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Anche la filantropia non è immune al marketing

da 26 Luglio 2016Luglio 27th, 2016Nessun commento
Si crede che il settore del no-profit rivesta effettivamente qualche ruolo nel cambiare il mondo? Si sarebbe disposti a lavorare per una no-profit? Ecco cosa si prova ad avere vent’anni e una passione sfrenata per il marketing

Emma ha vent’anni. Mai soddisfatta se non dalla perfezione, sempre precisa e puntigliosa, con la tipica responsabile pacatezza e innato autocontrollo di chi vuole pianificare ogni attimo della sua giornata per non tralasciare il minimo dettaglio. Emma scandaglia quotidianamente i giornali online e condivide link di un certo spessore. Sempre abituata a dosare le parole, a informarsi prima di pretendere di informare.

Emma poi adora viaggiare, incontrare, conoscere e riconoscere, sentirsi parte di un mondo più che di una singola nazione. Emma ama i libri, l’Università, l’economia, le conferenze, i meeting. Frequenta i corsi. Trascorre ore a interpretare grafici, a massimizzare profitti e minimizzare costi. Nell’aula rimbombano altisonanti i nomi degli amministratori delegati delle maggiori compagnie al mondo e iperbolici numeri investiti in operazioni di marketing: storie di sacrificio, di successo, di fallimenti, di esempi da seguire e controesempi da evitare.

Insomma, una vera MARKETERs.

Le è stato insegnato che per fare marketing, ci vuole passione. Ci vogliono la decisione e la caparbietà nel perseguire un sogno, una potenziale idea da trasformare in atto, ci vuole la curiosità di uscire da un sentiero già segnato, serve l’ambizione di chi punta in alto, ma anche la creatività per incoraggiare l’innovazione.

E lei ha quella passione.

Un bel giorno, Emma accende il TG.  Le notizie d’apertura citano l’emergenza rifugiati siriani, cadaveri bambini sulle coste del Mediterraneo, difficoltà nel trovare la cura alle malattie rare e al cancro, povertà, sfruttamento minorile, fame, epidemie, inquinamento ambientale. Le parole vengono accompagnate da una serie di immagini spaventosamente vere. Ma le immagini passano, la gente guarda, si disdegna ma non (re)agisce.

E così Emma realizza di essere parte di una generazione di individui che, a prescindere dal web, dagli hashtag, dal live, dal social, si ritrovano disconnessi, spaesati, inerti, non appena vengono catapultati in un mondo diverso da quello abbellito di un Facebook costellato di foto di persone dalle esistenze medio-borghesi, proiettate all’autorealizzazione, al successo individuale, levigate, così ipocritamente felici. Ed ecco che tutti cercano la spasmodica corsa alla condivisione delle notizie.

Emma si chiede se il suo idealismo e la sua fiducia in un mondo migliore possano concretamente trovare un punto d’incontro con la sua passione, se nello svolgere il proprio lavoro di MARKETERs possa simultaneamente in qualche modo aiutare quelle persone, che di certo non hanno bisogno di sentirsi parlare di entrate, guadagni, successo o profitto, bensì di solidarietà, comprensione, aiuto.

Emma comincia così a navigare nella rete virtuale finché non si incaglia in uno scoglio: lo spot no-profit. Negli ultimi anni, infatti, si è insinuata nel mercato questa nuova tipologia di spot, appartenente alla categoria del marketing non convenzionale, che si differenzia totalmente dai video creati appositamente per la promozione del brand.

Un’organizzazione non a scopo di lucro o dall’inglese not-for-profit organization (NPO) è un’organizzazione che, non essendo destinata alla realizzazione di profitti, reinveste gli utili interamente per gli scopi organizzativi.

Ecco le tre migliori campagne no-profit degli ultimi anni

Liking isn’t Helping

liking isn't helping

“Liking isn’t helping” è il titolo della straziante campagna pubblicitaria realizzata da Publicis nel 2013 per Crisis Relief Singapore, un’organizzazione di soccorso gestita da volontari. Scioccanti immagini reali rappresentano tre catastrofi: alluvioni, guerre e terremoti, circondati da un insieme di pollici all’insù che imitano il “mi piace” di Facebook. L’idea è semplice ma audace: per migliorare il mondo non basta premere un tasto.

Cancersutra

cancersutra

La prevenzione dei tumori inizia con la diagnosi precoce: la no-profit americana Stupidcancer esorcizza la paura e spiega come individuare i primi segni della malattia sul corpo del partner in 32 posizioni. È così che nasce Cancersutra.

#milionidipassi

MILIONIDIPASSI

A fare scuola è poi Medici Senza Frontiere con la sua campagna #milionidipassi lanciata nel marzo 2015 e dedicata alle persone in fuga da guerre, violenza e povertà, con un appello all’opinione pubblica e ai governi perché sia ridata umanità al tema delle migrazioni forzate e venga garantito il diritto di tutti ad avere salva la vita.Coerente con la brand identity dell’organizzazione (assenza all’autoreferenzialità, principio di imparzialità e neutralità), esemplare per l’impegno dimostrato nel soccorso dei migranti, questa campagna si è svolta online con un sito, attorno al quale gravitavano numerose altre attività tra cui anche una di lead generation tramite i social. Ha avuto un ottimo riscontro anche su Twitter. Da segnalare la possibilità di partecipare allo shoe selfie (l’autoscatto alle proprie scarpe) scaricando un’app. Non sono mancate anche le attività offline: eventi, cartellonistica, uscite sui media e mailing. Una campagna ben riuscita sotto moltissimi punti di vista.

