
Ci vantiamo da sempre di essere animali razionali, capaci di ragionamenti grazie ai quali abbiamo conquistato il predominio sulle altre specie, nonostante i deficit di cui siamo portatori.
La nostra abilità mentale, però, funziona con una grande attenzione all’efficienza: il cervello limita le capacità razionali complesse, per evitare di processare al 100% tutti gli stimoli. Diversamente, questo rallenterebbe enormemente tutte le nostre decisioni.
Per velocizzare usiamo spesso degli shortcut che ci permettono di “risparmiare” energie mentali e prendere decisioni rapide senza impegnare il massimo delle nostre capacità cognitive. Cosa accade quando queste scorciatoie ci traggono in errore? E quando gli errori avvengono all’interno della nostra Consumer Journey?
Immaginiamo di essere in trasferta per lavoro in una città che non conosciamo: è ora di pranzo, abbiamo il tempo per uno spuntino e siamo nel corso principale della città. Vediamo due chioschi che vendono panini e tramezzini, uno accanto all’altro; il primo è praticamente deserto, mentre il secondo ha una coda consistente di avventori.
Non abbiamo mai mangiato in nessuno dei due chioschi e non sappiamo come sia lo street food in quella città; andando nel chiosco deserto potremmo ordinare velocemente e andare in orario al prossimo appuntamento. Scegliendo quella con la coda – invece – dovremmo aspettare parecchi minuti prima di riuscire a prendere il sandwich. Ciò nonostante, come la maggior parte delle persone, sceglieremmo il chiosco più affollato.
Perché? Beh, se così tanta gente vuole comprare il panino proprio in quel chiosco, dovrà esserci un buon motivo! Può darsi che il sandwich sia davvero migliore, ma non avendolo ancora provato, il vero motivo che ci ha spinto a metterci in coda insieme agli altri è una distorsione cognitiva che si chiama social proof bias.
I bias cognitivi
Cominciamo dall’inizio.
Secondo Wikipedia, un bias cognitivo è “una forma di distorsione della valutazione causata dal pregiudizio. La mappa mentale di una persona presenta bias laddove è condizionata da concetti preesistenti non necessariamente connessi tra loro da legami logici e validi”.
Il bias rappresenta, quindi, un elemento costitutivo nella formazione del giudizio, pertanto può influenzare comportamenti e opinioni.
I bias cognitivi sono frutto del naturale percorso evolutivo umano: la necessità di decidere – spesso rapidamente – davanti a stimoli, problemi o situazioni repentine ci porta a processare le informazioni in nostro possesso in moto parziale e/o selettivo, scartando informazioni che potrebbero esserci utili nel ponderare la scelta o sovrastimandone altre.
Questo accade per semplificare i processi decisionali, specialmente nelle situazioni complesse, in cui serve un tempo di reazione molto basso.
A volte i bias portano a comportamenti illogici e scelte addirittura dannose. Nella maggior parte dei casi, invece, ci aiutano (e ci hanno aiutato dall’alba dei tempi) a prendere decisioni più efficaci nell’immediato.
È semplice comprendere come siano elementi protagonisti in discipline diverse, dalla psicologia alla statistica, ma senza dubbio nel marketing e nella comunicazione trovano un ruolo di primissima importanza.
Il ruolo dei bias cognitivi nel marketing
Nel rapporto fra brand e user, i bias cognitivi interessano entrambe le parti.
Per il brand sono utili perché si tratta di una serie di meccanismi in grado di influenzare profondamente le scelte e gli acquisti degli utenti: conoscendo i bias cognitivi, quindi, si può imparare ad utilizzarli a proprio vantaggio.
Nell’esempio citato in apertura, l’influenza sociale è uno dei mezzi più efficaci per convincere i consumatori ad acquistare un prodotto. Tag line come “9 medici su 10 raccomandano …” o “il più popolare …” e l’uso di testimonianze aumentano significativamente le possibilità di acquisto del prodotto.
Per gli user, invece, è importante saperli riconoscere per essere più consapevoli nelle proprie decisioni d’acquisto (e non farsi prendere alla sprovvista).
