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Branding

Il giusto valore di un marchio: come misurare la Brand Equity

da 28 Ottobre 2019Ottobre 31st, 2019Nessun commento

Il primo biglietto da visita di tutte le aziende è il brand. Non si parla di ragione sociale, ma del simbolo con cui racchiudere in pochi tratti, storia e filosofia aziendale.

Considerato come una delle risorse immateriali più rilevanti di un’azienda, il brand è l’evoluzione del marchio in un concetto astratto, composto da aspetto fisico, personalità e stile aziendale. Negli anni Ottanta Jaques Séguéla si spinse a descrivere il brand come l’anima stessa di un’azienda, in un’ottica di metafora tra marca e persona.

La definizione di brand è stata reinterpretata da molti in modo poliedrico e astratto in più occasioni. Ciò nonostante esiste anche una definizione “scientifica” del concetto di brand. L’American Marketing Association definisce, infatti, il concetto di brand come un nome, un segno, un termine, un simbolo o una combinazioni di questi elementi, che ha lo scopo di identificare i beni o i servizi di un venditore o di un gruppo di venditori per differenziarli da quelli dei concorrenti.

Negli anni Ottanta, l’analisi dettagliata delle caratteristiche e delle strategie dedicate ai brand ha dato vita a un vero e proprio ramo di studi di marketing. Tali studi hanno permesso di definire ruolo e caratteristiche e strumenti di misura di un brand vincente.

I primi passi di definizione del brand

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In primo luogo si è partiti dalla definizione degli obiettivi strategici di un brand: la preferenza del consumatore, il coinvolgimento dei fornitori, la costruzione di un sentimento di fiducia verso l’azienda e il suo riconoscimento economico e sociale. Tale definizione ha permesso di estendere il concetto di marca a una visione più estesa del rapporto tra le aziende e l’ambiente economico-sociale in cui sono inserite. Il brand non deve limitarsi a rafforzare il rapporto azienda-consumatore, ma confermare le aspettative condivise tra tutti gli stakeholder interni ed esterni.

Che cosa è la Brand Equity

Quest’ottica di gestione del brand nacque con gli studi sulla brand equity, ovvero il valore aggiunto apportato dalla marca al prodotto/servizio.

Uno dei primi studiosi della brand equity fu David Aaker, che nel suo libro Managing Brand Equity fu il primo a capire gli effetti positivi che un buon marchio ha sui clienti: il riconoscimento ‒ brand awareness ‒, la fedeltà ‒ brand loyalty ‒, il miglioramento della qualità percepita, le associazioni positive legate al brand, altri asset come brevetti e marchi registrati.
Questi elementi emozionali ed esperienziali permettono al consumatore di immagazzinare diverse informazioni, utili successivamente a velocizzare la scelta di acquisto futura.

Gli studi di Aaker vennero ripresi da molti altri economisti, tra cui Kevin Lane Keller, che nell’abbozzare una prima misurazione della brand equity, considerò anche gli aspetti negativi dati da una pessima immagine del marchio. Da questi studi si rafforzò sempre di più la necessità di valutare anche finanziariamente il valore della brand equity, nell’ottica di evitare possibili rischi finanziari, dati da una risorsa mal gestita.

Il primo obiettivo di questi studi fu dunque la rappresentazione monetaria del brand nel bilancio aziendale. Tale prospettiva prese subito in considerazione il differenziale di margine lordo, derivato dal premium price applicato, grazie a un brand vincente. Di seguito, altri studi considerarono anche le potenzialità future di un marchio, valutando la brand equity generata dagli investimenti in comunicazione, fiducia e reputazione aziendale.

Dagli anni Ottanta a oggi il concetto di brand equity non è cambiato: identità, notorietà, qualità, fedeltà e fiducia sono le risorse di un brand volte a dare vantaggi funzionali, simbolici ed esperienziali ai clienti. La trasparenza, l’empatia e le gratificazioni di un marchio generano così un valore aggiunto al prodotto, capace di remunerare un’azienda.

Come approcciarsi alla giusta valutazione?

Nel corso degli anni sono nate diverse istituzioni che si occupano di misurare la capacità di un brand di generare valore economico. Tra queste spiccano Interbrand e Kantar, e la classifica di Forbes, che ogni anno pubblicano una lista di brand vincenti nel mercato e produttivi per le proprie imprese.

