
Basta una parola, un doppio senso o un claim sbagliato per danneggiare l’intera campagna e l’immagine di un brand. Quali sono gli epic fail pubblicitari più clamorosi degli ultimi anni? Vediamone alcuni.
Sbagliano tutti, nessuno escluso
In un mondo in cui i consumatori compiono scelte d’acquisto sempre più consapevoli e si aspettano di interagire con brand i cui valori siano in linea con i propri, una corretta comunicazione diventa ogni giorno più importante. Infatti, diffondere un messaggio sbagliato o facilmente fraintendibile, può danneggiare la reputazione di un brand, oltre che arrecare grossi danni dal punto di vista finanziario.
Nessuno è immune dal commettere errori: grandi e piccole aziende hanno sbagliato intere campagne di comunicazione, dovendo correre ai ripari per cercare di salvare la reputazione del brand, operazione che in alcuni casi ha richiesto perfino anni e che qualche volta ha addirittura aggravato la situazione. Vediamo alcune campagne che hanno fatto discutere e indignare gli utenti negli ultimi anni.
Pandora e gli stereotipi di genere
Forse ricorderai la campagna natalizia lanciata da Pandora a fine 2017 e, se si, molto probabilmente non la ricorderai come una campagna di successo. In quel periodo, comparve nelle stazioni della metropolitana di Milano un cartellone pubblicitario che diceva: «Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale Pandora: secondo te cosa la farebbe felice?».
La foto è diventata virale in poche ore e gli utenti si sono immediatamente schierati contro la campagna, definendola sessista, discriminatoria e antiquata. Il motivo era chiaro: la campagna strizzava l’occhio ad alcuni stereotipi patriarcali che riducono la donna alla mera figura antiquata e sorpassata di angelo del focolare.
L’azienda si è difesa rilasciando un comunicato in cui diceva: “L’affissione nella metropolitana di Milano voleva essere divertente ed ironica ma, sfortunatamente, la nostra ironia è stata fraintesa. In qualità di azienda che valorizza l’individualità di ogni donna, non era nostra intenzione offendere le donne, da sempre molto importanti e vicine a noi. Siamo intervenuti tempestivamente per risolvere questa incomprensione, infatti il pannello è stato sostituito”. Il pubblico, però è rimasto diviso: da un lato chi concordava con Pandora, dall’altro chi ha continuato a ritenere la campagna offensiva, sessista e discriminatoria.
Lamborghini e le foto sessiste
Nel 2020, a seguito all’emergenza da Covid-19, la Automobili Lamborghini ha annunciato la campagna With Italy, For Italy – 21 views for a new drive, un progetto fotografico che voleva raccontare l’Italia, a cui ha preso parte anche Letizia Battaglia, fotografa palermitana che con i suoi lavori aveva raccontato gli anni di piombo.
La fotografa ha scelto di immortalare delle ragazze adolescenti su scorci del capoluogo siciliano, con una Lamborghini sullo sfondo. Il risultato? L’accostamento adolescenti/auto di lusso ha fatto indignare più di qualcuno, in quanto la campagna è stata percepita come un utilizzo improprio del corpo femminile – per di più di ragazzine adolescenti – con scopo commerciale. L’eco negativa della campagna è stata talmente potente che persino il sindaco di Palermo, Orlando, è intervenuto per condannare gli scatti, che sono stati prontamente rimossi dai social.
Dolce e Gabbana e l’incidente diplomatico con la Cina
A novembre 2018 abbiamo assistito ad un epic fail della comunicazione che ha sfiorato l’incidente diplomatico e che ha visto protagonista la maison di moda Dolce & Gabbana.
Lo scandalo ha riguardato una pubblicità video in cui una modella cinese provava a mangiare con le bacchette alcuni cibi tipici italiani, tra cui un cannolo siciliano. Lo spot è stato giudicato sessista ed è stato condannato per la sovrabbondanza di stereotipi ma, ad aggravare la situazione, sono stati gli stessi stilisti siciliani.
Stefano Gabbana, infatti, ha cominciato a rispondere così rabbiosamente ai commenti degli utenti che avevano giudicato lo spot inadeguato, che il risultato è stato il boicottaggio del brand da parte di influencer e giornalisti e soprattutto la cancellazione della sfilata Dolce e Gabbana in programma a Shanghai da parte del governo cinese.
Il danno è stato enorme sia in termini finanziari, perché il mercato cinese rappresenta un terzo del fatturato della maison, che di immagine. Per arginare la crisi, gli stilisti hanno dichiarato – come spesso accade in queste situazioni – che i loro profili instagram erano stati hackerati e che quindi non erano stati loro a scrivere quei commenti offensivi e hanno poi pubblicato questo video in cui si sono scusati per l’accaduto, senza troppa convinzione.
Calabresi in rivolta
Uno degli epic fail pubblicitari più recenti è sicuramente la campagna Calabria, Terra Mia, che la Regione Calabria ha lanciato per promuovere il turismo e raccontare la propria terra, che tanto ha sofferto a causa della pandemia.
La campagna avrebbe dovuto essere un successo assicurato: il corto infatti è stato affidato a Gabriele Muccino ed è costato 1,7 milioni di euro.
Peccato che il risultato sia stato tutt’altro che positivo: otto minuti di Raoul Bova e sua moglie Rocio Muñoz Morales che flirtano e si scambiano parole sdolcinate, tra persone vestite come se gli ultimi cinquant’anni non fossero mai trascorsi, che passano le giornate al bar, tra una chiacchiera e una partita a carte. Infine non c’è alcun accenno alle bellezze della regione, alla storia, all’architettura e alle attrazioni turistiche.
Inoltre i calabresi non sono stati affatto d’accordo su come sono stati rappresentati e hanno lamentato che il corto non fosse altro che un mix di stereotipi e luoghi comuni. Le polemiche non hanno risparmiato neanche i due protagonisti: Raoul Bova infatti è nato e cresciuto a Roma ed è stato scelto in virtù del fatto che suo padre è calabrese, mentre Rocio Muñoz Morales è spagnola, nessuno dei due ha quindi un legame vero e proprio con la Calabria, ragion per cui gli attori non sono stati ritenuti adatti a rappresentare la regione.
Secondo l’assessore al turismo Fausto Orsomarso, l’obiettivo del video era “sprovincializzare e sdoganare il nostro territorio dai soliti cliché”, ma gli spettatori hanno criticato aspramente l’intero corto, dalla fotografia, alla sceneggiatura, ai dialoghi, paragonandolo a The Lady, la web-serie di Lory Del Santo. Niente male per uno spot che è costato circa 200 mila euro al minuto.
Questi sono solo alcuni degli epic fail pubblicitari degli ultimi anni; te ne vengono in mente altri? Raccontaceli nei commenti e non dimenticare di iscriverti alla community per non perdere i prossimi articoli.