Un consumatore consapevole degli effetti che i bias hanno nelle decisioni d’acquisto, probabilmente diventa meno sensibile ai semplici trick commerciali come – ad esempio – il prezzo psicologico (il celebre € 1,99 che il lato emotivo del cervello fa somigliare più a un euro che a due euro).
I bias nei processi decisionali
Abbiamo iniziato questo articolo con il social proof bias, uno fra i più influenti nel processo decisionale d’acquisto.
Una menzione speciale sul tema, però, la meritano anche i media bias: li incontriamo quotidianamente, quando leggiamo informazioni o riceviamo messaggi dai media.
Di fatto, incappiamo in questi errori di valutazione in modo praticamente inconsapevole: vuoi perché l’argomento che ci induce in errore ci interessa troppo o troppo poco, vuoi per stanchezza, vuoi per superficialità.
Ci lasciamo andare a giudizi che costruiamo solo sulla base della nostra esperienza personale, o su preconcetti che ci appartengono per cultura o ambiente sociale.
Il confirmation bias
Il bias nel quale incappiamo più di frequente è il confirmation bias, o bias di conferma: è il processo mentale che ci porta a cercare, selezionare, accettare e condividere solo ed esclusivamente informazioni che confermano le nostre convinzioni e posizioni.
Facciamo un esempio: oggi le discussioni su supposti effetti negativi dei vaccini sono sempre più protagoniste nei media.
Se provate a googlare “vaccini causa di autismo”, otterrete un output ricco di contenuti che paiono confermare la correlazione tra vaccini ed autismo. Questo perché l’algoritmo di Google premia nell’indicizzazione i contenuti coerenti alla ricerca.
Il lettore, già nella stringa di ricerca, ha potenzialmente espresso la sua posizione sulla questione.
Digitando “vaccini causa di autismo”, in qualche modo è predisposto a conoscere o riconoscere questa correlazione, e trova nei risultati una conferma di quanto stava cercando.
Purtroppo l’informazione che ottiene è errata perché la ricerca ha restituito un risultato fazioso: per il parametro di coerenza, l’algoritmo ha selezionato – tra tutti i contenuti disponibili – solo quelli più in linea alla ricerca.
Inoltre, lo stesso algoritmo tiene conto delle ricerche pregresse, dei siti visitati, del comportamento d’acquisto sugli e-commerce e dell’utilizzo dei social media. La ricerca fatta contribuisce così a costruire un giudizio sbagliato, o quantomeno incompleto.
L’effetto echo-chamber
Chi incappa in confirmation bias tende a sua volta a condividere quanto ha ottenuto, alimentando la divergenza tra la realtà e la opinione parziale.
Tornando al nostro esempio, potreste decidere di fare uno screenshot della prima pagina di Google con tutti i risultati coerenti al tema dei vaccini causa di autismo e condividerla sui vostri social: le vostre connessioni, prenderanno quel post ancor più come una verità, e magari lo condivideranno a loro volta. Si creano, quindi, vere e proprie echo chamber, vale a dire ambiti nei quali le idee di un individuo tendono a rafforzarsi con la costante ripetizione in un sistema “chiuso”.
È innegabile che siamo alla ricerca continua e costante di conferme che rassicurino e confermino le nostre opinioni. Il mondo dei Social sembra una macchina perfetta per soddisfare questo bisogno: un ambiente virtuale apparentemente aperto e inclusivo, che però nasconde molte insidie.
Quando manca un’educazione al fact checking e un approccio consapevole al mezzo, questo ambiente corre il serio rischio di trasformarsi in un sistema chiuso che genera e rafforza convinzioni errate.
Il social desirability bias
Un’ampia bibliografia di studi dimostra come le persone interrogate in un sondaggio tendano a non essere del tutto sincere.
È un fenomeno conosciuto come social desirability bias, che fa negare alle persone di avere tratti o caratteristiche socialmente indesiderabili. In altri termini, tendiamo a dichiarare solo l’immagine migliore di noi stessi (che spesso è ben lontana da quanto siamo veramente). Un bell’articolo della BBC del 2013 ci racconta come questo accade – ad esempio – su temi come il sesso, l’alcool, il cibo.
