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“Venditori di fumo”: il marketing (quello vero) e i pregiudizi che lo circondano

da 22 Settembre 2016Novembre 22nd, 2016Nessun commento
“È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”. Lo diceva Albert Einstein, uno che di atomi se ne intendeva abbastanza, così come di pregiudizi. Il marketing e le nuove professioni digitali si circondano ancora oggi di ogni tipo di pregiudizio, e vivono una vera e propria battaglia per affermarsi che sembra non avere mai fine. Ma cosa sono davvero i pregiudizi? Come combatterli? Una rassegna su cos’è il marketing davvero e di come viene dipinto secondo i pregiudizi, per sfatare i falsi miti del marketing.

Per molti imprenditori o responsabili aziendali in PMI, ma anche per alcuni studenti di management che si approcciano al marketing solo sfiorandolo, il marketing è ancora qualcosa di molto oscuro e lontano, e che spesso si circonda di pregiudizi che screditano l’essenza stessa del marketing e, soprattutto, del mondo digitale. Una gigantesca chimera, dunque.

Cerchiamo quindi di delineare un quadro generale sul fenomeno, di tracciare quelle linee guida che ci consentiranno di fare dei ragionamenti più complessi sul perché si formano i pregiudizi e sui perché di questo pregiudizio in particolare.

Ma prima di tutto: cos’è davvero il marketing?

Il marketing, quello vero

Quante volte avete sentito: “il marketing è solo pubblicità!”, oppure: “è solo una marketta!”, o ancora: “fai marketing? non cercare di vendermi niente!” Ecco, questi sono stereotipi sul marketing, e non sono di certo gli unici: solo i primi che ci sono venuti in mente avvicinandoci a questo argomento.

Vedete, il marketing è molto di più: è una disciplina aziendale che in realtà è profondamente calata nel tessuto sociale e nella mente delle persone, è un complesso insieme di teorie scientifiche e pratiche aziendali, è l’attività più a valle della catena del valore aziendale.

Ma il marketing è anche un approccio aziendale: un orientamento al mercato, che nella sua filosofia vede le aziende strutturare la loro offerta in modo market-driven (orientate al mercato, per l’appunto). Il marketing è sia strategico (perché ogni attività di marketing richiede un’accurata fase di analisi e di implementazione strategica) sia operativo (perché l’essenza del marketing è “sporcarsi le mani”, a compilare tabelle Excel e a spingere verso un obiettivo di raggiungimento di una quota di mercato).

Marketing è conoscere il proprio target audience, è padroneggiare le attività commerciali, è sviluppare il proprio prodotto o servizio nel modo più efficace ed efficiente possibile, è impostare la giusta strategia di prezzo, è trovare il modo giusto per comunicare le caratteristiche di un prodotto o di un brand per arrivare al risultato finale: sì, vendere (ma non solo).

Marketing è risolvere i piccoli e i grandi problemi del quotidiano, è godere di buone narrazioni, che ci fanno stare bene, e perché no, è esprimere se stessi nella luminosa mela sgranocchiata che portiamo fieri in tasca.

Marketing è creare valore per le persone, per le aziende, per tutti gli stakeholder.

Ecco, di tutto questo cosa arriva a un imprenditore indaffarato con i propri obiettivi commerciali? Oppure a una piccola azienda che deve pensare solo a chiudere il bilancio annuale in pari? Le attività di marketing sono spesso viste come inutili, ridondanti, fumose.

Ma il marketing può essere inutile, se crea valore? Il marketing può essere ridondante, se affina il potenziale inespresso delle altre funzioni aziendali? Il marketing può essere fumoso, se punta davvero alle esigenze delle persone tenendo conto degli obiettivi aziendali?

draper smoke

Certo, esiste il buon marketing ed esiste il cattivo marketing, come d’altra parte esiste la buona edilizia e la cattiva edilizia, e così via. C’era chi diceva che è possibile fare marketing rimanendo brave persone, e noi vogliamo essere tra quelle. Il marketing, con i suoi meta-prodotti che sono i brand e con i messaggi che veicola ogni giorno, si inserisce organicamente nella vita delle persone, portando senso: il marketing è esistenziale. E il marketing è ciò che vogliamo celebrare con questa iniziativa speciale: perché solo facendovi capire che esistono i Marketing Myths, possiamo sfatarli. Perché ogni buon marketer parte sempre dal perché.

