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Il problema dello spot di Gillette non è un problema di Gillette

da 26 Gennaio 2019Febbraio 2nd, 2019Nessun commento
Gillette We Believe

Gennaio 2019, la nota marca di lamette da barba e rasoi Gillette inaugura l’anno uscendo in rete con un nuovo commercial. E fin qui nulla di strano.

Lo spot però, dal titolo “We Believe: The Best Men Can Be”, si presenta nettamente diverso da quelli che da sempre hanno caratterizzato la comunicazione del brand, addirittura quasi dissociandosi dai precedenti, per comunicare per la prima volta qualcos’altro.

Questa volta Gillette parla di bullismo, di disparità tra sessi, di una società in cui i numeri riguardanti le violenze sulle donne sono drammatici. Parla della società ai tempi del #Metoo (incredibilmente e vergognosamente attuale), di un modo di “essere uomo” che oggi, più di ieri, non può essere considerato “ok”.

In sostanza parla di uomini agli uomini, soprattutto ai più giovani di loro, cercando di comunicare che si può “essere uomo” in tanti modi, ma il modo che molti oggi considerano “giusto” è il più sbagliato di tutti.

E poi il caos.

Uomini in tutto il mondo si infuriano perché “Basta con il femminilizzare la figura dell’uomo!”, arrivano i commenti di insulti alla marca, su YouTube il numero di dislike sorpassa e doppia il numero di like. Immancabile arriva l’hashtag #BoycottGillette, che raccoglie tutti i tweet di chi “non acquisterà mai più i prodotti del brand”.

Crisi? Errore? Fallimento di Gillette?

No. Piuttosto, Gillette è l’ennesimo grande brand che con coraggio prende una posizione netta su un tema drammaticamente importante nella società odierna; in un contesto in cui non è più contemplato da parte del pubblico che un’azienda si disinteressi di ciò che la circonda. E leggendo commenti e critiche in rete, da parte di addetti ai lavori e non, emergono chiaramente due grandi problemi, sì, ma che non riguardano affatto Gillette.

Il primo problema riguarda molti “addetti ai lavori” di marketing e adv che in rete gridano al fallimento di Gillette, considerando l’ultimo spot del brand un vero e proprio disastro. Secondo molti, infatti, l’alto numero di reazioni negative da parte del pubblico evidenzierebbe l’errore di Gillette di “rincorrere i millennials”, dimenticandosi però di ciò che pensa davvero una grande parte del suo pubblico.
Per altri, le tantissime critiche arrivate alla marca, non fanno altro che confermare che attività come questa hanno il solo obiettivo di puntare al famoso “purché se ne parli”, ma risultano distruttive in termini di vendite e fatturato.

In queste critiche però esiste almeno un errore di base: la differenza tra un brand che decide di prendere posizione e uno che vuole solo farsi notare.

Se infatti proprio grazie alla (fin troppo) diffusa logica del “purché se ne parli”, molti brand negli ultimi anni ci hanno regalato le peggio schifezze, per essere fini, prendere posizione è qualcosa di completamente diverso: è tutt’altro che seguire una moda, significa schierarsi, confrontarsi con problemi e tematiche che interessano il pubblico e l’intero contesto in cui opera l’azienda. Ma soprattutto, prendere posizione significa irrimediabilmente non piacere a tutti, perché piacere “un po’ a tutti” non ha più senso (e forse non l’ha mai avuto).

Il “nuovo pubblico”, i cosiddetti millennials si interessano sempre meno alla marca in sé, se questa non comunica valori forti che permettano di stringere un legame che va ben oltre il rapporto vendita-acquisto. E non sono forse proprio i millennials il pubblico di oggi, ma soprattutto il pubblico di domani?

Chi critica Gillette dicendo di essersi dimenticata di cosa pensa il suo pubblico, forse non ha compreso che con questo spot la marca americana guarda soprattutto ai più giovani, comunicando qualcosa di valore che in futuro potrebbe rivelarsi una leva di scelta incredibilmente potente.

E se ciò scontenta una parte di pubblico di oggi, chissenefrega, perché prendere posizione vuol dire anche questo. Senza considerare poi che l’uomo che “si indigna” per uno spot del genere e per ciò che comunica è già tanto se si compra autonomamente i rasoi e non si accontenta invece di ciò che arriva a casa in mezzo alla spesa. E qui si collega il secondo grande problema che emerge con questo spot.

Un problema che van ben oltre il settore marketing/adv, ma che riguarda la società stessa. Un problema che riguarda la percezione della donna e dell’uomo nella società e che è ancora fin troppo condivisa.

Le critiche arrivate a Gillette nei commenti al video, su Twitter, sulla stessa pagina del brand, mostrano in realtà solo una cosa: quanto questa presa di posizione da parte dell’azienda fosse dannatamente necessaria.

A partire dalle critiche più banali di buonismo, che non possono stare in piedi analizzando nel dettaglio lo spot e considerando che già dai primi secondi Gillette fa una vera e propria ammissione di colpa. Nel commercial, infatti, viene mostrato il celebre payoff dell’azienda “The best a man can get”, quasi per evidenziarne il messaggio sbagliato (o perlomeno controverso), figlio forse dei tempi, come per ammettere apertamente di essere stata Gillette stessa, in qualche modo, parte del problema. Per arrivare però a comunicare che “The best a man can get”, con quella accezione di “possesso”, non può più essere “ok”, trasformandolo così in un rinnovato “The best men can be”. Il meglio che un uomo può essere, per cercare di essere meglio di così; un messaggio rafforzato da un manifesto sul sito di Gillette e dall’iniziativa a supporto di “Boys & Girls Clubs of America”. Se questo è buonismo, allora che tutti i brand facciano i buonisti.

Ma le critiche peggiori e che meglio racchiudono quanto sia forte in realtà il messaggio di Gillette, sono quelle che vedono il brand accusato di essere complice della “femminilizzazione della società” (che chissà che cosa vorrà dire poi) e di risultare sessista a sua volta. Critiche che mostrano il problema della nostra società in tutta la sua gravità, una società in cui per molti, troppi, fino ad oggi l’uomo doveva essere macho, doveva conquistare e dominare, in quanto “sesso forte”. Concetti che è il momento di abbandonare (già con vergognoso ritardo) e che molti uomini hanno già abbandonato da tempo, comprendendo che “essere uomo” significa ben altro: significa rispettare gli altri (indipendentemente dal sesso, dalla razza o dalla religione), significa alzare la voce e dire “basta” a comportamenti e atteggiamenti indecenti, significa insegnare ai propri figli ad ambire a essere uomini migliori. The best men can be.

 

Davide Pari

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