
Nel movimentato scenario dei mercati, in cui la competizione è aumentata a dismisura, il settore del lusso sembra essere collocato in un mondo platonico dove tutto è immutabile. Ma è davvero così? Decisamente no, e la moda italiana lo sa bene: in costante equilibrio tra passato e futuro, le maison nostrane hanno cavalcato l’onda del rinnovamento. Ecco come.
Una vera e propria sfida, quella delle maison di fashion luxury, per intercettare i nuovi bisogni dei pubblici senza perdere il proprio appeal: la diffusione delle catene fast fashion (Zara, H&M, Rinascimento, Primark) ha soddisfatto il bisogno di novità dei consumatori imitando le collezioni degli stilisti in tempi record, determinando per i brand la necessità di caricare i prodotti di forti valori simbolici per renderli davvero unici. L’invecchiamento del pubblico tradizionale (i baby boomers americani e non solo) è un fattore di cui prendere atto e dal quale partire per ispirare nuovi target (Millennials e Generazione Z). La comunicazione, poi, inizialmente unidirezionale, è stata radicalmente rivoluzionata dal Web 2.0 e dai mercati conversazionali. Infine, molte delle nuove sfide si giocano su temi di ordine etico e morale, ai quali i brand di lusso, che producono beni ad alto valore simbolico, sono tenuti a rispondere.
Se è vero, come scritto ne Il Sole 24Ore, che nel 2017 il mercato dei beni di lusso è cresciuto del 5%, con una percentuale decisamente alta di acquisti effettuati da Millennials (80%), allora si può dire che molte case italiane hanno vinto questa sfida, e siano sulla strada giusta per ispirare pubblici sempre nuovi. Dall’altro lato, tuttavia, l’ingresso dei Millennials nell’arena del lusso ha cambiato il modo in cui vengono effettuati gli acquisti, e soprattutto i luoghi in cui essi vengono finalizzati: non più l’esclusività della boutique, un “tempio” riservato solo a chi sa apprezzare, ma la democraticità degli e-commerce di gamma alta, caratterizzati da un altissimo livello del servizio. Lo vedremo alla fine di questo articolo. E’ importante tuttavia concentrare l’attenzione sui grandi valori di cui la moda si sta facendo portatrice, non posizionandosi rispetto ai competitors, ma prendendo posizione su tematiche rilevanti e universali.
Hot topics: la rivoluzione della moda, la moda rivoluzionata
Ambientalismo, sostenibilità, gender equality, pacifismo: sono questi alcuni dei temi sui quali le case di moda italiane hanno preso posizione, utilizzando processi comunicativi che strizzano l’occhio ai più giovani e innescando dinamiche virtuose che impattano sui volumi di vendita e sul sentiment attorno al brand, che in certi casi diviene vero e proprio lovemarks.
Il legame delle maison italiane con il territorio d’origine è un vero e proprio vantaggio competitivo sui mercati internazionali, innamorati dell’artigianalità del prodotto made in Italy, ed è una relazione che molte case di moda hanno saputo nutrire e mantenere nel tempo. E’ questo il caso, tra le altre, di Fendi e Bulgari a Roma e Salvatore Ferragamo e Gucci a Firenze, che hanno aperto musei corporate, finanziato numerosi restauri e contribuito alla tutela e valorizzazione del patrimonio artistico. Ma è il piccolo paese di Solomeo, in Umbria, a essere diventato noto in tutto il mondo grazie al marchio Brunello Cucinelli. Infatti tutta la comunicazione del brand si focalizza con un imprescindibile legame non solo con il territorio, ma con il sogno del suo fondatore: lavorare per la dignità morale ed economica dell’essere umano. Dalla natura della filiera produttiva agli interventi sul territorio, il signor Cucinelli ha reso possibile un ecosistema virtuoso, destinato a clienti molto selezionati.
Una vera e propria rivoluzione copernicana, che è andata oltre le logiche di marketing toccando il prodotto vero e proprio, è quella legata al mondo “cruelty free” e alla pelliccia, un prodotto che è diventato il principale nemico del movimento animalista, cresciuto esponenzialmente nell’ultimo decennio. Dopo la presa di posizione di Giorgio Armani lo scorso anno contro lo sfruttamento degli animali da pelliccia, anche maison come Gucci, Furla e Versace hanno bandito le pellicce dalle loro collezioni. Il movimento animalista ed ecologista ha fatto sentire la sua eco anche in altri modi: è il caso della ricerca su nuovi tessuti vegetali, come Orange Fiber per Salvatore Ferragamo, o la campagna lanciata da Lacoste a favore degli animali in via d’estinzione.
Se quelle della sostenibilità ambientale, dell’artigianalità locale e del rispetto degli animali sono istanze tradizionalmente legate all’universo moda, è interessante notare come a queste si siano affiancate nuove istanze, di carattere culturale e simbolico, che mettono al centro i valori della libertà e del rispetto verso l’altro.
E’ interessante ricordare l’iniziativa “F is for freedom” lanciata da Fendi, che ha visto sei writers provenienti dai vari angoli del pianeta creare insieme un’immagine-simbolo di apertura e tolleranza, utilizzata in seguito per una capsule collection di tees a tema.