Ma prima, dato che ogni buon marketer va sempre a fondo nelle cose, andiamo a vedere da dove nascono i pregiudizi, e perché si diffondono.

Lo stereotipo e il pregiudizio: districarsi tra i termini

C’è qualcosa nella storia che ha sempre voluto che attorno al marketing e a chi pratica questa professione si creassero dei pregiudizi, e non solamente da parte dei soggetti che non hanno a che fare con le discipline economiche. Persino molti addetti ai lavori condividono alcuni di questi stereotipi (il che, permettetecelo, è ancor più grave!): il marketing – a detta di questi soggetti – è un gioco “a somma zero”, che non produce nulla di tangibile e che non apporta alcun valore reale.

Insomma, se nella società esiste uno stereotipo del tipo “chi fa marketing è un venditore che ti vuole solo manipolare” significa che in qualche momento della storia qualcuno aveva avuto modo di far credere a qualcun altro che i marketer fossero solo “venditori di ghiaccio agli eschimesi”. Da queste convinzioni relative a un gruppo sociale (i marketer), cioè da questo stereotipo diffuso, si è innescato il pregiudizio fondante, che mina quotidianamente la percezione di chi fa la nostra professione: chi fa marketing è un manipolatore, chi fa marketing è disonesto, chi fa marketing non vuole “rimanere una brava persona”.

Il problema degli stereotipi è che possono essere convinzioni negative o positive, e che col tempo si credono vere, e se sono negative, spesso, hanno origine da una percezione distorta o fuorviante di un particolare gruppo sociale. Se peraltro gli stereotipi iniziano a essere condivisi e accettati come giusti e appropriati da un particolare gruppo sociale (può trattarsi, in grande, della società consumistica), allora questi vengono intesi come norme sociali.

Ed ecco quindi che le pubblicità vogliono manipolare i consumatori. Ecco che i marketer non fanno altro che indurre bisogni alle persone. Ecco che compriamo tutti prodotti di cui non abbiamo reale necessità. Ma sappiamo bene, andando a fondo nell’analisi di tutti questi aspetti, che questa non è la verità.

donne pregiudizi

Ancora oggi, per esempio, gran parte della società occidentale è convinta che le donne non siano adatte a equilibrare il loro status di “mamme” con quello di “lavoratrici”: ma è un pregiudizio bello e buono, perché gli esempi in contrasto esistono, eccome. Pensiamo a tutti i fenomeni di Women Empowerment in atto, agli sforzi che le donne compiono per avere un equo riconoscimento nella società in cui viviamo e per dimostrare di essere degne delle cariche più importanti (e vi prego, dimentichiamoci del #FertilityDay!).

Ecco allora che la diffusione degli stereotipi serve spesso a giustificare disuguaglianze sociali. Questi stereotipi vengono appresi nella coscienza collettiva del gruppo, e possono possedere delle etichette, e può innescarsi anche il collegamento automatico di una caratteristica dispregiativa relativa al gruppo sociale in questione. È proprio così che i marketer sono diventati dei “venditori di fumo”, tristemente.

Lo stereotipo può anche indurre a formulare giudizi sommari sui membri di un gruppo: “quello è un marketer? Di sicuro non mi fiderò mai di lui!

Superare lo stereotipo è davvero (im)possibile?

Gli stereotipi possono diventare così forti che fanno sentire il loro effetto anche quando si formulano giudizi ponderati: in questo caso si tende a cercare prove che confermino, anziché smentire, gli stereotipi, e a interpretare delle informazioni ambigue come coerenti con lo stereotipo.

