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Storydoing e business, l’accoppiata perfetta

da 29 Aprile 2016Maggio 10th, 2016Un commento

We have a strategic plan. It’s called doing things” ha detto Rob Kelleher, fondatore della Southwest Airlines. Che cosa significa? Vuol dire fare strategia attraverso azioni dirette, senza troppi giri di parole. Questo il principio regolatore delle storydoing companies, realtà imprenditoriali di successo che usano la loro storia per organizzare le attività interne e influenzare quelle esterne. Storydoing non storytelling, avete capito bene! Niente panico, ora vi spieghiamo tutto.

Una storia, per cominciare

Rompiamo il ghiaccio con una storia (non poteva essere altrimenti). C’era una volta un imprenditore americano di nome Blake Mycoskie che, avendo ancora poco chiara la sua prossima mossa lavorativa, ha deciso di candidarsi ad un reality show. In un attimo, senza rendersene conto, si è trovato in Sud America. Era il 2002. L’avventura lo ha portato anche in Argentina, il Paese che gli avrebbe cambiato la vita per sempre. Anni dopo la fine della sua esperienza televisiva infatti, innamoratosi di quelle terre, ha visitato meglio Buenos Aires e dintorni: ha visto bambini, tanti bambini, la maggior parte dei quali senza scarpe. Così poveri da non potersene permettere nemmeno un paio. Sconvolto per la situazione, ha avuto un’idea. Avviare un’impresa di scarpe un po’ speciale: per ogni paio venduto, ne avrebbe regalato un secondo a un bambino bisognoso. In sostanza avrebbe fatto del bene guadagnando.

Sono nati Toms shoes e il concept straordinario One for One. È nata una delle prime storydoing company. Mycoskie è diventato promotore di un modello di sviluppo economico sostenibile e rivoluzionario. Era convinto che il mondo avesse bisogno di aziende responsabili come la sua, che aspirassero al profitto facendo la cosa giusta. Concretamente.

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In poche parole fare anziché dire

Storydoing, dunque, che letteralmente significa “fare una storia”. Sì, perché il consumatore che decide di comprare un paio di scarpe Toms shoes acquista un prodotto ma anche una storia. Abbraccia, fa suo il significato di quella storia. Partecipa alla storia stessa, diventa ambasciatore nel mondo della mission aziendale – in questo caso fare qualcosa contro la povertà. “Once the story moves beyond shoes there really is no limit to how far it can go” scrive la mia fonte fastcompany.com.

L’azienda che ha un purpose chiaro e ben definito vince. Se la sua storia è assimilata e sviluppata dall’intera organizzazione su tutti i livelli, allora comunica all’esterno un’ambizione che va oltre le aspirazioni commerciali. L’azienda così riesce a fare l’impossibile: vendere ancora prima di vendere. Il consumatore è spinto a schierarsi, a mettersi in gioco con la propria storia individuale, e contribuisce alla driving ambition d’impresa.

Ma c’è molto di più: metastories d’impresa come questa, ovvero le storie che non si raccontano ma che si fanno, hanno la straordinaria capacità di instaurare solidi legami di fedeltà tra consumatori e dipendenti. Ancora, l’azione vale più della parola. E l’azienda guadagna credibilità, come le persone nella vita di tutti i giorni. Da sempre infatti i consumatori apprezzano la trasparenza (e gli uomini la sincerità); ecco perché le storydoing companies sono semplicemente better business.

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Dati alla mano: storydoing.com

Quando si parla di storydoing non si può non citare la bellissima ricerca condotta da cocollective.com, società specializzata in strategia e innovazione, su un campione di 42 differenti aziende attive in diversi mercati. Lo studio, i cui primi risultati sono stati pubblicati sul sito storydoing.com, ha avuto come ipotesi di partenza la convinzione che le aziende storydoer spendessero meno risorse in paid media rispetto a quelle standard e fossero comunque più efficienti.

Per ogni settore merceologico di riferimento – retail, entertainment, food and beverage, electronic payments, consumer electronics, airlines, information and technology – è stata selezionata una società che rispettasse i canoni della storydoing company, mettendola a confronto con cinque competitors storyteller. Nel primo gruppo sono rientrati colossi come Target, Disney, Starbucks, American Express, Apple, jetBlue e IBM. Le performance dei partecipanti sono state paragonate dal punto di vista di financial data, social media data e paid media data.

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I risultati della ricerca sono la ciliegina sulla torta del nostro articolo. I numeri infatti hanno parlato chiaro: in generale le storydoing companies tendono ad incrementare più velocemente i propri guadagni pur investendo meno in paid media – mezzi che vengono comprati per ottenere visibilità (display advertising, campagne sponsorizzate). Inoltre godono di una reputazione migliore sui social media e dispongono di un reddito operativo più alto. Nemmeno in Borsa se la cavano male, riuscendo a vendere le proprie azioni ad un prezzo più caro.

Cosa dite, vi abbiamo convinto?

Giulia Sambo

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