
Sommate le parole “sportswear” e “marketing”. Qual è il risultato di tale addizione? Ovviamente Nike, leader indiscusso del mercato dell’abbigliamento sportivo; risultato che non deriva solamente dalle sue indiscusse capacità di presidiare la scena e dal suo classico swoosh, ma anche da un altro brand, creato a partire da uno dei migliori atleti della storia dello sport. Questo brand è così forte che può permettersi di non contenere “Nike” all’interno del suo nome, questo brand letteralmente fa volare. Ah, l’Atleta (la maiuscola in questo caso è d’obbligo) è un certo Michael Jeffrey Jordan e il brand è proprio dedicato a His Airness: Air Jordan.
Pensate alla pallacanestro, alla rete, al parquet, anzi, no: pensate al basketball, alla “net”, al “court”. Il palcoscenico di questa storia sono gli USA, dove dopo il baseball (sport nazionale), il basket è un’istituzione, uno spettacolo per gli occhi di tutta America, specie di quei ragazzini che vedono in quei giganti i propri esempi, forse eroi. Non è un caso se negli anni a cavallo fra ’80 e ’90 tutti i ragazzini sognavano di essere come lui, come Mike.
Air Jordan I
MJ non voleva vestire Nike, lui voleva Adidas. Infatti, in quel periodo tutta la franchigia NBA era dominata da Converse e proprio da Adidas. Nike però doveva rilanciarsi, eh già, non era il colosso dello sportswear che conosciamo oggi. Contestualizziamo il discorso: in quegli anni spopolava in America il jogging, Nike era pioniera di queste scarpe comode e basse, ma questo non era abbastanza, in più il trend della corsetta mattutina sarebbe scemato di li a pochi km. Serviva un ambassador, qualcuno capace di far parlare di sé, qualcuno di promettente, e chi meglio del ventunenne proveniente dalla University of North Carolina? Non fu facile convincere Michael a firmare il contratto da 2.5 milioni di dollari in 5 anni, ma alla fine, nel 1984, Air Jordan Brand prese vita ed iniziò la sua ascesa.
Lungimiranza, tiro da 3, splash, solo rete. Tiro vincente da parte di Nike.
Air Jordan 1 ed MJ, foto d’epoca
Quando gli fu presentato il primo paio di scarpe pensato per lui, le Air Jordan 1, Micheal non volle saperne di indossarle, in una NBA che calzava solo scarpe bianche pensava che sarebbe stato visto come un clown con quelle scarpe colorate. Tutt’altro: venne percepito come un’icona, come qualcuno che si distinse rispetto agli altri. Rosso e nero, questi i colori d’esordio di quel paio di scarpe, proprio come i colori della squadra in cui Jordan ha militato per gran parte della carriera: i Chicago Bulls. Nike fu costretta a pagare 5000 dollari di multa ogni volta che Jordan scendeva sul parquet con quelle scarpe. Nelle prime dichiarazioni Nike affermò che l’NBA non voleva quelle scarpe perché troppo performanti rispetto alle altre, la verità è che quelle scarpe non avevano abbastanza bianco sulla propria superficie. Altra mossa vincente da parte di Nike, che ben ha saputo sfruttare questa controversia a suo favore.
Il Logo: dal pallone alato a Jumpman
Osservate bene le Air Jordan I e II, cosa vi sembra poco familiare? Il logo. Già, perché nei primi due modelli ancora appare il primo logo pensato per Air Jordan, quello con il pallone alato. Solamente dalla terza generazione di Air Jordan sarà introdotto Jumpman, molto più di un logo, icona, status symbol, in grado di far passare in secondo piano “mamma Nike” per i valori e lo stile che questo brand ha acquisito negli anni.
Il pallone alato, primo logo del brand
Il tutto nasce da una foto che ritrae Michael Jordan che salta in aria tenendo il pallone col braccio sinistro, come a mimare una schiacciata; la verità sulla foto è ben diversa. Mike non sta schiacciando a canestro, effettivamente ci sono modi ben più efficaci e spettacolari per farlo, egli sta semplicemente saltando a gambe aperte, come a mimare un passo di danza.