Insieme a Fendi, Gucci è la maison che ha saputo maggiormente farsi interprete di una vocazione “politica” della moda, e che ha visto lievitare il proprio fatturato; il direttore creativo di Gucci Alessandro Michele ha commentato così l’ultima sfilata uomo/donna tenutasi alla Milano Fashion Week lo scorso Febbraio, e che è diventata un vero e proprio caso mediatico: “Prendete, per esempio, i modelli che portano la propria testa in mano. Sono a mio parere una metafora di quanto si faccia fatica a crescere ed accudire la propria testa. E a mio parere i vestiti, la moda possono davvero prendersi cura della tua testa e della tua personalità in modo poetico. Venero la differenza, l’unicità, il cambiamento. E se i venti della politica e della società tornano a parlare del contrario, la risposta creativa si fa e si deve fare ancora più radicale. La mia, quindi, non è moda ma istigazione”.
Omnicanalità e predominanza del web: il lusso dell’esperienza
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita esponenziale degli acquisti online e a uno sviluppo degli e-commerce sia dal punto di vista strutturale (devono essere veloci, chiari, ma soprattutto responsive e visitabili senza problemi da smartphone) che da quello contenutistico e di miglioramento dell’esperienza di fruizione dell’utente. Per il 2017, Netcomm ha calcolato una crescita del 16% degli e-commerce B2C in Italia, con l’abbigliamento che cresce del 26%: questo dato rappresenta comunque una parte ancora marginale – il 15% – rispetto al volume di vendite totali, ma è un dato fortemente in crescita e comporta, anche per gli acquisti offline, una trasformazione in cui il digitale venga utilizzato per semplificare alcune fasi, o per offrire un’esperienza di acquisto ancora più immersiva (ad esempio con la realtà virtuale).
L’omnicanalità, quindi la compresenza di più canali di comunicazione del brand – diversificati in base al supporto utilizzato – è il presente e il futuro della moda italiana e mondiale, e italiano è uno dei protagonisti più rilevanti nell’online shopping di lusso: è il caso di YNAP (Yoox Net a Porter), fondata da Federico Marchetti, un multibrand che vende abbigliamento, scarpe e accessori di alta gamma provenienti dalle collezioni di brand diversi. Da questo punto di vista, piattaforme come YNAP e My Theresa (che propone descrizioni degli abiti affascinanti, immersive e ispirazionali) rappresentano delle cartine di tornasole per le case di moda, e in un certo senso contribuiscono a dichiarare il successo o il fallimento di una collezione, addirittura di un intero brand.
Volendo sommariamente evidenziare le caratteristiche del pubblico che acquista online, possiamo notare che:
- in Italia sono principalmente gli under 40 ad acquistare online: hanno abitudini di consumo meno prevedibili, ma lasciano tracce nel web, che possono diventare dati quantificabili e analizzabili;
- il pubblico, per la maggior parte composto da donne, tende ad acquistare principalmente di sera (“tutte hanno un’ora preferita per spendere: si chiama wine ‘o clock, verso le nove di sera, quando – una mano sul tablet e l’altra sul bicchiere di vino – gli acquisti si sciolgono”, afferma Alison Loehnis, Presidente di Net a Porter e Mr Porter);
- chi acquista online è disposto a spendere anche il doppio del prezzo di mercato per un capo che sia di alta qualità;
- più il prodotto è personalizzabile e unico pur se standardizzato, più il pubblico online è disposto ad acquistarlo.
Il vero fattore che determina la differenza tra un e-commerce “normale” e uno “di lusso” è di certo l’altissimo livello del servizio (spedizioni speciali, possibilità di cambio e reso, servizio di customer care molto efficace, velocità delle operazioni online), che è in continua evoluzione: in particolare, YNAP lancerà il servizio “you try, we wait”, avvierà una partnership commerciale con WhatsApp, renderà possibile ricevere i prodotti acquistati il giorno stesso (per le grandi città). E’ interessante anche notare come questi multibrand diventino essi stessi dei brand produttivi, grazie alle partnership con le case di moda che danno il via a capsule collections acquistabili esclusivamente online, ma anche alla creazione di veri e propri brand nuovi, come nel caso di Mr P per YNAP.
Verso una moda nuova?
Nel mondo contemporaneo “oggi è già ieri”, e i mercati si modificano molto più velocemente rispetto al passato, decretando la fortuna dei contendenti al tavolo in base alla loro capacità di intercettare le esigenze dei pubblici. Nel settore luxury, tuttavia, è parimenti forte l’esigenza di mantenere quasi intatti i valori intrinseci al prodotto e al marchio: è su questo asse innovazione-tradizione che ogni brand deve trovare il proprio baricentro, tenendosi ben lontano dal sembrare accessibile ma al tempo stesso offrendo a tutti la possibilità di esperire il lusso. Una cosa è certa: che si punti sul legame con il territorio, sul rispetto dell’ambiente, sull’adesione ai nuovi movimenti d’opinione globali, nessun brand, men che meno un brand di lusso, può esimersi dal prendere posizione.