I criteri di valutazione usati per stilare la classifica tengono in considerazione in modo alternato gli aspetti commerciali e finanziari anticipati poco fa, che tuttavia devono dimostrarsi pubblici e attendibili. I dati considerati derivano da un insieme di informazioni di tipo finanziario ed economico, che vengono analizzati con modelli di valutazione specifica e interpretati in modo olistico.

Gli aspetti chiave dell’analisi sono:

  1. analisi finanziaria: data dal ritorno finanziario dato dal brand agli shareholder, al netto della tassazione esistente;
  2. il ruolo del brand: l’importanza che ha il brand nel ruolo decisionale di acquisto, valutato in base ad analisi statistiche, storiche e di management di un brand;
  3. forza del brand: l’abilità del brand di creare fiducia nel mercato in cui opera, fidelizzando i clienti, convertire lead e prospect e coinvolgere i propri fornitori.

I primi due punti sono solitamente trattati con un’ottica più selettiva: l’analisi finanziaria guarda ai risultati diretti di bilancio delle aziende, considerando investimenti e ritorno. Il ruolo del brand, invece, può essere stabilito secondo alcuni degli schemi matematici-statistici di scelta d’acquisto del prodotto, attuale e nel passato.

I fattori da considerare nella valutazione

La forza del brand è valutata in un’ottica più ampia che interpreta alcune caratteristiche del brand e dell’azienda. Tale misurazione deve considerare sia aspetti esistenti del brand che elementi potenziali di crescita, in particolare rispetto al rapporto consumatore-azienda e alla presenza del brand nell’ambiente sociale ed economico.

Dal punto di vista interno, la brand equity ha un ruolo fondamentale di coordinamento tra chi lavora all’interno dell’azienda. Essa si basa essenzialmente sulla condivisione di valori che l’azienda vuole offrire al mercato, sull’operatività interna e la gestione strategica delle mansioni, sul coinvolgimento dei dipendenti al progetto di sviluppo e sulla loro responsabilizzazione ad affrontare correttamente difficoltà e sfide.

Per quanto riguarda la dimensione dell’azienda nell’ambiente esterno, i ruoli del brand cambiano. In questo caso il brand è valutato per le sue caratteristiche, acquisite con le strategie di branding, la notorietà del prodotto e la sua reputazione.
Nell’analisi di performance del brand si considerano dunque:

  • la credibilità del brand,
  • la desiderabilità del prodotto,
  • la differenziazione rispetto ai competitor,
  • le aspettative del mercato,
  • la presenza nel mondo,
  • il coinvolgimento.

I migliori brand oggi

L’analisi di queste caratteristiche è molto condizionata dall’aspetto geopolitico in cui si muovono le aziende. Molte delle classifiche sui brand vengono fatte con una prospettiva nazionale, considerando la provenienza del marchio, l’impatto che ha sullo Stato e sul commercio globale. Le performance complessive sono comparate con il resto dei marchi del mondo, al fine di valutare il Paese con il resto delle nazioni. Un esempio? L’Italia si posiziona al 18° posto, grazie a marchi come Gucci, TIM, Enel, Kinder e Ferrari, che affermano lo stile italiano nel mondo e rendono rosee le prospettive di crescita di queste aziende.

Ma se l’Italia dei brand si fa conoscere nel mondo per moda e cibo, sul podio mondiale dei brand si posizionano i grandi marchi della tecnologia: Amazon, Apple e Google alternano da qualche anno il primo, secondo e terzo posto. Il 2019 vede anche la comparsa di molti brand cinesi nei primi cento posti della classifica mondiale, tra cui il colosso e-commerce Alibaba e l’azienda di telecomunicazione Tencent. Ciò nonostante i brand statunitensi restano i maestri di brand marketing, occupando la maggioranza delle classifiche stilate in questi anni.

Valorizzare l’immagine e comunicare i valori

In conclusione, l’importante presenza di brand legati al settore tecnologico è un sintomo evidente delle economie di rete e della diffusione delle telecomunicazioni. Ciò nonostante, i brand del settore automobilistico, enogastronomico e finanziario dimostrano come in ogni campo economico le aziende possono valorizzare la propria immagine e i propri valori partendo ancora dalla marca. Non contano dunque le tendenze stilistiche e di consumo del momento, ma la capacità delle aziende di comunicare, coinvolgendo l’ambiente economico e sociale a interessarsi alla sua identità e identificarsi nei suoi valori.

Miriam Battistella

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