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Perché gli introversi sono ottimi leader

introverso non è timido

Diciamocelo, quello contemporaneo non è un mondo per introversi. In un’epoca in cui ha sempre più importanza apparire, condividere, essere presenti, farsi notare e soprattutto “fare network” e essere “team player”, coloro che per indole sono più riflessivi, pacati e solitari vengono spesso considerati i “panchinari” della vita. Questo succede in particolar modo sul posto di lavoro, dove si fa fatica a riconoscere agli introversi effettive doti carismatiche, persuasive o di leadership.

Contro il gli stereotipi e il sentire comune verso questo tipo di personalità, le ricerche dimostrano che gli introversi hanno più di un asso nella manica che li rendono capaci di ottenere un enorme successo sia nella vita personale che in quella professionale.

Non è un Paese per introversi

Premessa (forse superflua, ma non si sa mai): Quanto segue non vuole ferire l’ego di nessuno. Il nostro obiettivo è quello di dare dignità a dei tratti che hanno un grande potenziale e che troppo spesso vengono sminuiti e scoraggiati.

È innegabile, infatti, che la cultura occidentale contemporanea sia estro-centrica. Fin da bambini siamo abituati a vedere la socievolezza, la competitività e l’entusiasmo come tratti preferenziali rispetto alla tranquillità, la riflessione e la riservatezza. Il sistema scolastico spinge con sempre più forza attività aggregative e lavori di gruppo, anche quando il compito potrebbe essere svolto con molta più efficacia individualmente. Capiamoci, non che ci sia nulla di male allo stare con gli altri, il problema è che molti ritengono assurdo (se non addirittura preoccupante) che un bambino preferisca leggere un libro piuttosto che giocare al parco con i compagni di scuola.

Lo stesso principio si ripropone anche sul luogo di lavoro, in cui gli open-space, il team-work, e un sacco di altri fichissimi anglicismi nascondono, dietro una facciata di inclusione e dinamicità, un ambiente in cui molti faticano a concentrarsi e a sentirsi a proprio agio. Vi è mai capitato di guardare con confusione un collega che preferisce passare la sua pausa pranzo per conto suo invece di intrattenersi a chiacchierare con gli altri? Se la risposta è sì, avete appena avuto una conferma di questo bias. Ma non temete, il vostro collega non vi odia, ha solo bisogno di un posto tranquillo dove ricaricare le batterie.

Partiamo coi fatti

introversione estroversione

Negli anni 20, Carl Jung ha differenziato per la prima volta estroversi e introversi in base alla fonte da cui traggono energia. I primi ottengono gratificazione dagli stimoli dell’ambiente, dall’interazione con il prossimo e dai grandi gruppi. Queste persone tendono ad annoiarsi facilmente e a provare un notevole disagio in condizioni di solitudine. Inoltre, gli estroversi sono generalmente più istintivi, più propensi al rischio e più sensibili all’approvazione altrui.

Per contro, gli introversi ricavano la loro energia dall’interno. Riflessione, indipendenza e osservazione sono le caratteristiche principali di questo tipo di personalità, che tende ad “assorbire” gli stimoli, invece che “irradiarli”. Un ambiente eccessivamente caotico può rivelarsi particolarmente impegnativo per un introverso, il quale probabilmente preferirà rimanere in disparte per poter percepire e analizzare con cura tutti i vari input.

Questo, tuttavia, non vuol dire che siano sopraffatti o che non riescano a gestire il contesto in cui si trovano, hanno solo bisogno di più tempo per ragionare in maniera approfondita sulle informazioni raccolte.

Gli introversi inoltre sembrano essere eccezionalmente autocoscienti e raramente danno un’opinione approssimativa o non ben motivata.

La ricerca psicologica oggi

A quasi 100 anni dalla prima definizione di Jung, le neuroscienze e la psicologia hanno approfondito questo tema dando apporti fondamentali allo studio della personalità.

