
Un grande cambiamento è in atto: robot, intelligenze artificiali, cloud, big data, ecc…, tutte tecnologie che stanno ridefinendo le regole del business creando al contempo minacce ed opportunità. Eccovi alcune considerazioni su come l’industria 4.0 si farà strada nel mondo odierno tra miti e credenze.
Ma facciamo un passo alla volta: cosa si intende per quarta rivoluzione industriale?
Il termine esatto è industry 4.0, coniato dal governo tedesco per evidenziare la sempre crescente digitalizzazione dei processi produttivi aziendali.
Il numero 4.0 rappresenta una scala di progresso: con l’industry 1.0 abbiamo scoperto il vapore e parzialmente abbandonato i campi; con l’elettricità abbiamo creato imponenti realtà industriali come Ford e General Electric (industry 2.0); il progressivo sviluppo degli impianti di telecomunicazione ha fatto il resto, consentendoci di comunicare fra Paesi che prima sembravano remoti, mettendo così in discussione la rilevanza della posizione geografica (industry 3.0).
Cosa sta cambiando con l’avvento dell’industria 4.0?
Oltre i molti benefici in termini di efficienza e taglio dei costi, diversi studiosi sostengono che la digitalizzazione andrà a impattare su una diversa relazione con il lavoratore cambiando stili ed abitudini che sembravano consolidate. Diventerà quindi possibile lavorare da casa in remoto, gestire i flussi di produzione con sistemi gestionali sempre più automatizzati e all’avanguardia e faremo sempre un più largo uso del cloud computing e in particolare dei SaaS (acronimo per “Software as a Service”) ossia di quei programmi installati su un server remoto e non sul computer.
Fondamentale sarà la gestione dei Big Data in fabbriche e in aziende di servizi via via sempre più automatizzate. Tutte queste innovazioni cambieranno per sempre la nostra classica definizione di impiego.
Arriviamo dunque al quesito che più ci tormenta quando parliamo di progresso tecnologico: è vero che le macchine ci ruberanno il lavoro?
Un simpatico episodio è accaduto quando il software di Google “Alpha Go” ha battuto il campione del mondo di Go (gioco tradizionale cinese di strategia, considerato più complesso degli scacchi) Lee Sedol. Questo successo ha dimostrato come alcune macchine siano in grado di apprendere autonomamente quando le condizioni dell’ambiente esterno mutano, il cosiddetto deep learning.
Moshe Vardi, (professore alla Rice University) sostiene che la nostra società si stia affacciando all’era in cui i robot saranno capaci di superare le abilità umane in ogni singolo compito ed ambito lavorativo.
Vardi sostiene che l’AI (Artificial Intelligence) eliminerà gran parte dei lavori della classe media, persino quelli in cui bisogna interfacciarsi con le persone (ad esempio il farmacista, l’operatore di sportello o persino il bartender).
La Boston Consulting Group, una delle più rinomate società di consulenza, prevede che entro il 2025 fino ad un quarto dei lavori che oggi conosciamo saranno sostituiti da macchine molto più intelligenti di noi. Anche la Oxford University in un suo recente studio considera come il 35% dei lavori in UK sia a rischio sostituzione nei prossimi vent’anni.
Uber, la famosa app di mobilità, sta collaborando sia con i principali produttori automobilistici sia con Google ed Apple per creare un servizio che sia in grado di fare a meno del conducente. Provate solo ad immaginare le ripercussioni della tecnologia self-driving per un’azienda come Uber. Travis Kalanick, l’amministratore delegato, ha recentemente dichiarato che “il servizio sarebbe molto più economico se non paghi per il tizio nell’auto”. Taxi automatizzati un giorno inizieranno a circolare per le strade mondiali mettendo così a rischio il lavoro del classico taxista.
Quando le macchine saranno capaci di svolgere il lavoro umano, gli umani cosa faranno?
