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Chi è qui il capo? Nessuno, siamo bossless

da 25 Maggio 2016Nessun commento
Immaginate una squadra di baseball mentre sta giocando in campo: a chi deve rendere conto il lanciatore per portare a termine con successo un’azione? E il ricevitore a chi deve fare riferimento? Probabilmente nessuno di voi si sarà mai posto questa domanda guardando una partita e, a dirla tutta, non c’è nemmeno una vera e propria risposta.

Il suffisso –less sta a indicare una mancanza e spesso con un’accezione poco positiva, ma se la mancanza non crea problemi non c’è di che preoccuparsi. Anzi, nel caso delle bossless company serve proprio per risolvere i problemi in azienda. Basta capi, solo colleghi. “Lavorare con” qualcuno, e non più “lavorare per”, fa la differenza.

Esattamente questo è il punto interessante.

Torniamo all’esempio del battitore e del ricevitore nel baseball: pensiamoci un attimo, il fatto è che entrambi i giocatori svolgono un importante ruolo e nessuno dei due è in grado di fare a meno dell’altro. Entrambi contano su un rapporto di collaborazione e fiducia reciproca. Entrambi, quindi, fanno riferimento l’uno all’altro. Il lanciatore non è di certo più importante del ricevitore come il ricevitore non lo è più del lanciatore, mostrandoci così che all’interno di una squadra tutti i giocatori sono ugualmente rilevanti.

Nessuna gerarchia di ruoli pone qualcuno in cima alla piramide, perché alla fine ciò che importa davvero è solamente raggiungere l’obiettivo comune: vincere.

Come vincere senza capo

Che si tratti di un team sportivo o ci si riferisca a un team in azienda, sempre di lavoro di squadra si parla e il principio di base è lo stesso.

Oggi l’evoluzione dell’organizzazione aziendale è in grado di raccontarci proprio questa storia, attraverso l’avvento di un nuovo fenomeno definito “bossless. Letteralmente significa “senza capo” e, infatti, esso contempla un modello secondo cui una gerarchia di ruoli piatta e fluida rappresenta una scelta vincente per l’azienda. Caratterizzato da un’estrema flessibilità, questo modello è stato il risultato di una serie di scelte effettuate passo dopo passo nel corso del tempo, con l’obiettivo di trovare un modo per esaltare la produttività e la creatività in azienda.

La mancanza di capi, infatti, sembra stimolare i processi d’innovazione che permettono di guadagnare vantaggio competitivo sul mercato. Per questo motivo, si può ben immaginare come la crisi economica del 2008 sia risultata un acceleratore per queste tendenze. Negli ultimi anni sempre più aziende hanno deciso di eliminare le gerarchie manageriali – in particolare quelle intermedie – che spesso creano colli di bottiglia nei processi decisionali e rallentano la produttività. Vi sono anche alcuni coraggiosi che hanno seguito questa corrente facendo del tutto a meno dei capi e i risultati sono soddisfacenti.

Le bossless company affermano che una scelta di questo genere aiuti a motivare gli impiegati e li renda più flessibili, in particolare grazie al fatto che i progetti vengono gestiti da team formati appositamente in cui le mansioni non sono rigide. All’interno dei gruppi il leader non viene scelto in anticipo, ma emerge con naturalezza mano a mano che il progetto procede.

Nessun ruolo è predefinito: tutto il potenziale delle persone viene sfruttato al meglio, visto che le idee migliori non è detto vengano dall’alto.

Ma è davvero possibile?

Il team “boss-free” si autogestisce sotto molti aspetti. Dai ritmi quotidiani di lavoro che vengono stabiliti dagli stessi membri, agli stipendi che variano a seconda delle peer review – una sorta di pagelle – compilate dai colleghi.

Le aziende di successo che hanno abbracciato questo modello, più o meno interamente, sono molte. Dalla W. L. Gore, azienda fondata nel 1958 che ha brevettato il Goro-Tex, alla Valve Corp., creata del 1996 per la produzione di videogiochi. Da General Electric, che ha abolito capireparto e molte gerarchie, a Toyota e Volvo con le implicazioni del sistema qualità.

A questo punto, però, potrebbe sorgere spontanea una domanda. Stiamo forse tornando indietro a “passo di gambero” – come direbbe il caro Umberto Eco – a vecchi modelli idealistici destinati al fallimento? Perché in effetti le bossless company fanno riaffiorare alla memoria elementi che non suonano affatto nuovi.

Con quest’assenza di gerarchie e capi o mansioni precise, sembra esserci un effetto anacronistico con riferimento all’utopia della società marxista, oppure al dopo ’68 di Italia e Francia con i consigli di fabbrica, o ancora all’autogestione iugoslava ai tempi di Tito.

Apparentemente forse sì, stiamo tornando indietro. Si sa però che l’apparenza gioca brutti scherzi, perciò è necessario guardare la questione con un occhio più critico.

Un elemento ci distingue nettamente dal passato. Se un tempo la forza motrice che ha spinto verso cambiamento dei modelli organizzativi è stata l’ideologia, ai nostri giorni invece non lo è più.

Oggi è la tecnologica a dare la spinta necessaria all’esaltazione della produttività, rendendo tutto più possibile e meno irrealistico.
Anna Peron

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