La genesi del Jumpman
Anno nuovo, modello nuovo
Dall’85 in poi Jordan ha calzato una nuova Air Jordan ogni anno, disegnate sempre dalla matita di Tinker Hatfield: scarpe mediamente sempre accolte in maniera positiva dal mercato, americano in particolare. Ogni lancio era accompagnato da uno spot dell’eccentrico regista Spike Lee e da MJ stesso, sportivo per il quale Lee letteralmente stravedeva. Qui due degli spot più famosi
Chiedetevi qual è la sneaker più venduta della storia. Eh sì, proprio un paio di Air Jordan, per la precisione il terzo modello, che avrebbe dovuto portare il nome di Air Jordan Revolution, proprio le prime a riportare Jumpman come logo. Il tutto partì da un’idea di Michael che voleva una scarpa outstanding, il risultato fu eccezionale grazie a quella particolare stampa a pelle d’elefante, aggiungete il fatto che con quelle scarpei MJ riscrisse le leggi della fisica alla gara di schiacciate del 1988 e che vinse il titolo di MVP della stagione ed avrete tutti gli ingredienti per uno dei più grandi successi a livello di brand.
Air Jordan Revolution o Air Jordan III, le prime con logo Jumpman
Social
Apriamo una breve parentesi sui social network utilizzati dal brand, e sui numeri generati, per aiutarci a capire il suo successo planetario:
- Twitter, 2.75 milioni di follower;
- Facebook, più di 8 milioni e mezzo di fan;
- Instagram, 8.2 milioni di follower
- Youtube, quasi 190 mila iscritti al canale.
Ogni contenuto condiviso crea altissimi tassi di engagement tra i fan e i follower, #WeAreJordan non è solamente un hashtag, è un vero e proprio stile.
Endorsement
Non c’è solo MJ tra gli endorsed athletes del brand, ma tantissime altre stelle della NBA tra cui Ray Allen, a cui è stata dedicata una scarpa con tanto di suo logo (una sorta di Jumpman con il suo tiro in elevazione) e firma, Dwayne Wade tornato quest’estate proprio a Chicago, il playmaker degli Oklahoma City Thunder Russel Westbrook, Chris Paul e Blake Griffin, rispettivamente playmaker ed ala grande dei Los Angeles Clippers, l’ala piccola dei New York Knicks Carmelo Anthony e la guardia tiratrice dei Chicago Bulls Jimmy Butler. Questi i cestisti ancora in attività che indossano scarpe griffate Jumpman, ma la lista sarebbe ancora più lunga se includessi anche giocatori non più in attività.
Air Jordan per Ray Allen, oltre alla firma il suo celebre tiro in
Limitarsi al basket sarebbe stato riduttivo per un brand come Air Jordan, sempre più iconico e presente nella quotidianità degli amanti dello sportswear, per cui molte altre star del panorama sportivo (americano in particolare) hanno avuto l’onore di calzare il brand tra cui il pugile statunitense Andre Ward, quest’ultimo insieme all’attore Michael Bakari Jordan hanno portato di recente Air Jordan sul grande schermo, attraverso un ben studiato product placement, nello spin-off della saga di Rocky Balboa: Creed – Nato per combattere, atleti ed ex atleti della NFL come Earl Thomas, Terrel Owens, Charles Woodson. Passando al baseball c’è un nome su tutti, quello di Derek Jeter, interbase e capitano dei New York Yankees dal 1995 al 2014, omaggiato in questo modo da Nike per il suo ritiro.
Anche per il tennista più elegante di tutti i tempi furono progettate un paio di scarpe ispirate alla terza generazione di Air Jordan, sto parlando ovviamente di sua maestà Roger Federer. Anch’egli ha creato un brand tutto suo: RF, le sue iniziali. Capi sportswear sì, caratterizzati però da quell’eleganza sempre ricercata e che allo stesso tempo contraddistingue Federer sul campo.
Ultima, e a mio avviso geniale, mossa di marketing di Air Jordan è stata fatta proprio nell’estate 2016, quando His Airness stesso e l’asso della nazionale brasiliana e del Barcellona Neymar JR hanno presentato un modello di scarpa da calcio, Hypervenom in questo caso, con una livrea inconfondibile, quella delle Air Jordan V, oltre ad una rivisitazione di questo modello ed una linea di abbigliamento ibrida.
Neymar è da lunga data un endorsed athlete di Nike, ma questa collaborazione che trascende calcio e pallacanestro, potrebbe risultare davvero vincente. Il brasiliano infatti è una vera e propria star, seguitissimo sui social, amato per le giocate spettacolari sul campo, proietta un’immagine giovane, vincente, ma soprattutto cool.
Rovesciata e goal o schiacciata spettacolare? Entrambe.