
Mi hanno chiesto di sfatare il pregiudizio secondo il quale “Il Marketing è semplice. Chiunque può fare Marketing”. Ho risposto che io in realtà la penso proprio così. Hanno insistito, quindi eccovi questo articolo in cui confermo che non si tratta affatto di un pregiudizio. Potete provare a ribattere ma non ci riuscirete.
“Il Marketing è semplice. E fare marketing lo è ancor di più.” Quante volte ve lo hanno detto? E non parlo solo degli ingegneri o dei laureati in Finanza (che normalmente sono i primi a dirlo) ma anche i vostri amici o il tipo conosciuto una sera che neanche vi conosce ma sa già con certezza di saperne più di voi anche su ciò che avete studiato, insomma il classico tipo che prima sfotte chi studia Marketing e dice che siete dei venditori di fumo e poi “intavola una teoretica sullo sbottonamento del secondo bottone della camicia”.
E sapete che vi dico? Tutti questi hanno ragione.
“Basta un giorno per imparare il Marketing”, lo diceva persino Philip Kotler che di Marketing un po’ ne capiva.
“Basta avere un po’ di buon senso, un pizzico di logica e la giusta intuizione per fare Marketing”, aggiungo io.
E d’altronde, se ci pensate, non ha poi tutto sto senso studiare anni per prendersi una laurea triennale e poi una magistrale in Marketing quando se cerco “marketing” su un qualsiasi motore di ricerca ottengo come risultati “corsi di marketing in 24 ore” nonché infiniti articoli con varie definizioni di questo campo di studi che fanno capire in modo chiarissimo quanto facile sia fare marketing.
Prendiamo ad esempio questa definizione – probabilmente la mia preferita – di Giancarlo Pallavicini del 1959, tutt’oggi attuale:
Il marketing viene definito come quel processo sociale e manageriale diretto a soddisfare bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotto e valori. È l’arte di individuare, creare e fornire valore per soddisfare le esigenze di un mercato di riferimento, realizzando un profitto.
Niente di più facile. La definizione parla da sola. D’altra parte se l’obiettivo è realizzare un profitto cos’altro si dovrebbe fare se non creare e scambiare un prodotto (o un servizio) che abbia valore per qualcuno perché gli soddisfa delle esigenze?
Nessuno acquisterebbe un prodotto o un servizio se questo non gli portasse del valore. Certo, potreste ribattere dicendo che la difficoltà sta proprio nel capire cosa del nostro prodotto porta valore e in che misura in assoluto e rispetto ai competitor, ma soprattutto a chi porta valore e che prezzo questi sarebbe disposto a pagare per averlo, e che è difficile anche capire come comunicare tale valore, però staremmo qui a discutere per ore e soprattutto verrebbe meno l’obiettivo di questo articolo: farvi capire che chiunque può fare Marketing. Ripeto: “basta solo un po’ di buon senso e un pizzico di logica”.
Le 4 P del Marketing Mix
Mi è stato quindi detto di inserire nell’articolo un riferimento al – semplicissimo – modello proposto dal professor Jerome McCarthy detto “delle 4 P del Marketing Mix”. Quel modello che aspira a racchiudere in sé tutte le decisioni di Marketing che un marketing manager deve prendere. Come ben sapete queste 4 P sono Product, Price, Promotion e Place. Vediamole ciascuna nel dettaglio.
Product
Quando parliamo di Prodotto come P del Marketing Mix, oltre a riferirci sia a prodotti tangibili (beni) che intangibili (servizi ed esperienze) in linea di principio ci riferiamo “solamente” a decisioni che riguardano il design, le funzionalità e la qualità.
Apparentemente potranno sembrarvi tre immense macro-variabili su cui agire ma alla fine vi basterà la giusta intuizione per capire se il prodotto che il reparto di R&D – o chi per lui – vi propone può incontrare o meno le esigenze del mercato a fronte dei costi di produzione e di una stima del margine di contribuzione che vorrete (dovrete) realizzare.