Risulta facile immaginare come questo abbia un impatto anche nei processi decisionali d’acquisto: negli acquisti on-line, dove non siamo immersi in un contesto di socialità fisica, ci sentiamo liberi di acquistare senza essere giudicati; viceversa, se stiamo comprando in uno store fisico, siamo soggetti al giudizio altrui.
Lo status quo bias
Il pregiudizio sullo status quo genera una preferenza per la situazione attuale rispetto ad altre alternative possibili. Lo status quo è preso come punto di riferimento, e qualsiasi cambiamento viene considerato una perdita.
Lo status quo bias si riferisce naturalmente a scenari non oggettivi (cioè quando è chiaro che un cambiamento genererà problemi), ma si applica in casi di generale incertezza.
Come impatta questo bias nel processo di acquisto?
Uno dei primi casi reali registrati è quello delle le assicurazioni sulle auto negli USA negli anni 90. In New Jersey e in Pennsylvania vennero modificate le norme assicurative: vennero introdotte una polizza base molto costosa che consentiva di citare in giudizio l’assicuratore e una economica, che permetteva di farlo solo in modo limitato.
Nel New Jersey, stato in cui l’opzione più economica era quella di default, la maggior parte dei cittadini scelse quella. In Pennsylvania l’opzione predefinita era quella più costosa, e quella fu la scelta di quasi tutti gli assicurati.
Lo status quo bias è solitamente una conseguenza della naturale avversione alle perdite a cui si somma il cosiddetto effetto-dote. Quando scegliamo, abbiamo infatti la tendenza a valutare di più le possibili perdite che non i guadagni potenziali.
Sembra, però, che esistano anche altri motivi, oltre all’avversione al rischio: questo bias viene spesso registrato anche in casi non pericolosi, come la scelta del colore di una nuova auto. Tra le altre motivazioni si registrano l’avversione al rimorso, i costi di transazione e il coinvolgimento personale.
Il choice-supportive bias
Una dei maggiori studiosi di questo bias è Mara Mather, che lo descrive come “una maggiore tendenza ad attribuire caratteristiche positive a opzioni e scelte prese, rispetto alle opzioni scartate.”
Si tratta, quindi, di un meccanismo di sicurezza mentale, che tende a supportare e motivare positivamente le scelte fatte rispetto alle opzioni scartate, evitando sovraccarichi di stress per continue valutazioni post scelta.
Nella consumer journey questo bias si traduce nella razionalizzazione post-acquisto (post-purchase rationalization). Spesso, infatti, non solo l’individuo prende decisioni in maniera impulsiva, guidato dalle emozioni, ma cerca di giustificarle, razionalizzandole. Ciò influisce anche sulle scelte di acquisto future, innescando potenzialmente il bias precedente (status quo).
In conclusione
Il sistema cognitivo umano si adatta alle richieste dell’ambiente esterno sviluppando diverse strategie di ragionamento e decisione. La digital revolution ha modificato e sta modificando radicalmente questo ambiente, e i bias cognitivi evolvono anch’essi in funzione delle nuove tecnologie.
L’effetto echo-chamber di cui abbiamo parlato relativamente al confirmation bias, ad esempio, è stato notevolmente potenziato dall’avvento dei social network. Al contrario, invece, l’avvento della review economy può mitigare l’effetto di status-quo e choice-supportive bias.
Avere una piena consapevolezza del nuovo territorio in cui i bias operano è sempre più strategico per chi disegna strategie di marketing e comunicazione.
Per approfondire
Come sempre, chi volesse approfondire i temi trattati in questo articolo può trovare qui di seguito una selezione di link:
https://searchenterpriseai.techtarget.com/definition/cognitive-bias
https://www.cosmolance.com/how-google-algorithm-works/
https://hackernoon.com/how-confirmation-bias-hacks-your-brain-a506c00ce6a8
https://www.bbc.com/news/magazine-21601880
https://yellowadvice.chebanca.it/lezioni/basi-della-finanza/neo-investitore/status-quo-bias-e-home-bias-non-lo-sappiamo-ma-guidano-le
https://smallbusinessforum.co/cognitive-bias-review-the-choice-supportive-bias-72b53ccff910
https://everydaysaleshq.com/business-psychology/cognitive-biases/choice-supportive-bias/