
Che cos’è il Design Thinking e perché può rivoluzionare la strategia di business delle aziende, aiutandole a soddisfare maggiormente e meglio i bisogni dei clienti? Cercheremo di scoprirne di più su questa modalità di progettazione strategica che ultimamente sta trovando sempre più spazio anche nelle aziende italiane, dopo aver fatto fortuna nel mondo anglosassone.
Il design thinking è stato citato per la prima volta nella sua accezione attuale di “metodologia di creazione attiva” nei lavori sviluppati fra gli anni ’80 e ’90 dal Professor Rolf Faste in qualità di direttore dello “Stanford Joint Programme in Design” presso l’università statunitense.
L’adattamento di questa modalità di progettazione al mondo del business si ha ad opera di un collega di Faste a Stanford: il professor David M. Kelley, managing partner di IDEO, la società di design responsabile per l’attuale diffusione del design thinking fra le maggiori aziende del mondo.
Design thinking is a human-centered approach to innovation that draws from the designer’s toolkit to integrate the needs of people, the possibilities of technology, and the requirements for business success.
Tim Brown, president and CEO IDEO
Cos’è il Design Thinking?
Di cosa si tratta? Il Design Thinking è una modalità alternativa di risoluzione dei problemi che si riscontrano nella fase progettuale dell’innovazione e che mira a sviluppare soluzioni che trascendano il problema specifico in sé per suggerire prassi che possano portare ad un’innovazione in ottica “user-centered”, mettendo quindi al centro della strategia i bisogni e le richieste dei consumatori.
Come dice il nome stesso, il Design Thinking attinge dai processi creativi propri dei designer per affrontare con un’ottica meno rigida la pianificazione strategica aziendale. La multidisciplinarità degli approcci contenuti in questo tipo di progettazione dell’innovazione è un suo tratto distintivo, che la rende preferibile ad altri approcci troppo “settoriali” che potrebbero rappresentare un limite all’innovazione stessa.
Fonte: https://www.ideo.com
Nello specifico il design thinking è una sorta di “terza via” fra il metodo scientifico e gli strumenti inquisitivi delle discipline umanistiche: un ibrido fra le due che coniuga il rigore della scienza con l’approccio elastico delle scienze umane. La creatività ed il pensiero divergente sono fortemente incoraggiati, per permettere di trovare le soluzioni più disparate, senza escludere nulla, almeno in fase di progettazione.
Quando adottare il Design Thinking
La necessità di questo nuovo approccio si rende evidente quando si ha a che fare con problemi che non sono ben definiti, quelli che in inglese vengono definiti “wicked problems” – traducibile con problemi contorti – ossia quei problemi di cui spesso non sono note né le cause, tantomeno gli effetti e/o le possibili implicazioni.
Nel campo dell’innovazione applicata al business, non è raro imbattersi in questo tipo di problemi e approcci strategici troppo schematici, dimostratisi inadatti a cogliere alcuni aspetti e criticità del processo. Pensiamo, per capire bene l’utilità del Design Thinking, all’ideazione di un nuovo prodotto:
- alla creatività necessaria alla progettazione di un bene o un servizio nuovi non si possono porre dei limiti che invece la strategia aziendale standard è pronta ad imporre, in nome di logiche più tecniche che appartengono alla cultura aziendale più classica;
- al tempo stesso è utile definire un percorso che possa poi convogliare questa creatività in una soluzione che sia percorribile per l’azienda.
Tutto questo, nel design thinking, avviene senza dimenticarsi che al centro del processo ci sono il consumatore ed i suoi bisogni (espressi o taciti), da qui la denominazione di progettazione “user-centered”.
Design Thinking: il Metodo
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Seppure la creatività sia sicuramente il driver principale del design thinking, è necessario prevedere uno schema all’interno del quale essa venga stimolata e codificata. Partendo dall’indagine sui bisogni dei clienti, siano essi acquisiti o potenziali, si affronta un percorso che prevede più fasi, procedendo con un metodo iterativo “per prove ed errori”: ad ogni fase si valutano i risultati e si decide se e come procedere, in uno schema che ricalca le metodologie proprie del Project Management.
Le fasi non sono standardizzate e ci sono diversi modelli che indicano fasi diverse, ma quello che ha trovato maggiore diffusione è il modello PDSA (Plan – Do – Study – Act):
- Plan: è la fase in cui si progetta la ricerca: vengono stabiliti degli obiettivi, fissate delle scadenze e definiti i ruoli. Poi inizia la fase di ricerca delle soluzioni, la creatività la fa da padrone e si esplorano tutte le possibili vie di risoluzione del problema.