Diffidate da quelli che per impaurirvi vi dicono che l’80% dei nuovi prodotti fallisce, è solo una leggenda metropolitana. In realtà la percentuale corretta è intorno al 40%.
Nel valutare un nuovo prodotto vi accorgerete che non c’è mica bisogno di fare test di gradimento o comparativi come i focus group o i blind test. E neanche un’analisi di mercato che vi dia, per ciascun segmento a cui volete rivolgervi, una scala ordinata dell’importanza di ciascun beneficio del prodotto, ciascuno con il relativo “peso” in modo da capire cosa dovrete offrire voi in base a ciò che offrono i vostri competitor e al costo che ha per voi offrire ciascun beneficio aggiuntivo. Nulla di tutto ciò. Come vi ho detto, la vostra intuizione sarà più che sufficiente. Poi il mercato risponderà.
Certo, anche le vostre inclinazioni saranno importanti: se siete di quelli fissati con il design o con la qualità sarete disposti a soprassedere su qualche funzione, se invece avete più la mentalità “da ingegneri” tenderete a valutare il prodotto solo in termini razionali, e ogni funzione in più lo renderà sempre più perfetto ai vostri occhi. Dipende da voi, quindi.
Mi direte: “ma non è solo questo! Prendere scelte di Prodotto significa anche valutare costi e benefici di ogni variazione dell’assortimento (l’ampiezza del portfolio, il mix di varianti, le linee di prodotto, ecc…) andando a stimare attraverso delle formule la variazione del fatturato e di alcuni indici di redditività al netto dell’effetto di cannibalizzazione.
Per non parlare delle scelte relative ai servizi complementari associati al prodotto (ad esempio quelli pre e post-vendita), alle certificazioni di qualità e alle garanzie, alle politiche sui resi e sulle eventuali spedizioni e a tutte queste decisioni in relazione alla fase del ciclo di vita in cui si trova il vostro prodotto.” E io vi ripeto: tutto determinabile con un po’ di buon senso e un pizzico di logica. Nulla di complicato.
Price
Per quanto riguarda le scelte di Prezzo, in fondo, basta che vi manteniate “sostenibili”: aggiungete un markup al costo variabile dei vostri prodotti tale da farvi coprire anche una parte dei costi fissi e da assicurarvi un giusto profitto, poi come prova del nove dovrete porvi la seguente domanda: “se fossi il mio consumatore target quanto lo pagherei questo prodotto?” (togliete magari qualcosina alla cifra a cui arriverete visto che siete un po’ di parte). Se la risposta che vi sarete dati è inferiore al prezzo comprensivo del markup, Il gioco è fatto! Logico, no?
E non complicatevi la vita con cose “da psicopatici” come gli studi sul valore percepito, le analisi sull’elasticità della domanda al prezzo o il confronto e il monitoraggio dei prezzi della concorrenza. Rischiate solo di “svalvolare”.
Poi se tra di voi c’è qualche nerd del marketing questi potrà anche rimproverarmi il fatto che non vi ho parlato di strategie e tattiche di prezzo. Tipo lo “skimming”, ossia un prezzo alto nelle prime fasi del ciclo del prodotto (tipico nel settore dell’elettronica) solo per sfruttare la bassa sensibilità al prezzo degli early adopter, oppure le strategie di prezzo di penetrazione, o i tre diversi gradi di discriminazione, o il premium pricing che consiste nel mantenere un prezzo alto al solo scopo di tenere elevata la percezione del valore, o ancora il machiavellico “prezzo a effetto esca” (detto “decoy pricing”). Una volta lessi questo libro sul Pricing e per poco non stavo impazzendo.
Ripeto: basta solo un po’ di logica, senza complicarvi la vita. Tanto i consumatori non sono più razionali come ai tempi delle prime teorie economiche. La “behavioral economics” ha ampiamente dimostrato che il consumatore è tutto fuorché razionale.
Quindi non ribattete con cose come: “e che ci dici degli sconti? Non vanno determinati in base a dati storici, stagionalità, risposte ai competitor? E non ne vanno valutati gli effetti calcolando il trade-off tra aumento del fatturato e diminuzione del margine in un dato lasso di tempo? E l’effetto “stoccaggio” del consumatore? E il prezzo al trade e il rapporto tra questo e quello al dettaglio?”.
E non vi azzardate neanche a citarmi i modelli di business ormai divenuti di moda come quelli che si basano sul potere del free tanto decantato da Chris Anderson. Ci ho fatto pure una tesi di laurea a riguardo e vi assicuro che sono solo un bluff, persino più pericolosi del marketing multilivello.
Affidatevi solo alla vostra logica e al vostro buon senso e troverete il prezzo giusto. Tanto potrete sempre modificarlo, suvvia.
Promotion
Magari vi è capitato, dopo aver detto “faccio marketing”, di sentirvi dire “ah ma allora ti occupi di pubblicità!”. Beh, non vorrete mica fare i precisini e dire che già solo la Promozione comprende anche il direct marketing, le pubbliche relazioni, le sales promotion, il packaging, le sponsorizzazioni, il guerrilla marketing e il product placement, a cui vanno poi aggiunte le altre 3 P perché si possa parlare di Marketing?
Suvvia, perdonate questa sineddoche e focalizzatevi su quest’unico assunto: che siano tradizionali o digitali i vostri canali, che abbiate più o meno budget, per comunicare bene il vostro prodotto o il vostro brand (ma non parliamo di branding, ve ne prego, che altrimenti questo articolo non finisce più) non vi servirà altro che una bella e rapida sessione di brainstorming con i vostri collaboratori in cui deciderete semplicemente il messaggio da comunicare, che canali usare (o “media strategy” se volete fare i fighi), quali i vostri obiettivi di reach e di frequency, la coerenza con i valori del brand, con le caratteristiche del vostro destinatario, con la strategia di marketing e con quella – più in generale – di business, e il gioco è fatto! Penso che in 10 minuti ve la cavate, al massimo 15. Senza fare i finti-nerd come quelli che fanno Digital Marketing che sparano numeri come se avessero il mitra di Rambo (impression, CTR, ROAS, Bounce Rate, tasso di conversione, ecc…) tanto lo sappiamo che servono solo a riempire qualche slide.
E senza riempirvi la bocca con espressioni inglesi solo per fare i fighi. Una volta un tipo mi ha detto “eh ma bisogna considerare l’intera customer journey online dell’utente…”, al ché gli ho chiesto: “visto che parli di customer journey, almeno conosci Google Analytics?” e al suo “No” l’ho ammonito con un: “Stai alla larga da quel demonio! Lo dico per il tuo bene”.
E parlando nello specifico del mezzo pubblicitario, non pensate mica che ci siano chissà quali regole complicate da seguire. Vi basterà solo una buona intuizione. Se ad esempio state per lanciare un nuovo prodotto con la pretesa di dipingerlo come innovativo nonché di sfidare il leader di mercato, potete far apparire quest’ultimo come un’entità malvagia e totalitaria da sconfiggere – citando un romanzo di serie B – un po’ come ha fatto l’azienda di spedizioni interplanetarie Planet Express in questo spot.
Oppure usate il buon vecchio metodo (ma mai tramontato) di ripetere il messaggio più e più volte fin quando non viene impresso nella mente del consumatore.
