
Apple, Gesù, Moleskine, Coca Cola, Il Paiolo Magico, i Beatles, Google, Giovanni Paolo II. Un insieme apparentemente casuale di personaggi, valori, brand, siti internet.
Una cosa li accomuna: sono tra i più amati brand del mondo. Appunto, per citare Kevin Roberts, sono Lovemarks.
In altre parole, si distinguono dalle altre decine di migliaia di player delle loro categoria, generando lealtà oltre la razionalità. Entrare nella loro ottica, però, è tutt’altro che semplice: il concetto è piuttosto recente e si colloca in una dimensione spazio-temporale in cui è in atto una transizione da trademark, inteso come mero certificato di garanzia e qualità di un prodotto, verso lovemark.
La problematica
La dimensione di fiducia e sicurezza assicurata dai trademarks, in un mercato saturo di competitor e prodotti di qualità comparabile, inizia ad essere più un requisito che un vantaggio: siamo nell’epoca della commodificazione; la presenza sul mercato di tanti concorrenti e sostituti che puntano sulle stesse dimensioni di prodotto ha portato i consumatori a vedere gran parte dei beni con cui viene a contatto quotidianamente come commodities.
Secondo Roberts, le conseguenze per i brand sono le meno desiderate: la decisione del consumatore verrà infatti principalmente influenzata dalla convenienza economica. La commodificazione è il nemico numero uno delle aziende in quanto diminuisce in modo esponenziale la possibilità di creare brand loyalty e sposta la competizione solo sul prezzo.
Questo scenario ha portato ad una sorta di “crisi del brand” tradizionale, sfiancato dalla grande concorrenza e che, nella maggioranza dei casi, si fondava su un’assunzione data troppo per scontata: quella, cioè, che il pubblico percepisca il brand come lo percepiamo noi.
Istinto di sopravvivenza
Uno dei migliori esempi di decommodificazione, citato sempre dal libro di Roberts, è offerto da Telecom New Zealand, provider di telecomunicazioni neozelandese, prima del 1970 in monopolio e dopo “in pasto alla concorrenza”. Telecom sapeva che, comportandosi come una commodity, in cambio si veniva trattati da tale. Per questo ha deciso di comportarsi in modo diverso, di prendersi l’attenzione dei consumatori e, una volta catturata, di sfruttarla così:
Questa campagna si colloca sulla cresta dell’onda del marketing emozionale, seguendo la convinzione che le persone sono comandate più dalle emozioni che dalla razionalità.
Un’onda che essenzialmente si basava, come ha teorizzato e messo in pratica con Saatchi & Saatchi Kevin Roberts, su due valori: l’amore ed il rispetto. Non a caso questi sono i due principi su cui si basa una relazione a lungo-termine. L’amore è quello di cui molti brand avrebbero avuto bisogno per consolidare le relazioni e connessioni con i propri clienti e non scomparire nella pletora di marchi con cui ciascun consumatore ha a che fare ogni giorno.
Mistero, Sensualità e Intimità
Nel mercato odierno, però, per quanto i clienti possano amare quello che fai, non saranno mai pronti ad instaurare una relazione di lungo termine, chiudendo un occhio di fronte ad errori e sposando in modo vero e proprio il brand, se non rispettano come lo fai.
Per guadagnare un inattaccabile rispetto, un brand deve essere pronto a sposare una serie di condizioni, tutte sfidanti, sapendo che i consumatori di oggi giudicano ad ogni occasione, e dunque distruggere una reputazione solidificata in anni è questione di pochi secondi. Integrità, performance, innovatività, affidabilità sono solo alcuni dei valori che un brand deve abbracciare per accaparrarsi il rispetto dei consumatori.
Pur essendo difficile circoscrivere le variabili che più contribuiscono all’ottenimento di rispetto e amore, la Saatchi & Saatchi è giunta alla conclusione che le principali 3 siano: mistero, sensualità, intimità.
Mistero
La prima dimensione, quella del mistero, comprende alcune delle assunzioni oggi alla base di un buon marketing: lo storytelling, il combinare passato, presente e futuro, far sognare i propri clienti ed ispirare tramite miti ed icone. L’importanza di questa componente è data dal suo orientamento alle persone; e le storie, così come le icone ed i sogni, restano a lungo nella mente del cliente. Infatti, una gran parte dei Lovemarks è rappresentata da icone.
Sensualità
L’impatto della sensorialità risiede principalmente nel fatto che i sensi sono la strada più corta per raggiungere le emozioni dei consumatori: le comunicazioni sensoriali hanno infatti la capacità immediata di raggiungere la sfera percettiva dei consumatori. Alcuni suoni, immagini, odori sono diventati dei veri e propri asset, come il rombo dei motori delle auto di Formula 1 e delle motociclette Harley Davidson.
La strategia dei sensi è anche quella usata da Lush Cosmetics, come potete apprezzare dal claim “follow your nose” usato ad esempio nello store di Venezia.
Intimità
Per quanto riguarda l’intimità, si tratta di un punto spinoso in quanto è piuttosto comune risultare pretenziosi od invasivi. L’intimità però è un driver importante per regolare l’intensità e la stabilità di una relazione, e non a caso in tempi recenti per misurare il grado di intimità è stato creato un apposito indice: l’Intimacy Index, nato per poter valutare brand proprio riguardo al loro grado di intimità con la clientela.
Nella Top 5 figurano, sarà un caso, 5 lovemarks: in ordine Apple, BMW, Toyota, Amazon e Harley-Davidson. Questi brand hanno capito dove e come posizionarsi nella vita dei propri clienti e, presenti ma non invadenti, hanno sempre cercato di capire i desideri del loro target.
Looking for love
Come si evince dal grafico, i brand sul mercato possono essere posizionati su un piano cartesiano, con l’amore sull’asse delle X e il rispetto sulle Y. Intuitivamente, i brand che si piazzano nel quadrante in basso a sinistra saranno quelli più vulnerabili alla commodificazione; uno scarso grado sia di rispetto che di amore li colloca nella situazione in cui verranno scelti solo in quei mercati in cui la discriminante per le decisioni di consumo è il prezzo.
I fads (tradotti in Italiano “mode passeggere”) rappresentano quei prodotti che raggiungono molto velocemente il picco di popolarità per poi finire nel dimenticatoio. Un esempio di brand che è riuscito a fare il “salto di categoria” da fad a Lovemark è Playstation. In alto a sinistra si trovano invece i brand, meritevoli di rispetto, ma non amati dai consumatori.
L’indifferenza, come per le commodities, è la cosa che qualsiasi brand vorrebbe evitare per non dover creare domanda soltanto grazie a promozioni di prezzo. Nell’angolo in alto a destra, invece, c’è il punto a cui tutti i brand dovrebbero aspirare: il lovemark.
I brand sono di chi li ama
Diventare Lovemark è la sfida più dura da superare in un mercato in cui i consumatori si aspettano sempre di più e meglio dalle aziende, ma è anche il modo migliore per garantirsi una customer base leale, che ama il tuo Lovemark e sarà disposta a “sposarlo” per la durata della sua vita da consumatore.
I brand sono sostituibili, i lovemark no: chiedere a Coca-Cola, che nel 1985 dopo 99 anni di storia decise di cambiare brand e formula. I blind test avevano prodotto risultati incoraggianti, ma al momento della sostituzione i consumatori scesero letteralmente per strada, costringendo la compagnia a tornare alle origini. Non c’è esempio migliore per confermare la teoria che “i Lovemarks sono dei clienti che li amano”.
In sostanza, per usare le parole dello stesso Kevin Roberts: