
Dall’essere una pratica prettamente riservata al settore cinematografico, il Product Placement si è (più o meno) recentemente inserito nel piccolo schermo come forma meno intrusiva di advertising. Il successo delle serie TV e la tecnologia streaming lo hanno adesso reso principale veicolo pubblicitario al di fuori delle sale.
Avete mai sentito parlare di clutter? Letteralmente tradotto “disordine”, è un termine anglosassone che descrive l’ammontare di comunicazioni pubblicitarie alle quali il consumatore medio è esposto nel momento in cui si mette di fronte ad un televisore/computer. Negli Stati Uniti per Nielsen sono 38 al minuto le pubblicità on air sugli schermi televisivi d’oltreoceano.
Per ogni ora di programmazione televisiva, è stimato che il clutter si aggiri intorno al quarto d’ora, dopo essere aumentato sostanzialmente durante gli anni. Tutto questo in corrispondenza di una riduzione della durata delle comunicazioni, con l’ormai comune spot da 15 secondi che ha rimpiazzato le pubblicità da 60 secondi tipiche degli anni 70.
Ciò significa che in tre minuti (questa la durata media dei commercial break in prime time) un numero compreso tra 5 e 10 brand compete per l’attenzione del pubblico. Intuitivamente, troppa competizione per l’attenzione dei consumatori e l’aumento eccessivo del clutter hanno indispettito il pubblico del piccolo schermo, facendo calare drasticamente l’efficacia delle pubblicità on air anche durante gli show più amati e seguiti.
In più il grande successo di piattaforme ad-free come Netflix (guardare TV su questa piattaforma risparmia allo spettatore 160 ore di pubblicità all’anno) ha sollevato dubbi su come riuscire ad arrivare al target del piccolo schermo, molto appetibile ma altrettanto cinico.
Il Product Placement
I brand hanno pescato la risposta dal mondo del cinema (dove si usa dagli anni ’20): si tratta di product placement, meno intrusivo rispetto alle tradizionali forme e semplice da implementare. In soldoni fare product placement significa mostrare, menzionare od integrare con la trama dello show un brand a scopo promozionale, sfruttando il concetto di identificazione degli spettatori con i character delle Serie TV.
Questa forma di spettacolo è infatti capace di coinvolgere emotivamente lo spettatore e di farlo identificare in maniera significativa nei protagonisti della serie. Non andremo (dal punto di vista teorico) più in dettaglio di così; se il tema vi incuriosisce, questo pezzo rappresenta un ottimo punto di partenza per avere una conoscenza abbastanza dettagliata questa forma di promotion.
Dalle parole ai fatti
Le serie TV hanno rappresentato e rappresentano da ormai più di venti anni l’arena perfetta per l’utilizzo del product placement: la diffusione dei media e della televisione ha permesso al piccolo schermo una “segmentazione globale” del mercato, riuscendo a promuovere e sfruttare l’importanza acquisita recentemente dalla promozione degli “stili di vita”. Molti brand infatti, dall’essere semplici brand, hanno cercato di reinventarsi ed evolversi, proponendosi come veri e propri lifestyle brand.
Il product placement in una determinata serie TV permette quindi ai brand di raggiungere segmenti globali della popolazione, promuovendo il proprio stile di vita su scala planetaria o quasi.
Un esempio di product placement nemmeno troppo nascosto è fornito da Dawson’s Creek: lo show, uno dei più visti dagli adolescenti di tutto il mondo, si prestava perfettamente al product placement verso quei segmenti della popolazione.
Il risultato? L’abbigliamento dei protagonisti è in pratica un catalogo di J. Crew, brand americano di clothing con sede a New York. Quale miglior promozione di quella di Jenny, Joey, Pacey e Dawson?
Questa foto, che sembra effettivamente uscita da un catalogo di fashion per giovani, ne è l’esempio perfetto.
Ma Dawson’s Creek si è prestato anche a forme più specifiche ed a target più contenuti con il product placement al suo interno: a 10 anni dal lancio di Diet Coke (in Europa Coca Light), un prodotto esplicitamente femminile, la compagnia di Atlanta ha deciso di usare anche la serie TV americana come trampolino per promuovere il prodotto, concentrandosi sulle giovani spettatrici dello show.
D’altronde quale miglior ambassador per il target in questione di Joey Potter (Katie Holmes)? Nello show Joey è una ragazza acqua e sapone, non dà troppo peso alle apparenze, è indipendente ed ha una vita sentimentale molto travagliata: in linea di massima, il grado di identificazione delle giovani spettatrici nel personaggio di Joey si avvicinerà al 100%. Quindi perché non bermi una Diet se Joey Potter se la concede?
Dawson’s Creek ha concesso spazio anche ad alcuni PSA (Public Service Announcements) per sensibilizzare i giovani che si trovavano a compiere i primi passi con la loro vita sessuale: il product placement in questione è quello dei test di gravidanza. Così facendo si cercava di incoraggiare le giovani ad effettuare il test, superando la vergogna e soprattutto la paura che affrontare certe situazioni da giovani possano procurare.
