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Business&Society

Restituire. Per una nuova pubblicità

da 20 Marzo 2021Marzo 25th, 2021Nessun commento
Campagna Ogilvy Italia #SupportMyLocalShop

Sono ancora sufficienti delle grandi idee per una pubblicità altrettanto grande e ben riuscita? O sarà lo storytelling a dar di nuovo vita alle marche? Eureka! Ho capito, forse mi sbagliavo: sarà invece l’engagement a rafforzare la relazione tra brand e persone. È vero, ironia a parte, penso anch’io abbia ragione Mario Draghi a chiedersi come mai siamo costretti a usare tutte queste parole inglesi. E allora, non ne abbiamo altre? Sì, ne abbiamo molte altre, ma è successo qualcosa che ha reso il linguaggio di questo ambiente, la comunicazione e in generale il mondo degli affari – o dovrei dire business? –, più intangibile e nebuloso. Perché? Temo che nella comunicazione e nella pubblicità qualcuno voglia sfuggire ad una buona scrittura. Una scrittura civile, potremmo dire, anticipando un ottimo copywriter che mi permetterò di scomodare – non me ne voglia – per raccontarti un po’ quello che penso.

La comunicazione è un posto dove ci piove dentro

Ora che hai deciso di affidarmi un poco della tua fiducia, vorrei dirti che, nonostante una qualsiasi scrittura spesso dimostri una sicurezza in quello che esprime e dichiara, se ottima, dovrebbe in realtà nascondere molte domande. La comunicazione è un posto dove ci piove dentro, ci ricorda infatti Roberto Olivi, mentre Jovanotti nella prefazione aggiunge: c’è sempre dell’altro, qualcosa che sfugge.
Più che un’affermazione, potremmo leggerla come un invito: proprio perché c’è qualcosa che sfugge, dovremmo sempre spingerci oltre alla narrazione che ci viene più immediata, accantonando quindi le prime idee venute in mente, perché sicuri ci sia dell’altro. Siamo tutti convinti della forza e della necessità di una grande idea per strutturare una campagna, ma credo sia ora doveroso passare oltre, arrivando a definire anche il bisogno di un forte ideale e, poi, la restituzione di questo. Il riferimento è rivolto a quelli che sono stati due protagonisti dell’agenzia Ogilvy: il suo fondatore David Ogilvy in primis e Paolo Iabichino, poi. In particolare, per questo articolo – diventato in seguito un podcast – mi sono divertito a riprendere in mano due dei loro libri: Confessions of an Advertising Man di Ogilvy e Scripta Volant di Iabichino.

Idea e ideale: qual è la differenza?

Del primo libro il web è pieno di citazioni, articoli e list to do per creare una grande campagna. E difatti, è strutturato come un vero e proprio manuale dove le indicazioni, o meglio regole, sono intervallate da aneddoti personali ed esperienze vissute a conferma di queste.
Tra tutte le frasi che sono già state attentamente selezionate, è alla seguente che potremmo affidare il nostro desiderio di spiegare cosa si intenda qui per idea: «se una campagna pubblicitaria non viene costruita intorno a una grande idea, è destinata a fallire». E dando uno sguardo alle campagne di Ogilvy, capiamo presto quanto questa affermazione trovi conferma. Basti pensare ai grandi successi come quello che è stato definito “L’uomo in camicia Hathaway”, la campagna con il fondatore di Schweppes come testimonial della stessa bevanda o, la nostra preferita, con l’headline per Rolls-Royce: “a sessanta miglia all’ora, il rumore più forte proviene dall’orologio elettrico”. Erano gli anni ’60, le agenzie di Madison Avenue stavano prendendo il sopravvento e, con loro e grazie a loro, il consumismo si affermava nella società. Dobbiamo perciò contestualizzare queste parole e, di conseguenza, anche il concetto della necessità di una grande idea dietro ad una grande campagna. La relazione brand e persone era infatti diversa e, altrettanto, lo era il modo di comunicare. Perciò avere una grande idea, significava allora dire il vero, tell the truth alla Ogilvy, intrattenendo.