 

Cosa dovrebbe spingere un MARKETERs a lavorare per una no-profit? Credere in quello che fa

Noi crediamo che il settore del no-profit rivesta effettivamente qualche ruolo nel cambiare il mondo?

Iniziamo da una constatazione: l’industria del sociale ha bisogno di mercati ma ci sono alcune tematiche per le quali non si possono usare le stesse unità di misura usate per i mercati. Nel relazionarsi con una persona disabile, per esempio, non si può monetizzare una risata, la compassione, l’amore. Questi elementi hanno un costo (il tempo, per esempio) ma non un prezzo.

Ed è qui che il settore no-profit e la filantropia entrano in scena. La filantropia è il mercato dell’amore. È il mercato per tutte quelle persone per le quali non esiste nessun altro mercato.

Ma perché la filantropia sembra non funzionare?

Le organizzazioni no-profit hanno dimensioni minuscole confrontate all’enormità dimensionale dei problemi e abbiamo un sistema di credenze che le mantiene tali.

Le organizzazioni no-profit sembrano essere discriminate su 5 fronti diversi:

  1. Remunerazione: Abbiamo una reazione viscerale all’idea che un’organizzazione no-profit possa lucrare nell’aiutare altre persone. Interessante il fatto che non abbiamo alcuna reazione viscerale di fronte al fatto che le persone guadagnino ingenti somme di denaro non aiutando gli altri.
  1. Investimenti pubblicitari: Non viene facilmente accettato che nel settore della beneficienza le donazioni vengano spese in pubblicità, piuttosto che vadano a finanziare chi ne ha bisogno, come se i soldi investiti in pubblicità non potessero portare ingentissime somme di denaro per i bisognosi.
  1. Assunzione del rischio nel perseguimento di nuove idee per generare entrate: Le associazioni no-profit sono riluttanti all’idea di tentare qualche impresa ardita su grande scala per la raccolta fondi per paura che se il progetto non andrà a buon fine, la loro reputazione sarà trascinata nel fango. Quando vietiamo la possibilità di fallire, soffochiamo l’innovazione. Se si uccide l’innovazione non si possono aumentare le entrate. Se non si possono aumentare le entrate, non si può crescere. Se non si può crescere, forse non si riescono a risolvere grandi problemi sociali.
  1. Tempo: Se un’organizzazione no-profit avesse un obiettivo a lungo termine, i donatori vorrebbero che il loro denaro venisse dato direttamente e immediatamente ai bisognosi e non impiegato per finanziare le spese generali (ad esempio, sono molti gli enti no-profit che organizzano annualmente delle manifestazioni pubbliche con l’intento di raccogliere fondi per realizzare le loro iniziative e i loro progetti sociali).
  1. Profitto: Non potendo pagare profitti nel settore no profit, risulta difficile attrarre ingenti somme di denaro per finanziare nuove idee come nel settore for-profit.

Quale percentuale della mia donazione va alla causa rispetto alle spese generali (es. raccolta fondi)?

Considerare le spese generali come parte integrante della causa delle organizzazioni no-profit è un primo passo verso una nuova consapevolezza.

Vogliamo che si legga che abbiamo cambiato il mondo e che in parte l’abbiamo fatto cambiando il modo di pensare a queste cose. Allora la prossima volta che pensate alle no-profit, non pensate all’ammontare delle loro spese generali. Ragionate sulla scala dei loro sogni, i loro sogni su scala Apple, Google, Amazon, su come misurano il loro progresso verso quei sogni, e di quali risorse hanno bisogno per trasformarli in realtà, non importa a quanto ammontino le spese generali. A chi importa delle spese se i problemi vengono effettivamente risolti?

Dan Pallotta, TEDTalks dell’11 marzo 2013

Nell’era di internet anche la solidarietà viaggia via web. Ma gli utenti internet italiani sono a contatto con un mercato ormai saturo di informazioni e conquistare la loro attenzione è sempre meno facile.

Come rendere dunque gli spot efficaci e, soprattutto, quali sono gli elementi da non dimenticare per costruire una campagna sociale di successo?

Il segreto è lavorarci. È necessario pianificare in anticipo, identificare il proprio target di riferimento e costruire una campagna coerente con i propri obiettivi.

  • Bisogna elaborare un piano di marketing;
  • Stabilire il tono da usare nelle comunicazioni (formale o informale, amichevole o professionale);
  • Preparare la policy sui social media che deve rispecchiare i principi della propria no-profit;
  • Scegliere i canali (Facebook, Twitter, LinkedIn, YouTube, Instagram, Pinterest, blog, video e podcasting, forum, chat, wiki);
  • Creare contenuti efficaci per favorire le condivisioni da parte di chi segue l’operato della no-profit;
  • usare gli scheduling tools (strumenti per automatizzare la pubblicazione dei post sui canali social);
  • monitorare e celebrare i successi con i fan per dare visibilità alla no-profit.

Emma chiude il suo laptop. Lei oggi ha vent’anni con una consapevolezza in più: al di là degli hashtag, delle foto, dei post, delle condivisioni, dei likes, c’è un bisogno concreto di umanità. E lei, da MARKETERs quale è, potrebbe dar voce a quella sofferenza.

Jessica Zanotto

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