
Fenomeno sempre più crescente negli ultimi anni, complice probabilmente anche la crisi economica scoppiata nel 2008, è stata la tendenza a “dividere le spese” barattando (o facendo pagare) un posto letto, un passaggio o semplicemente un chiodo per appendere un quadro. Lo testimoniano realtà come Uber, Couchsurfing, Air BnB e BlaBlaCar. Ma esattamente, cosa c’è dietro questa Sharing Economy? Se si può ancora chiamare così.
Sono sicuro che molti di voi, dopo aver sentito parlare di Sharing Economy o aver letto qualche articolo a riguardo, hanno esclamato qualcosa come: – Wow, che figata!!! Un modo per condividere dei servizi gratis! –
E tutto sommato in parte è anche vero. L’esempio più palese è indubbiamente Couchsurfing, la piattaforma di scambio di ospitalità tra chi cerca posto per dormire e chi lo offre, senza alcun tipo di costo.
Ma facciamo un passo alla volta.
Cos’è esattamente la Sharing Economy?
Dare una definizione precisa è molto insidioso, soprattutto perché parliamo di un fenomeno relativamente nuovo, in grandissima espansione e in continua evoluzione. Rachel Botsman, autrice del libro ‘’What’s Mine is yours: How Collaborative consumption is Changing the Way We Live’’, ha descritto quali sono le caratteristiche che deve avere un business per poter parlare di Sharing Economy.
Chiamiamole pure le 5 C della Sharing Economy:
- Collaborazione: fornire risorse o servizi inutilizzati in cambio o meno di un servizio monetario (per una maggiore comprensione di questo punto, continua a leggere)
- Coerenza, Chiarezza e Comprensibilità: soffermarsi sulla trasparenza, sull’onestà e sul senso di solidarietà umana, e adottare una strategia che rimanga coerente nel breve e lungo termine
- Comportamento: trattamento umano e dignitoso verso gli utenti che si trovano dal lato dell’offerta, facendo in modo che l’azienda assicuri a loro condizioni di vita migliori
- Contatto (solo tramite piattaforma): gli utenti che utilizzano la piattaforma come clienti devono poter beneficiare dei servizi che la piattaforma stessa offre loro, tanto da arrivare a preferire l’accesso al servizio tramite la piattaforma rispetto al titolo di proprietà
- Community: il funzionamento dell’azienda deve costruire un senso forte di appartenenza e di responsabilità collettiva attraverso lo scambio reciproco tra individui.
Chi sono i protagonisti?
L’assoluto protagonista della Sharing Economy: il prosumer, che è l’incrocio tra il ruolo storico del consumatore e il ruolo nuovo del productor, chi non vuole più stare a guardare ma VUOLE sempre più far parte in maniera attiva della catena produttiva. Un esempio è McDonald’s o altri Fast Food che non forniscono servizio al tavolo, e di conseguenza i clienti si devono auto servire, entrando così in maniera attiva nel processo produttivo. Stando ai limiti, si può dire che McDonald’s fu il primo ideatore di Sharing economy facendo entrare attivamente l’utente nel processo produttivo.
I tipi di Sharing Economy
È importante però fare due distinzioni quando si parla di Sharing Economy.
- Sharing Economy tradizionale.
La Sharing Economy tradizionale è nata esclusivamente per un mero scambio di contenuti tra utenti a titolo gratuito. Qua gli esempi potrebbero sfioccare, ma focalizziamoci sul Social di Zuckemberg. Avete mai provato a pensare a come sarebbe Facebook senza i propri utenti? L’utente attivo dei social network è un content-generator.
Ok, Facebook ci ha rivoluzionato la vita, ma siamo noi Facebook in fondo: i post, gli status e le reactions. Sono tutte creazioni di noi utenti, che riempiamo quel cerchio che ha creato Facebook intorno a noi. Facebook vive grazie a quel tipo di utente che riempie di contenuti la piattaforma. E quell’utente sei tu!
Se invece si pensa ad un servizio di condivisione, ad esempio un passaggio in cambio di 10€, si può citare BlaBlaCar, dove l’autista offre il servizio semplicemente per ‘smezzare’ i costi o per avere un po’ di sana compagnia durante il tragitto. Ma il percorso dell’autista non dipende assolutamente dalle esigenze e il volere del passeggero, non soddisfando uno specifico bisogno latente. Quando invece vi è una transazione economica vera e propria, allora le cose cambiano.
- Sharing Economy a pagamento.
Il secondo tipo di Sharing Economy -quella più moderna- è più monetize-oriented, ossia viene utilizzata principalmente per avere una seconda fonte di reddito (in certe occasioni anche come fonte primaria). Ma questo lo vedremo successivamente.