Martin Ford – autore di “The Rise of Robots” – sostiene che questa sfida sia diversa da quelle precedenti affrontate dall’umanità durante le altre rivoluzioni industriali. Ha una visione apocalittica di ciò che ci attende: crede infatti che la prossima epoca sarà caratterizzata da disoccupazione di massa e vedrà un conseguente collasso economico, tanto da non poter garantire alla maggior parte degli umani un salario minimo di vita.
L’intelligenza artificiale e il progresso tecnologico saranno le
vere preoccupazioni per i lavoratori di domani?
Con buone probabilità vi sarà un iniziale aumento della disoccupazione per alcune categorie di lavoratori, quelle più facilmente sostituibili, in combinazione con la mancanza di competenze in altre.
Nulla di preoccupante: non è la prima volta che il genere umano si trova ad affrontare simili cambiamenti radicali e complessi, infatti anche a seguito dell’invenzione del telaio e della catena di montaggio si fece strada la credenza che le macchine avrebbero presto sostituito l’uomo nel suo operato.
Questa nuova sfida che il mondo si trova ad affrontare per alcuni studiosi non farà estinguere l’essere umano ma cambierà sicuramente il nostro modo di lavorare.
Recentemente Airbus, in collaborazione con il Joint Robotics Laboratory dell’università di Frankfurt, ha dichiarato la sua volontà di investire nella costruzione di un androide che eseguirà le parti più critiche della manutenzione degli aeromobili. La compagnia sostiene come l’uso della robotica consentirà una riduzione del rischio di infortuni e di conseguenza, la riqualificazione del personale da inserire in altre aree di sviluppo. Casi come questi possono evidenziare un utilizzo positivo della nuova tecnologia, usata come mezzo per aiutare l’uomo nelle sue operazioni quotidiane, facilitandone impiego e limitandone i rischi.
James Bessen, Professore alla Boston University, nel suo studio ha evidenziato come la relazione fra tecnologia e occupazione non sia del tutto scontata. Le sue conclusioni sono davvero degne di nota:
- La prima, non c’è nessun segno certo che il progresso tecnologico causi disoccupazione su larga scala. L’occupazione nel settore tecnologico viaggia a pieno regime.
- La seconda, l’essenziale bisogno di nuove capacità della forza lavoro per far fronte a questo cambiamento.
Fondamentale è quindi capire come la tecnologia non ci consenta più di “stare fermi”, ma necessiti sempre di un re-skill continuo in grado di aumentare flessibilità e vantaggio competitivo.
La costante specializzazione a sistemi di produzione più complessi ha segnato l’inizio di una diversa “divisione del lavoro”. Questo significa che, come evidenziato dal World Economic Forum, ai futuri lavoratori saranno richieste competenze sempre più specializzate e difficili da ottenere senza un’adeguata preparazione. Crescerà la necessità per la neo-forza lavorativa di possedere capacità comunicative e sapere come relazionarsi con le persone. Diverrà sempre più importante affacciarsi al mondo con nuove capacità di sintesi ed analisi.
Secondo Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, cambieranno le capacità ricercate nel mercato: “nel 2020 il problem solving rimarrà la soft skill più richiesta, ma diventeranno più importanti il pensiero critico e la creatività. Proprio perché lo scenario è in rapida evoluzione, dobbiamo attrezzarci per cogliere i benefici dell’innovazione digitale nei processi dell’industria “.
La paura del futuro e del cambiamento da sempre ha accompagnato l’uomo nella sua evoluzione, ma senza il progresso tecnologico il nostro attuale livello di benessere sarebbe stato impossibile da raggiungere.
Il progresso tecnologico va di pari passo con il progresso dell’uomo, che ad ogni nuova invenzione ha sempre risposto imparando a svolgere nuovi compiti, a soddisfare nuovi bisogni e creando quindi nuovi lavori.
Citando lo scrittore Alvin Toffler:
“Il cambiamento è il processo col quale il futuro invade le nostre vite”