Innanzitutto, le stime suggeriscono che gli introversi formino tra il 40 e il 60% della popolazione. Per questo motivo, anche se non rientrate in questa categoria, c’è una buona probabilità che qualcuno a voi vicino lo sia.

Se siete curiosi di conoscere il vostro tipo di personalità, vi consigliamo di fare il test di Myers-Briggs, di cui trovate una versione in italiano su https://www.16personalities.com/it

C’è da dire, poi, che introversione e estroversione sono più due estremi di uno spettro che due categorie separate. La maggior parte delle persone tende ad avere una percentuale dominante di uno dei due valori, ma è molto raro (se non impossibile) trovare un 100% introverso o un 100% estroverso.

A livello neurologico, la differenza principale che sembra separare introversi ed estroversi sembra risiedere nell’attività della neocorteccia (la zona più evoluta del cervello umano). In generale, gli introversi sembrano avere una sovrastimolazione di questa parte del cervello e questo richiede loro un ambiente più tranquillo per riportare l’attività a livelli ottimali. Al contrario, gli estroversi sono al di sotto di questo livello e richiedono, perciò, un’intensa stimolazione esterna per avere un’attività ideale della neocorteccia.

Se siete interessati a questo argomento, è probabile che siate inciampati nel TED Talk di Susan Cain, autrice del libro  Quiet: The Power of Introverts in a World That Can’t Stop Talking

Oggi, però, vi proponiamo un altro TED Talk, quello del Dr. Brian Little, attualmente professore di Personality Psychology all’Università di Cambridge, dichiarato introverso, e detentore del titolo di “Professore Preferito” dai laureandi dell’Università di Harvard per tre anni consecutivi.

Leadership 101

Nonostante il culto odierno per il “Man of action”, in realtà si possono riscontrare, tra i titoli più eminenti della sociologia dell’organizzazione, dei riferimenti a stili di management riconducibili all’introversione.

In particolare, nel 1938 Chester Barnard teorizza nel suo The Functions of the Executive una serie di caratteristiche del manager ideale, il cosiddetto “Dirigente in grigio”. Questa figura è descritta come un dirigente poco propenso al protagonismo e consapevole che gestire un’organizzazione non vuol dire solo dare ordini, ma anche mediare, comunicare e rappresentare. Egli inoltre ha grandi doti non esclusivamente logiche (come la creatività o l’intuito) e possiede sia una grande complessità morale che un senso di responsabilità superiore alla media. Dovendo essere capace di mediare tra i fini dell’organizzazione e quelli dei membri, il Dirigente in grigio deve necessariamente essere propenso all’ascolto e alla comprensione tanto dei bisogni esterni che di quelli interni dell’organizzazione.

Uno studio condotto su 300.000 leader ha evidenziato 10 tratti che determinano il successo. Tra questi troviamo l’orientamento agli obiettivi, il problem solving, la competenza, la capacità di innovazione e l’integrità.

tratti del buon leader hustle

Come potete vedere, questi tratti non sono particolarmente indicativi di una o di un’altra personalità, eppure solo il 6% dei senior executive sembrano ritenere l’introversione un fattore favorevole a una carriera manageriale, contro il 65% di loro che addirittura la ritiene un ostacolo.

Tuttavia, il successo nella direzione di gruppi o intere imprese non sembra variare tra introversi e estroversi, poiché ognuna di queste personalità eccelle a modo suo. In particolare, gli studi indicano che i leader estroversi registrino prestazioni migliori (con un incremento dei profitti del 16%) quando si trovano a contatto con un gruppo passivo e che si limita a seguire gli ordini, mentre nel caso in cui il gruppo sia proattivo e intraprendente, l’efficacia scende al -14%, a causa della loro tendenza ad assumere un atteggiamento dominante.

