision e valori, è necessario capire i profili professionali delle persone che lavorano all’interno di questi ambienti. Una strategia è capire quali sono le persone di spicco che hanno in mano vari progetti e iniziare a seguirle su LinkedIn: infatti, come le aziende costruiscono la brand reputation, la stessa dinamica vale per il singolo lavoratore poiché la propria reputazione ha a che fare con il modo in cui ci si muove sul web. Il consiglio quindi è essere attivi su LinkedIn e su tutti i social in cui ci sono agganci con le varie organizzazioni, poiché dopo un po’ che vi fate sentire e fate capire che masticate quel genere di argomenti, a un certo punto è possibile anche chiedere direttamente al recruiter se vi siano posizioni aperte. Il consiglio dunque è creare connessioni con le persone come fossimo tutti nodi di una stessa rete. Agganciate i nodi giusti!
Si dice spesso che un buon profilo LinkedIn è un plus rilevante, poiché permette il contatto diretto tra recruiter e candidato. In rete possiamo trovare molte guide che concernono la costruzione del nostro profilo; qual è tuttavia la chiave per far sì che siano le aziende a trovarci, evitando che la nostra pagina sia percepita come fosse semplicemente un sito vetrina?
LinkedIn sta sviluppando sempre di più un sistema per cui le aziende possono vedere quanto il profilo del singolo utente sia attivo e quanto abbia degli elementi coerenti con l’azienda stessa. Questo avviene ad esempio grazie alle parole chiave che scegliamo per descrivere il nostro profilo, che vengono messe in evidenza se combaciano con quelle usate dall’azienda come filtro, tanto che quando troviamo una job description per un’azienda, LinkedIn ci dice quanto corrisponde alla nostra posizione, rispetto alle parole chiave. Inoltre la piattaforma incrocia le persone più attive su quel tema, che hanno scritto commenti, postato o messo like. Il mio consiglio è di fare un passo in più: commentate e proponete delle idee. Un’altra cosa molto utile in risposta a un post, è citare e taggare l’azienda che ha fatto un progetto che vi è piaciuto molto in merito a un dato argomento. Una persona che può definirsi un talento è chi al di là di apprendere e capire, inizia a mettersi nei panni dell’azienda, dei suoi bisogni e obiettivi di business, li fa propri e dà spunti e idee. Si tratta del talento ideale che non solo ha capito ed è appassionato ma sa anche dare dei contributi.
La situazione di remotizzazione forzata che abbiamo vissuto ha definitivamente veicolato il tema del valore delle persone: se prima potevamo vedere da una parte la vita digitale e dall’altra quella fisica, ora si ha la necessità di capire che vi è una convergenza. La spinta delle aziende è adesso più che mai capire che tipo di persona stanno assumendo, al di là di competenze e titoli, per prefigurarsi che tipo di contributo essa potrà apportare al proprio interno.
È crescente la richiesta da parte di imprese e organizzazioni di inviare la cover letter in accompagnamento a portfolio e cv. Quali sono i consigli per scriverla al meglio e avvicinare il nostro profilo a quello del candidato ideale? Che cosa vogliono sentirsi dire le aziende in una lettera di presentazione?
Chi si approccia al mondo del lavoro spesso ha un po’ il timore di essere giudicato e valutato. È sicuramente vero che l’azienda osserva, ma in realtà le aziende hanno assolutamente bisogno che ci siano persone che vogliano lavorare per loro. L’esigenza dell’azienda di trovare una persona su cui fare affidamento è un elemento sempre più importante, poiché la necessità di lavorare in modalità smart e con una workforce diffusa, richiede una sempre maggiore fiducia, in quanto non si hanno sempre tutte le persone davanti agli occhi, bisogna quindi imparare a fidarsi dei propri collaboratori. Questa è una premessa per dire che anche la cover letter si sta trasformando e c’è da mettere in luce non più una presentazione più allargata del CV ma bisogna partire dai motivi per cui ci interessa una particolare azienda, in modo molto pragmatico e poco retorico e come mai possiamo essere collaboratori di fiducia e flessibili.
La cover letter dunque va strutturata a partire dal “why”, per capire in modo concreto quali sono i progetti che ci hanno colpito: lo scopo è far comprendere all’azienda che abbiamo riflettuto su che cosa la distingue dai competitor e che il nostro desiderio è discutere più a fondo di un progetto per consolidare e accrescere il suo vantaggio competitivo. L’obiettivo dei recruiter spesso è selezionare quei profili che li hanno incuriositi e sembrano promettereun colloquio stimolante . Oltre a dare indicazioni dei perché della scelta di una specifica azienda e delle possibili connessioni con il nostro profilo, un ulteriore scopo dei recruiter è comprendere per quali ragioni l’azienda dovrebbe fidarsi nel darci un lavoro, quali sono dunque i nostri punti di forza, in altre parole quali sono le caratteristiche che faranno fanno di noi un buon employee.
