Skip to main content
search
CareerLifehack

Smart working: è tutto smart quel che luccica?

da 22 Marzo 2020Aprile 19th, 2020Nessun commento

In queste settimane non si parla d’altro, e la gran parte delle aziende si è ormai attrezzata per gestire lavoro e dipendenti anche da remoto.
Ma è tutto oro quel che luccica? Cosa penseranno davvero i MARKETERs di questa modalità di lavoro?
Alla fine dell’articolo il parere di Anna, Riccardo e Federico!


Lavorare da remoto: Fiducia + Comfort = (Produttività)^
2

Decenni di studi sembrano confermarlo: poter essere più flessibili negli orari così come avere la possibilità di lavorare da casa, quando richiesto e quando possibile, aumenterebbe la produttività dei dipendenti di un buon +15%. Ma è sempre così?

Difficile dirlo. Quel che è certo però è che il lavoro smart darebbe avvio ad una serie di inneschi psicologici positivi nei dipendenti. Dar loro estrema flessibilità in orari e luoghi di lavoro trasmetterebbe infatti un sentimento di cui tutti sentiamo il bisogno: la Fiducia.

La fiducia è un aspetto che la psicologia – ed in particolare la psicologia del lavoro e gli esperti di Risorse Umane – studiano da anni: è l’anello che lega e consolida tutte le relazioni interpersonali importanti. D’altronde anche in sede di negoziazione di collaborazioni, la best practice è quella di instaurare un sano e sincero rapporto di fiducia. Una volta che questa dimensione si fa forte, le parti sono più disposte a venirsi incontro e a fare sacrifici per l’altro. 

Inoltre l’abilità di un buon leader è quella di ispirare fiducia, ma anche di dare fiducia, concedendo autonomia, stimolando le idee e l’iniziativa propria. Quando gli individui si sentono responsabilizzati, ma allo stesso tempo liberi di gestire autonomamente i propri tempi e spazi, è lì che la produttività (ed il turnover delle risorse) cambiano.

Da un lato la Fiducia, dall’altro il Comfort: poter lavorare senza vincoli di orario – non necessariamente dalle 9 alle 18 – e senza vincoli di spazio – non necessariamente in giacca e cravatta in rumorosi open-space – è una delle variabili che concorre a determinare il benessere e l’attrattività di un posto di lavoro.

Anche le aziende più verticalizzate si trovano oggi a fare i conti con generazioni che valorizzano un’organizzazione piatta, dove la persona di riferimento non è un “capo” bensì un “leader”, stimato per doti e abilità, e dove i collaboratori sono valorizzati, formati e responsabilizzati.

L’autoritarismo a lavoro è passato di moda, e lascia spazio ad una cooperazione solidale, dove il benessere del dipendente viene di pari passo al risultato: una visione del lavoro che amiamo definire “employee-first”.

Ma lo smart working in Italia non è una novità: già nel 2017 aveva registrato una crescita del +14%.

In Europa, sono Regno Unito e Paesi Bassi ad esserne stati i pionieri, mentre la media europea di lavoratori smart si attesta ad un notevole 17%.

Nonostante questi dati sorprendentemente buoni, è tuttavia vero anche che non tutti i ruoli professionali si prestano ad un lavoro da remoto. Ne sono un esempio tutti i lavori del primario, così come la manifattura, la ristorazione, il turismo, l’edilizia, e via dicendo.
Le professioni che si prestano a lavorare da remoto sono di fatto una minoranza, se consideriamo il quadro complessivo delle attività che concorrono a generare il Pil nazionale.

A questo si aggiungono altri limiti: vediamone insieme i principali.

 

Limiti e controversie

Lo smart working è decisamente una soluzione intelligente e brillante per far fronte alla situazione di emergenza che stiamo vivendo, pur tuttavia presentando dei limiti.

Controllo e (Auto)Controllo. Il primo della lista è decisamente la possibile mancanza di controllo, e di auto-controllo. L’assenza di supervisione se è rassicurante da un lato, è anche estremamente rischiosa – a livello produttivo – dall’altro. Cambiando location, mantenere la concentrazione potrebbe essere più difficile. 

Gli orari di lavoro. In questi giorni, spesso e volentieri si è abusato del termine smart working, dal momento che è stato adottato per indicare una circostanza dettata più da una necessità che da una reale volontà di sperimentazione e di responsabilizzazione del dipendente.
Infatti, se è vero che i liberi professionisti riescono – e possono – organizzare il proprio tempo come vogliono, in quanto il loro lavoro viene gestito autonomamente e non necessita di coordinamento spazio/temporale con un team, è vero anche che per il lavoro dipendente, nella maggior parte dei casi, l’interazione e l’allineamento sono aspetti essenziali.
Questo significa che in contesti di questo tipo una completa flessibilità di orari non sarà ma veramente possibile.