Breaking Bad: breaking product placement’s rules
Nell’Abc del product placement e delle politiche di immagine in generale è abbastanza sconsigliabile, se non totalmente antagonizzato, farsi associare con esempi negativi. Walter White, produttore di massa metanfetamina e killer, è riuscito con il suo successo virale a rompere anche questo tabù.
Nel primo caso, celeberrimo e sotto gli occhi di tutti, è Coca Cola che si promuove in una puntata di Breaking Bad.
Un altro brand del settore food che non ha avuto paura di associarsi con lo show di AMC e in generale fa grande uso di product placement è Funyuns, le patatine a forma di anello al gusto di cipolla. Il product placement di Funyuns in Breaking Bad è tanto sfacciato quanto simpatico:
Ancora più divertente e diretto ad un target diverso (studenti di high school o college che sognano un futuro metropolitano e non hanno ancora certezze su cosa sarà del loro futuro) è il product placement usato da Funyuns in How I met your mother, con Marshall Eriksen come testimonial.
Per contestualizzare in breve, Marshall e la fidanzata Lily sono in procinto di trasferirsi in Italia per un anno, e Marshall si vanta di conoscere l’italiano. In realtà, per “combinazione”, riesce solamente a dire: “Andiamo fratello, non Mastroianni tutti i Funyuns”.
SeamBI- Seamless Brand Integration
I Marketers sono attenti alla tecnologia ed al progresso, e l’adozione massiva di product placement non poteva che portare alla sua evoluzione e allo sviluppo di pratiche innovative. Una di queste è proposta dall’agenzia SeamBI: introdurre digitalmente brand per la promozione in post-produzione.
Se come me vi capita di vedere a distanza di anni la stessa serie TV (lo ammetto, ho guardato 3 volte How I met your mother) e siete attenti, vi capiterà di notare in un episodio del 2006 il product placement di un film del 2011 (Bad Teacher), aggiunto da SeamBI per le ritrasmissioni della serie.
Il placement ha senso perché il protagonista (Jason Segel) è il Marshall dello show, uno dei personaggi più amati. Associare How I met your mother al suo prossimo film è sicuramente un ottimo modo di promuovere il proprio lavoro. In tutti i re-run della serie sono quindi presenti product placements “a posteriori” e visibili da questo album.
Netflix e il “self product placement”
Netflix, servizio prima solo di streaming di contenuti televisivi on-demand e poi vero e proprio produttore di contenuti originali, come da premesse salva lo spettatore da rilevanti ore di fastidioso clutter. Il prezzo da pagare però è una costante sottoposizione a product placement, specie nei contenuti originali Netflix.
Messo da parte il tradizionale product placement “esterno”, Netflix stesso applica questa forma di promotion nei suoi show: la forma è il product placement vocale, cioè la menzione per protagonisti delle serie di citazioni o del nome stesso di film presenti nel catalogo di Netflix.
Esempi vissuti in prima persona sono quelli della Serie TV Commedia “Master of None” in cui Aziz Ansari (giovane comico in ascesa, protagonista dello show) in una sequenza guarda con gli amici Sherlock (Netflix promuove il catalogo e l’esperienza “guarda Netflix con il gruppo di amici”) e in un’altra confessa che “l’ultima volta che sono andato in India mi sono promesso di stare con mia nonna e farmi raccontare tutto della sua vita, mentre mio papà traduce. Però poi sono arrivato là e mi sono solo visto Dexter sul mio iPad.”
Questo ultimo caso è addirittura un doppio product placement: in primis Dexter, serie disponibile in catalogo, in secundis l’esperienza di viaggiare e potersi comunque vedere i programmi in catalogo in altri paesi del mondo (siamo arrivati anche in India), e per finire un po’ di sano product placement verbale per l’iPad.
Un altro caso è quello di Better Call Saul, spinoff del celeberrimo Breaking Bad: nella seconda stagione, a colloquio con il Mike Ehrmantraut di Breaking Bad, l’avvocato Saul (ancora Jimmy McGill nello spinoff), parlando con il cliente inizia con: “The first rule of the fight club is: you don’t talk about fight club.” Scontato che il film Fight Club sia parte del catalogo Netflix.
“Cutting the clutter”
Il dinamismo dei Marketers ha quindi impedito che il clutter, l’overesposizione a messaggi pubblicitari delle audiences televisive impedisse ai brand di arrivare al target. L’evoluzione delle serie tv, della tecnologia e l’acquisita importanza degli stili di vita hanno incoraggiato i grandi brand a promuoversi dentro il programma e non più nei break commerciali. Gli esempi, più o meno sfacciati (blatant in Inglese), danno risultati diversi e contrastanti, ma la pratica è in evoluzione (SeamBI) ed offre indubbi benefici in termini di targeting e di coinvolgimento emotivo con il segmento scelto.
In più l’audience è spesso e volentieri globale, fattore che aumenta in modo indubbio la brand awareness a livello planetario e rende il product placement ancora più appetibile per le aziende.
Per evitare un’ulteriore rischio di overexposure è però necessario riuscire a contenere la quantità di brand posizionati nelle serie TV, in modo da non creare clutter anche in-program oltre che off-program ed indispettire ulteriormente gli spettatori.