Nuovi ambienti di lavoro da progettare, gestione del tempo e delle proprie risorse interne da definire: la società liquida odierna e le misure da adottare per prevenire nuove ondate della pandemia impongono di ripensare anche a delle imprese più agili, flessibili e aperte al cambiamento. Che fine faranno, quindi, le open organization e gli spazi di coworking? Quali sono le nuove frontiere del mercato del lavoro?
In Deloitte usiamo un’espressione che viene impiegata sempre più e racchiude tutte le trasformazioni correnti del work (lavoro), workforce (dipendenti) e workplace (luoghi di lavoro): new ways of working.
Avremo una commistione di digitale e di fisico, poiché l’ufficio in quanto tale diventa un concetto non più solo legato all’edificio dell’azienda ma è un qualunque luogo in cui il dipendente lavora, che deve rispettare ad esempio determinate caratteristiche ergonomiche, come un basso livello di rumorosità e una buona luminosità. A questo punto mondo digitale e mondo fisico, in cui ci si incontra con i colleghi, diventano uno specchio. Lo scenario che si sta preparando è di un ufficio vissuto al bisogno: un lavoratore che entra in azienda oggi si può aspettare di lavorare un paio di giorni con i colleghi in ufficio, mentre gli altri giorni di lavoro li può affrontare da remoto.
Questo avviene sulla base della tipologia di compiti e task che si stanno svolgendo: la fase di definizione dell’idea creativa è necessario coinvolga il team intero per cui può essere utile ritrovarsi in ufficio ma per lo svolgimento dei singoli compiti, è possibile lasciare una gestione autonoma da remoto. Esistono poi,moltissimi tool di social collaboration tra i quali le piattaforme di co-design dei progetti, ovvero una serie di lavagne digitali e multimediali che rendono possibili workshop tra clienti e dipendenti: questo richiede una grande abilità di passaggio rapido dalla modalità fisica al digitale che è la grande sfida che dobbiamo essere pronti a cogliere.
Il lavoro da remoto ha cambiato gli assetti delle organizzazioni anche per il processo di recruiting. Se prima il colloquio di assunzione su Skype, Zoom o altre piattaforme era un’opzione adottata da un ristretto numero di imprese, oggi è una necessità. Di quali strategie può servirsi il candidato per apparire al meglio nel corso del colloquio online?
Per prima cosa scegliere bene il luogo in termini di rumori e luminosità poiché come nella stanza del recruiter dimostreremmo un certo standing e una certa professionalità, lo stesso deve valere anche online. Il secondo aspetto è la connessione: se una volta nei percorsi blended (misti tra digitale e fisico) nel primo contatto si poteva passare sopra ai vari problemi tecnici, ora che il colloquio consiste nel digitale è necessario che tutto vada liscio. Un buon trucco poi per seguire un filo logico quando si parla senza lasciarsi sopraffare dall’ansia, può essere aprire sul desktop molti post-it con indicate le parole chiave di ciò che si vuole esprimere durante il colloquio.
Di seguito le propongo alcune richieste scomode e/o miti da sfatare che un candidato ha sempre voluto rivolgere a un recruiter:
- Di fronte a una job description dettagliata che espone i requisiti richiesti per una determinata posizione aperta, nel caso in cui il proprio profilo non rispetti tutti i punti delineati, è vantaggioso avanzare lo stesso la propria candidatura?
Dividiamo “must have” e “nice to have”: in tutte le job description ci sono caratteristiche obbligatorie che è necessario rispettare, come il possesso di una laurea triennale, e in aggiunta ci sono le competenze soft come l’abilità nel public speaking oppure il pensiero laterale. È importante non farsi ingannare dalla ‘sindrome dell’impostore’ che ci può assalire quando leggiamo le caratteristiche del candidato ideale e iniziamo a sentirci inadeguati, cercando di capire come convergono con il nostro profilo. È bene riflettere con onestà e se c’è distanza tra il nostro profilo e i “must have” della job lasciar perdere, mentre non demordere in partenza se alcuni “nice to have” non siamo certi di possederli. Non è detto che pregiudichino un buon colloquio o ci impediscano di ottenere il lavoro generale è bene non farsi intimorire ma tentare in modo propositivo e proattivo. - Nel mercato del lavoro attuale, per chi ambisce a posizioni nei rami marketing e digital, quanto sono determinanti il proprio titolo di studi e l’Ateneo in cui si è conseguita la laurea?
