
British Exit.
Venerdì scorso ci siamo alzati e l’Europa non era più la stessa. Il Regno Unito infatti ha deciso (più o meno unitariamente) di lasciare l’Unione Europea votando il tanto temuto “leave”.
È un momento storico senza precedenti, mai nessuno Stato era uscito dall’Unione e diventa di cruciale importanza capire quali sono i possibili scenari futuri per “noi europei” e per i britannici. Proviamo a capire cosa potrà accadere nei prossimi anni.
Una cosa è da evidenziare: il 23/06/2016, nel bene o nel male ha trionfato la democrazia, un popolo che ha potuto liberamente decidere del suo destino.
Source: BBC
Un referendum semplice e chiaro: “Should the United Kingdom remain a member of the European Union or leave the European Union?”. La maggioranza ha votato per l’uscita. In fin dei conti, il feeling verso la Comunità Europea è sempre stato debole, se consideriamo che la Gran Bretagna non ha mai adottato l’Euro come moneta.
“Londra esca in tempi brevi”, Bruxelles ha fretta. Due anni – nell’ottica di Cameron – invocando l’articolo 50 del trattato di Lisbona per le negoziazioni, gli assestamenti, sistemare gli accordi, uscire da tutte le istituzioni… Se dopo le dimissioni di Cameron, invece, andasse alla guida un Brexiteer, la situazione potrebbe essere diversa. Tra le opzioni, una è quella di diventare come la Norvegia, membro della European Economic Area, un’altra è quella di uscire completamente e fare affari con l’EU seguendo le regole del World Trade Organisation, come fanno America o Cina.
La prima cosa che balza agli occhi guardando le statistiche è il divario tra i giovani e gli anziani, i primi sostenitori del Bremain, i secondi, più tradizionalisti, a favore dell’uscita. E’ un aspetto che fa riflettere, sull’internazionalizzazione, sull’apertura europea, sul tema scottante dell’immigrazione, sulle esperienze all’estero che noi giovani abbiamo avuto l’opportunità di vivere e che magari ci hanno un po’ cambiato e aperto la mente. La Gran Bretagna decide di rimanere un’isola e chiudersi ulteriormente. E’ un coinquilino che se ne va di casa, lasciando spese e problematiche da risolvere e gestire. Problematiche per la Comunità Europea ma anche per la Gran Bretagna che dovrà aspettarsi un calo del PIL, minori esportazioni e costi più alti per le importazioni. Insomma una limitazione generale alla globalizzazione.
Source: Il Sole 24 Ore
Vittoria della democrazia sì, ma è davvero un Regno Unito? Il famigerato “leave” ha vinto di soli 3.8 punti (51,9 contro il 48.1 del remain). Le preferenze all’interno della UK chiaramente divise, si può benissimo osservare come Inghilterra e Galles premessero per l’uscita mentre Scozia (che vuole già un suo referendum per staccarsi e ritornare in EU), l’Irlanda del Nord e l’area di Londra (quella che dal punto di vista finanziario conta davvero) per la rimanenza.
Source: BBC
C’è insicurezza e quindi forte volatilità nei mercati finanziari, lo si vede anche con la corsa all’oro, uno dei beni di rifugio e sicurezza per eccellenza, che guadagna circa il 4% dopo l’annuncio dei risultati del referendum.
Il PM Cameron si dimette, non può guidare una nazione che ha scelto di remargli contro scegliendo di uscire. L’affluenza alle urne aveva fatto ben sperare per la rimanenza, ma questa mattina il risultato del referendum ha sconvolto le previsioni di molti. E sono subito analisi. In ogni caso l’agenzia di rating statunitense Standard & Poor’s, con l’indice Brexit Sensitivity Index mette l’Italia al 19° posto nella classifica dei Paesi più vulnerabili dopo la Brexit (penultima davanti solo all’Austria). L’Irlanda, invece, uno dei più esposti vista la vicinanza, gli scambi e i flussi migratori tra i due Paesi.
Sono tante le conseguenze della Brexit, pensiamo solo agli scambi commerciali che saranno da rivedere e regolamentare; Finmeccanica, Eni, Calzedonia, Merloni, Pirelli, Ferrero… molte le aziende italiane che esportano i loro prodotti in Gran Bretagna, ed è tutto da riconsiderare e rivalutare. L’addio di Londra a Bruxelles destabilizza anche i lavoratori immigrati in Gran Bretagna, con tutte le complicazioni burocratiche che ne conseguono.
E’ in difficoltà anche la City di Londra. Morgan Stanley, ad esempio, aveva già stilato un piano in caso di Brexit per spostare gli HQ a Dublino o a Francoforte, per evitare complicazioni in termini di visti e di accesso ai mercati.
Monitorando i social, infine, emerge però di certo una cosa: lo sconforto di molti giovani che credono in una Europa più aperta e unita.
Rimangono, inoltre, i dati disarmanti sulle domande più “googlate” riguardanti l’Unione Europea:
“What does it mean to leave the EU?
What is the EU?
What will happen now we’ve left the EU?
How many countries are in the EU?”
Grazie per il contributo a Giorgio Paolini.