Nonostante ciò, gli introversi risultano profondamente svantaggiati, perché ritenuti a priori meno adatti a svolgere mansioni manageriali (le ricerche dimostrano che gli estroversi hanno il doppio delle probabilità di essere assunti per ruoli di leadership). Per farla breve, sebbene nulla indichi che il tipo di personalità influisca in maniera decisiva sull’efficacia, agli introversi vengono date molte meno opportunità di dimostrare le loro potenzialità a causa di un bias che rende gli estroversi più attraenti in fase di colloquio.

Guida galattica per leader introversi

bias introversi

Nonostante gli stereotipi, che vedono gli introversi come timidi, chiusi e incapaci di intrattenere con efficacia rapporti sociali significativi; le caratteristiche che, se ben sfruttate, possono rivelarsi asset decisivi in posizioni di management non sono poche.

#1 Gli introversi sono capi democratici

Controintuitivamente, grazie alla loro predilezione per i fatti piuttosto che per il protagonismo, gli introversi sono eccellenti nel gioco di squadra. La loro propensione ad ascoltare e valutare tutti gli aspetti di una situazione li rende capi ricettivi e attenti nei confronti dei sottoposti. Questa tendenza all’ascolto, combinata con una ricerca di punti di vista diversi, li rendono anche molto ben predisposti al contraddittorio (sempre che sia adeguatamente motivato).

Pro tip: è importante mantenere il gruppo di dimensioni ridotte e le riunioni ben mediate. In questo modo si riduce il rischio di accavallarsi l’uno con l’altro e si garantisce a tutti l’opportunità di esprimere il proprio pensiero.

#2 Gli introversi sono degli ottimi problem solver

La probabilità di trovare un introverso che prende decisioni affrettate, superficiali o impulsive è pari a quella di incontrare un unicorno in un autobus a Calcutta. La loro particolare attitudine all’osservazione e alla visione di insieme li rende capaci di sintetizzare situazioni complesse e di individuare con agilità incongruenze, necessità e strategie efficaci. In posizioni di comando, gli introversi sono quelli che hanno tutto sotto controllo, quelli che possono giustificare in maniera dettagliata ogni scelta e quelli che più di altri danno un senso di affidabilità poiché preferiscono sempre essere ben preparati e raramente si riesce a coglierli alla sprovvista.

Pro tip: pensare è bene, pensare troppo è male. Ogni tanto è necessario assumersi dei rischi e, in determinate situazioni, il tempo di reazione è cruciale per il successo. Gli introversi hanno fisiologicamente bisogno di incubare e metabolizzare le informazioni per trovare la soluzione perfetta, ma ricordate: una decisione non perfettamente valutata è sempre meglio della stasi.

#3 Gli introversi sono ottimi mentori

Tendenzialmente, le persone introverse sono orientate al miglioramento costante. Che si tratti di ottimizzare un processo, aumentare le proprie competenze o assicurarsi che il proprio gruppo abbia tutti gli strumenti per lavorare al massimo delle capacità, gli introversi impiegano molto tempo alla ricerca, all’aggiornamento e alla formazione. Come abbiamo già detto, i leader con questo tipo di personalità svolgono spesso elaborate considerazioni prima di agire e possono, quindi, spiegare le loro motivazioni in maniera razionale e dettagliata. Sarebbe impensabile per un capo introverso uscirsene con frasi come: “Fai così perché lo dico io” e sono spesso ben disposti a illustrare minuziosamente tutti gli elementi e le dinamiche che hanno portato alla loro decisione. Il loro fascino risiede proprio in questa capacità persuasiva basata sulla calma e sulla logica.

Pro tip: come abbiamo visto in precedenza, i leader introversi performano meglio in gruppi proattivi e intraprendenti. Per questo motivo è essenziale capire i bisogni e le caratteristiche del team per valutare lo stile di leadership più appropriato.

 

Siete ancora convinti che gli introversi non siano in grado di imporsi nel loro settore e che non possano essere eccezionali innovatori? Chiedetelo a loro:

leader introversione vip

Glenda Giudetti

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