In tutti gli ambiti vi sono Atenei di prestigio, ma in realtà la componente che fa il prestigio è quanta pratica c’è nel percorso che intraprendiamo. In sede di colloquio quello che possiamo mostrare è non solo il portfolio di competenze, ma campagne, collaborazioni, idee per determinati enti, aziende o committenti. Il driver è la praticità, quanto possiamo e sappiamo fare in concreto. - Si parla sempre più di portfolio competenze piuttosto che di cv classico. Qual è la strategia migliore per raccontare ai recruiter il bagaglio di esperienze maturate al di là della carriera universitaria?
Visto che oggigiorno c’è una commistione tra identità digitale e fisica, c’è da dire che tutti i post, documenti e azioni che produciamo sono un nostro biglietto da visita per l’azienda. La caratteristica importante per un buon CV è che stia in una, massimo due facciate e che al di là della lista dei compiti, faccia emergere che cosa abbiamo imparato e di cosa ci siamo occupati nel concreto. Il consiglio è mettere in luce qual è stato nostro contributo personale nelle realtà per cui abbiamo lavorato. - La pulizia dei nostri canali social prima di un colloquio di lavoro è d’obbligo se non vogliamo lasciare in rete delle tracce indesiderate del nostro profilo? Quanto pesa la web reputation nella scelta di un candidato?
C’è da fare chiarezza su questo punto: non è una sola foto di un brindisi che può far credere che siamo degli alcolisti sconsiderati (anzi semmai può indicare che siamo persone socievoli) ma bisogna prestare attenzione al messaggio che mandiamo con tutto il nostro profilo. Le aziende non cercano esseri umani asettici, ma persone vive, reali, con dei tratti distintivipoiché l’elemento oggi più importante è la diversità. e ciò che colpisce spesso le Risorse Umane è un candidato che sembra realmente attivo rispetto alle tematiche e agli ambiti che l’azienda tratta, che gli stanno a cuore e perciò non è un caso se abbiamo bussato alle porte di quella determinata azienda. - Se un’azienda alla quale ci proponiamo non risponde alla nostra e-mail è bene sollecitare? Se sì, dopo quanto tempo?
Se un’azienda ci sta particolarmente a cuore, due o tre tentativi possono essere fatti, circa ogni due o tre settimane direi. Se comincia a comparire spesso il nostro nome potrebbe essere un buon segno per l’azienda. Bisogna considerare anche i referral interni, ovvero dei programmi interni all’azienda per cui i dipendenti vengono incoraggiati a segnalare figure e profili validi e in cambio l’employee può essere premiato con un bonus o altroriconoscimento. Questo è un altro canale di solito anche più rapido delle candidature spontanee. Come dicevamo prima comunque, un buon sistema è conoscere i dipendenti dell’azienda per cui si vuole lavorare e LinkedIn per questo è un ottimo strumento. - Un candidato che si interfaccia per la prima volta al mondo del lavoro spesso si imbatte in offerte di stage e/o tirocini. Chiedere se vi sia un rimborso spese o uno stipendio al primo colloquio è lecito o si scade in un profilo scarsamente professionale?
Ci sono due verità in merito. Specialmente in Italia è un mito da sfatare perché desiderare conoscere il proprio inquadramento anche economico è più che lecito. E per di più non in tutte le nazioni è mal visto fare domande rispetto a questo, ad esempio in Germania non informarsi rispetto al compenso previsto, può far credere che il candidato non sappia trattare, non sia interessato o non sia abbastanza adulto da trattare questi elementi Direi che possiamo quindi permetterci di informarci rispetto al compenso già al primo colloquio, magari in chiusura e all’interno del discorso o di una richiesta. La chiave è chiederlo con furbizia e assertività, ad esempio parlando di “inquadramento” e non propriamente di “soldi” o “compenso” perché una persona dovrebbeaccettare un secondo colloquio se non le interessa l’offerta economica proposta? E’ quindi vantaggioso e time saving da ambo le parti rivelarlo fin da subito. - Se la risposta alla nostra application è negativa, è opportuno chiedere delucidazioni per capire su cosa lavorare e migliorare?
In un mondo ideale è vero il contrario: se l’azienda è seria e tiene alla propria reputazione, il recruiter dovrebbe rispondere e informarti sui motivi per cui la tua application è stata scartata. Chiedere è lecito, rispondere è cortesia! Quindi sì, se ne avete voglia e interesse, domandate pure, mi auguro vi rispondano.
Grazie Lisa per la disponibilità di questa intervista!