L’importanza delle small-talks. Ricordo di aver sentito questa frase, anni fa, in una serie tv: “Water cooler talks improve productivity”.
Quelle che gli americani chiamano chit-chat, quelle piccole conversazioni tra colleghi al dispenser d’acqua (o alla macchinetta del caffè se vogliamo italianizzarne la visione), sembrano infatti promuovere uno scambio di informazioni che accresce la comprensione generale delle dinamiche dell’azienda, promuovendo al contempo un ambiente lavorativo sano, incoraggiando la collaborazione ed il team building e alimentando l’employee engagement.
Le interazioni sociali, peraltro, sono il motore della nostra vita: lavorare da casa saltuariamente può giovare, ma svolgere il proprio lavoro, sempre, da remoto potrebbe finire per ostacolare il flusso naturale delle micro-informazioni, oltre che diventare demoralizzante, frustrante e tutt’altro che stimolante.

 

Cosa ne pensano gli smart workers?

Dopo questa panoramica generale, abbiamo voluto andare più a fondo, sondando il parere di quelle persone che con lo smart working, in questo periodo, ci fanno i conti tutti i giorni.

Anna, Riccardo e Federico sono stati i primi a voler condividere con noi il loro pensiero, dando un contributo unico a questo articolo. 

Ecco quello che abbiamo chiesto loro:

1. Nome e ruolo:

A: Sono Anna Zenoni, ho 22 anni e lavoro come Event Manager Assistant in Uqido. Seguo l’organizzazione di EICS, evento sul tema Tecnologie e Innovazione. Mi occupo di Social Media, contatto Media Partner e Speaker.

R: Ciao, mi chiamo Riccardo Buson, ho 30 anni e sono Content Specialist in TSW.

F: Ciao sono Federico Cammarata, ho 35 anni e sono Marketing Engineer in una multinazionale nel settore metalmeccanico. Mi occupo di Marketing, ma con un taglio particolarmente tecnico. 

 

2. Sei in smart working ora? Se sì, come ti stai trovando? 

A: Si, sono in smart working. A dire la verità non ho sentito molto la differenza, visto che Uqido è un’azienda che prevede questa modalità ed è attrezzata con tantissimi strumenti per facilitare il lavoro da remoto e semplificare la comunicazione interpersonale.
In complesso, lo smart working mi piace, ma se posso scegliere preferirei andare in ufficio: quando si organizzano eventi l’allineamento è fondamentale, e vedersi fa spesso la differenza. E aiuta a far nascere idee migliori.

R: Sì, sono in smart working da fine febbraio. Cause di forza maggiore lo hanno imposto e devo dire che sta andando tutto bene. Soprattutto perché mi permette una migliore gestione del tempo nel corso della giornata.

F: Più che in smart working direi che sono in remote working, nel senso che per essere tutti allineati e confrontarci, lavoriamo tutti seguendo orari di ufficio. Questa modalità è stata introdotta per la prima volta adesso, prima era una cosa che non si faceva.

 

3. Come è cambiata la tua routine da quando lavori da casa?

A: Diciamo che mi alzo alla solita ora e, anziché spostarmi, mi metto subito a lavorare. La pausa a casa è più breve, quindi tutto sommato forse in questi giorni sono anche più produttiva. Ma sceglierei un giusto equilibrio tra lavoro in ufficio e lavoro da casa.

R: Lavorare in smart working comporta meno distrazioni e meno interruzioni, quindi sento di essere leggermente più produttivo. Ci sono però anche grandi limiti. Per quanto mi trovi bene con lo smart working, non credo che vorrei sempre lavorare da casa: l’aspetto sociale è una parte troppo importante del lavoro, soprattutto in quello di agenzia.

F: Sicuramente la routine è cambiata: ho ridotto gli spostamenti, mi gestisco autonomamente e riesco a organizzare meglio il tempo. Inoltre da casa riesco a concentrarmi molto meglio. Ciononostante, la presenza fisica rende il confronto più immediato e proficuo. E questo è un grande limite dello smart working. 

 

4. Utilizzate tool particolari in smart working? Quali?

A: Sì: Slack per la messaggistica: abbiamo gruppi per ogni team. Clockify per monitorare le ore e vedere su cosa un dipendente sta lavorando. Calendar per prenotare la sala riunione ed evitare sovrapposizioni, ed infine Hangout per le call.

R: Si e no, nel senso che utilizziamo gli stessi strumenti già in uso in ufficio, ma ne facciamo un uso maggiore. Prevalentemente: Skype e Teams per call e meeting.

F: Usiamo Skype for Business, anche se lo usavamo anche in passato. Inoltre l’ICT ha fatto un grosso lavoro per permettere a tutti l’accesso al server!

 

Marketers e non, e voi che ne pensate? Quali strumenti state utilizzando di più? Scriveteci nei commenti!
Un grazie a Anna, Riccardo e Federico e ci vediamo nel prossimo articolo!

 

Romina De Stefani

Lascia una risposta

Close Menu