- Do: in questa fase, la soluzione selezionata alla fine del processo di pianificazione, viene implementata, realizzando il prodotto o il servizio proposto. Si raccolgono i dati relativi ed i feedback sul prodotto, insieme a tutti gli elementi utili a valutarne le performance.
- Study: si analizzano le risposte ed i feedback relativi al prodotto proposto. È la fase in cui si controlla la corrispondenza fra gli obiettivi iniziali ed i risultati raggiunti. È la fase in cui si valuta se continuare oppure riprendere dall’inizio l’attività di progettazione.
- Act: Se la soluzione trovata ha superato il check della fase precedente, essa diventa il nuovo standard aziendale per il problema a cui si cercava una soluzione, in caso contrario, il nuovo standard non verrà implementato.
Ciò che distingue questo ciclo da altri è che ogni fase è aperta a contributi creativi: soluzioni alternative possono dare il via a nuovi processi di ricerca, alimentando un circolo virtuoso che, se ben governato, può dare il via ad una cultura dell’innovazione continua nell’azienda che può essere fonte di vantaggi competitivi non indifferenti.
Come detto in precedenza, comunque, la natura stessa del design thinking prevede che sia possibile adottare modalità diverse rispetto al modello PDSA, ferma restando la natura iterativa del processo, funzionale al metodo di creazione attiva.
Perché adottare questo metodo?
Le motivazioni per cui adottare il metodo del Design Thinking sono diverse, proviamo a riassumerle:
- Il design thinking può essere la base di una cultura aziendale aperta e in grado di sostenere la portata innovativa degli stimoli che vengono dall’ambiente di business in cui le aziende operano. Un’azienda che utilizza questa modalità di progettazione strategica sarà veloce nell’adattarsi a mutamenti nel contesto competitivo o nei gusti e preferenze dei consumatori perché avrà creato al suo interno un substrato pronto a cogliere ogni segnale e ad interpretarlo in maniera creativa per farne scaturire soluzioni.
- Il lavoro di progettazione di azione creativa è un lavoro multidisciplinare e può aiutare a creare una migliore organizzazione delle risorse umane dell’azienda. Lavorare in team può snellire i processi e dare la capacità di aumentare la velocità di risposta. Incentivare risposte creative da parte dei membri del team fa sì che i talenti di questi ultimi possano trascendere i ruoli e le competenze delle funzioni aziendali delle quali fanno parte, diventando uno strumento di scouting dei migliori talenti presenti all’interno dell’azienda.
- È un’occasione di formazione continua perché stimola a tenersi sempre attenti e a farsi influenzare da stimoli provenienti da qualsiasi direzione: arte, hobby personali, natura ecc.
- Il design thinking è un ottimo modo per coinvolgere gli stakeholders in un processo strategico, abbattendo alcune delle barriere che li tengono separati dall’attività di progettazione: ogni fase della progettazione è permeabile agli stimoli ed ai feedback degli stakeholders che possono diventare cruciali nella pianificazione, implementazione e valutazione della strategia di innovazione. La categoria degli stakeholders quindi passa dall’essere un “peso” o comunque qualcuno a cui dover rendere conto, ad essere composta da alleati che insieme contribuiscono alla creazione di valore aggiunto.
Il Design Thinking come driver di valore per le PMI italiane
In definitiva, una modalità di progettazione che metta al centro la creatività ed una modalità di lavoro che non sia eccessivamente imbrigliata dai vincoli delle procedure aziendali standardizzate, potrebbe essere interessante in una realtà come quella italiana, dominata da settori industriali che hanno un alto tasso di creatività.
Tuttavia questo approccio non può considerarsi una panacea per la mancanza di innovatività di molte aziende, poiché convogliare questo tipo di approccio in modo che alla fine fornisca una soluzione realmente percorribile (e finanziariamente sostenibile) richiede delle competenze manageriali non indifferenti che potrebbero mancare nel panorama nazionale, fatto principalmente di PMI nelle quali la cultura aziendale è in molti casi poco aperta all’innovazione, figurarsi se attuata in un contesto di strategie non convenzionali.
Questo ovviamente non inficia la portata ed il valore del design thinking che ha il grande merito di de-compartimentare la strategia aziendale, fornendo l’occasione di andare oltre il sapere codificato proprio delle imprese e porre realmente al centro i bisogni dei consumatori.