"At 60 miles an hour the loudest noise in the new Rolls-Royce comes from the electric clock" - campagna David Ogilvy per Rolls-Royce, marzo 1959

Pur riconoscendo che quanto affermato nelle Confessioni sia ancora attuale, una sessantina scarsa di anni dopo, in quel libro del 2017 di Iabichino, allora Chief Creative Officer del Gruppo Ogilvy & Mather Italia, avviene un superamento. Nel fornire un prezioso alfabeto per scrivere e leggere la pubblicità oggi, l’autore fa un lavoro ulteriore rendendo contemporanee le dichiarazioni di Ogilvy. Nel farlo, riconosce la necessità di avere un grande ideale, più che una grande idea, per dare vita ad una campagna. Credo che il passaggio più importante e precursore rispetto ai nostri tempi, sia proprio ammettere il bisogno di passare dal dire qualcosa al dare qualcosa: restituire, insomma. È come se al giorno d’oggi non fosse più sufficiente riconoscere una grande idea, ma fosse necessario domandarsi anche se saremmo capaci di restituire un qualcosa a chi sceglie quel marchio e quel prodotto, spingendo così oltre lo scopo del marchio.

E come restituisce oggi un’agenzia?

A tal proposito, la stessa Ogilvy Italia, nella sua divisione Consulting, lo scorso aprile ha pubblicato un White Paper: “COVID-19: i brand e le persone. Come le Scienze Comportamentali ci aiutano a comunicare al meglio quando il mondo sembra impazzire”.
Lo scopo di questa pubblicazione è evidentemente quello di dichiarare la posizione dell’agenzia e restituire alle marche e alle persone delle chiavi di lettura e azione, per affrontare il presente, comprendere meglio il passato e muovere il futuro.
Quello che emerge è che il 2020 sia iniziato con un Cigno Nero, cioè un evento imprevisto, che ha causato nelle persone dei comportamenti inaspettati e irrazionali, innescati da bias cognitivi. In questo contesto che, ripetiamo, conosciamo ahimè piuttosto bene, l’agenzia Ogilvy ha proposto un metodo suddiviso in cinque fasi per indirizzare e sfruttare al meglio la propria comunicazione in vista della normalità che verrà: comprensione, definizione, ideazione, attuazione e validazione.
Ad incuriosirmi particolarmente, però, è stato il confronto con ciò che le persone sembrerebbero volere dalle marche, come riporta lo studio di GroupM per ripensare al 2020. Dall’analisi è emerso che le persone si aspettano che le aziende non smettano di fare pubblicità e che i brand facciano la loro parte, aiutando concretamente la comunità nella vita di tutti i giorni, informando su ciò che succede e, soprattutto, non approfittando della situazione.

NY Adv

Viene quindi naturale riconoscere nelle parole di Iabichino l’aver interpretato già alcuni anni fa – nel 2017 con il libro e persino nel 2014 nel suo blog – l’urgenza di una scrittura più consapevole e civile. E non sorprende che lo stesso abbia in partenza un altro corso dedicato a questa scrittura alla Scuola Holden.

Non c’è stato quindi un distacco dall’iniziale concetto di Big Idea di Ogilvy, ma una trasformazione che ha fatto di un’idea qualcosa di più impegnato: un ideale credibile e vero da restituire ai consumatori. Ma se oggi è necessario parlarne ancora, è perché questo cambiamento non è stato completato, vuoi per pigrizia, vuoi per attaccamento a vaghi inglesismi. Ricordiamo allora che cambiare, già secondo il fondatore di questa agenzia, era la regola da seguire per aiutare il mondo e chi lo abita. E la recente campagna #SupportMyLocalShop di Ogilvy Italia per sostenere il tessuto imprenditoriale del Paese, ne è stata l’ennesima conferma.

Crediti immagine di copertina: profilo Instagram di @ogilvyitalia
Giovanni Gerolin

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