Prima soffermiamoci su alcune domande che ti starai ponendo: Si possono ancora definire Sharing Economy? Sì
Proviamo a ragionare usando Uber come esempio. Uber è la start-up col più alto fatturato al mondo. Ma Uber non ci impone alcuni comportamenti? Come tenere sempre la macchina pulita o aiutare gli ospiti e mettere le valigie nel baule?
E gli utenti sono per caso dipendenti? No.
Ok. E quindi? Questo significa che gli utenti devono seguire regole, rispettare paletti e linee guida per il raggiungimento degli obiettivi in maniera efficace ed efficiente imposti dal proprietario della piattaforma. In cambio hanno una percentuale monetaria vincolata al numero di host. Ma non hanno ferie, non hanno stipendi, non hanno contributi e inoltre non hanno vincoli spaziali e temporali e spesso delle volte lavorano il sabato e la domenica 7/24.
A proposito, sapevate che molte Famiglie in America hanno Uber come fonte di reddito primaria?
E non è tutto. Essendoci una concorrenza sfrenata tra utenti ad accaparrarsi più host possibili, l’asticella dello standard qualitativo si alza sempre di più.
Ragioniamoci su
Cioè, in questa Sharing Economy o ti distingui o ti estingui
Ma questo fenomeno ha un nome? On-Demand Economy. La nuova mode di lavoro che permette lo svolgimento di normali attività lavorative somministrate attraverso un’ applicazione gestita da un’azienda che interviene solo per stabilire direttive minime di condotta e di standard qualitativi.
Quindi un soggetto offre un servizio, in cambio di soldi seguendo standard e regole imposte dalla piattaforma di riferimento.
All’interno dello Sharing Economy a pagamento va fatta a sua volta una distinzione a due. Il confronto si può fare tra Uber e Airbnb, perché mentre il primo il fenomeno è legato al Working-On-Demand, in Airbnb e Couchsurfing è ancora presente una Sharing vera e propria con utenti appartenenti alla stessa community che devono rispettare regole legali e regole morali. Ma anche con BlaBlaCar, dal momento che Uber offre un servizio di trasporto che nulla ha a che fare con la condivisione. Mentre il primo mi permette di ‘’smezzare’’ le spese di viaggio, con Uber svolgo un servizio che mi chiede specificamente l’utente. Quindi Uber è ancora una Sharing Economy oppure è una vera a propria realtà aziendale con dipendenti che lavorano seguendo standard e linee guida aziendali? Gli autisti di Uber possono essere associati a quei venditori con lo stipendio vincolato alle provvigioni?
Ovviamente è una domanda retorica, non dobbiamo scervellarci.
Esempio: Airbnb vs settore alberghiero.
Airbnb che ha solo 300 dipendenti in tutto il mondo, a differenza di Hilton WorldWide che ne ha 300.000, ha superato la più grande catena di hotel a livello di Host (indubbiamente dovuto anche al tipo di target, ma parliamo della più grande catena di hotel al mondo!!!). Ma il confronto si può tranquillamente fare anche con Ostelli o Hotel non di lusso. Ad esempio Airbnb non sostiene i costi di personale o di fornitura come asciugamani o lenzuola che, invece, pesano molto sul bilancio di qualsiasi ostello o Hotel.
A questo punto è doveroso un quesito. Airbnb avrebbe ancora questo vantaggio competitivo se avesse i costi di personale che affronta Hilton o qualsiasi altra attività di alloggi ogni giorno? Rispolverando libri di contabilità si può notare come i costi di MOD sono i costi più alti che un’azienda deve affrontare ogni mese e ogni anno. Quindi se tutti questi utenti diventassero dipendenti con tanto di ferie, TFR, contributi ecc ecc, questo vantaggio competitivo dovuto anche a minor costi, si cancellerebbe.
Il vantaggio competitivo si cancellerebbe, ti sembra poco? Ma da un punto di vista legislativo, una legge in Italia che possa regolare alla perfezione queste attività di Sharing Economy non è presente. Inoltre è un settore talmente complesso e velenoso che serviranno anni prima che qualche giudice italiano impugni la faccenda (anche se in America qualche causa è già in corso).
Concludendo, all’interno della Sharing Economy è fondamentale quindi fare una distinzione a due. Si parte da una Sharing Economy ‘’tradizionale’’, come quella di Facebook o BlaBlaCar, dove vi è una condivisione di servizi, a una Sharing Economy che esiste solo grazie ad una mera transazione economica come Uber e Airbnb.
’What’s mine is yours’’ – Basta che paghi però.