Vi assicuro poi che se metterete anche solo il 10% della logica, del buon senso e dell’intuizione che usate quando scrivete un messaggio alla persona che vi piace realizzerete una Comunicazione con la “C” maiuscola. D’altronde si può dire che siete già allenati nello stabilire i vari “benefici del consumatore”, “reason why”, “supporting evidence”, “tone of voice” e “target”, ossia gli elementi della cosiddetta copy strategy. Tanto, come vi ho già detto, il consumatore di oggi è sostanzialmente irrazionale, quindi a che serve farsi mille domande su come recepirà il nostro messaggio?
Place
Infine abbiamo le scelte relative al Place, ossia alla distribuzione del vostro prodotto. Anche qui vi basterà pensare semplicemente a come renderlo il più possibile accessibile e comodo da ottenere al vostro consumatore. Senza troppi fronzoli sul numero di intermediari, su quanto renderla intensiva, selettiva o esclusiva, sulla quota in percentuale di copertura desiderata, sulla logistica, sulle logiche di magazzino, sull’assortimento o persino sui tempi e costi di spedizione. Un po’ di buon senso e tutto vi risulterà semplice.
Volete un modello di impresa che ha fatto della precisione e puntualità nella Distribuzione il suo punto di forza? Sicuramente la Mr. Stork. In questo video l’unica spedizione fallita in quasi un secolo di attività di business:
Marketing Strategico e Operativo
Qualcuno forse vi ha parlato di Marketing Strategico e Operativo, di quella virtuale distinzione tra pianificazione di lungo e breve periodo? Ecco, non esiste nulla di tutto ciò e nemmeno uno come me che è cresciuto a pane, giochi da tavolo e videogiochi di strategia potrebbe essere così in mala fede da dirvi che bisogna pianificare per fare marketing. Cos’è, vi credete dei veggenti o davvero pensate che a Risiko! vince chi riesce meglio a prevedere lo scenario a 5 o più turni di distanza e non chi ha più fortuna con i dadi?
Suvvia, anche studiando gli scenari di settore o facendo tutte le analisi delle dimensioni, crescita, redditività del mercato, di segmentazione, di posizionamento, della concorrenza che volete oppure ancora stimando le vendite sulla base delle azioni che volete intraprendere, delle serie storiche e usando le regressioni multivariate, non potrete mai prevedere come andrà il futuro. Avete idea di quante variabili in gioco ci siano? E poi basta che un competitor faccia qualcosa di inaspettato per rovinarvi tutti i piani (e non vi azzardate a citarmi la “teoria dei giochi”). Non perdeteci neanche un secondo. Il marketing è impulsivo perché, come vi ho detto, per farlo bene vi serve un po’ di buon senso, un pizzico di logica e la giusta intuizione.
Il resto sono “solo chiacchiere e distintivo” o giustificazioni per farsi dare più budget o peggio ancora sono sintomi di “marketersite”, quella sindrome di cui soffrono molti MARKETERs, specie quando fanno parte della task di un evento, che li “obbliga” a pensare, concordare e stabilire mesi prima cosa fare e come farlo (pensate solo che l’idea del MARKETERs Day 2015 nacque il giorno stesso del MARKETERs Day 2014 e che già a Novembre stavamo filmando il video per il trailer), allocando budget, dividendo i compiti, stabilendo le varie fasi del processo (qualcuno ha detto “Diagramma di Gantt”?). Non pensate minimamente che fare marketing abbia a che fare con questa forma mentis che ha più tratti in comune con i disturbi ossessivo-compulsivi che con la professione di manager.
Qualcuno ha messo in giro la voce che per fare marketing bisogna essere la giusta sintesi tra un economista, un creativo, uno statistico, un sociologo, un informatico, un designer e uno psicologo. Nulla di tutto ciò. Chiunque può fare marketing.
Per fare marketing basta solo avere un po’ di buon senso, un pizzico di logica e la giusta intuizione.
E se non sono riuscito a convincervi sappiate che la citazione che ho riportato a inizio articolo in realtà recita:
“Basta un giorno per imparare a fare marketing. Purtroppo serve una vita intera per imparare a farlo bene”
Philip Kotler