Immaginatevi una conversazione di questo tipo tra due amici:

Charlie Brown: “Sono andato al negozio con la convinzione di risparmiare perché avevo visto un’offerta sul volantino, ma poi sono uscito avendo speso più di quanto mi aspettassi

Lucy: “Eh, cosa vuoi, il marketing!”

Esistono due modi per superare gli effetti degli stereotipi (ma sono difficili da attuare perché richiedono motivazione, capacità cognitiva e tempo):

  • reprimere i pensieri originati dagli stereotipi
  • correggere l’impatto degli stereotipi sui giudizi

Come si modificano gli stereotipi, e come si riducono i pregiudizi? La ricerca di psicologia sociale su come modificare gli stereotipi si è concentrata perlopiù sull’ipotesi del contatto: il contatto con i membri di un gruppo oggetto di stereotipi può ridurre il pregiudizio. Ma non basta! Perché persino quando si ottengono informazioni palesemente incoerenti potrebbe generarsi un sottotipo (in forma di eccezione alla regola) per cui lo stereotipo rimarrebbe immutato.

Torniamo alla conversazione tra i due amici di cui sopra: perché Charlie Brown ha speso di più di quanto si aspettasse, nonostante i prodotti che voleva acquistare fossero scontati? Nel percorso dalla corsia dove ha trovato il prodotto che doveva comprare alla cassa, ha trovato un’offerta speciale in una testata di gondola, e non è riuscito a resistere, poi una promoter gli ha venduto un pack speciale di prodotti, e alla cassa non poteva non prendere anche le gomme da masticare, oltre che le lamette che si era dimenticato.

Però se Charlie Brown si fosse limitato a comprare solo il prodotto che voleva in origine, avrebbe effettivamente speso meno! E quindi Lucy, quand’anche si fosse verificata questa eccezione alla regola “il marketing ti porta sempre a spendere soldi per cose inutili”, avrebbe comunque continuato a pensare al marketing in un’accezione negativa. È proprio per questo motivo che gli stereotipi sono immensamente difficili da combattere.

Quindi, come si riducono davvero gli stereotipi? Il contatto, per essere efficace, deve verificare tre condizioni:

  1. Ripetizione: le informazioni non coerenti con lo stereotipo devono essere ripetute, così da non poter essere neutralizzate con semplici spiegazioni;
  2. Abbondanza: molti membri del gruppo stereotipato devono fornire informazioni incoerenti, in modo da evitare la creazione di sottogruppi (o eccezioni alla regola);
  3. Tipicità: per evitare di produrre un effetto di contrasto, le informazioni discordanti rispetto allo stereotipo devono essere fornite da membri tipici del gruppo accusato.

Troppo complicato? Proviamo a fare un esempio concreto, lavorando sullo stereotipo secondo cui “i marketer ti costringono sempre a comprare cose che non ti servono”. Ecco allora che seguendo l’ipotesi del contatto, per ridurre questo stereotipo deve accadere che:

  • Ripetizione: “È ormai da un po’ che acquisto online e questo mese ho provato a fare il passo definitivo: ho acquistato generi alimentari su internet! Devo dire, all’inizio ero molto dubbioso ma è già la seconda volta che lo faccio e in entrambi i casi mi sono trovato decisamente bene”
  • Abbondanza: “Sono finito in una fiera di elettronica e lì c’è un gruppo di persone che si occupano di marketing per un noto prodotto. Nessuna di loro mi sta costringendo a comprare, anzi: sarei quasi curioso di chiedere se questa cosa che ho sentito sull’apparecchio è vera!”
  • Tipicità: “Steve Jobs, il mio marketer di riferimento, trasformava le sue presentazioni dei prodotti Apple in piccole opere d’arte: momenti di intrattenimento che sono rimasti nella nostra storia. Quali erano i tre passi delle sue presentazioni? Informare, insegnare e intrattenere. Vendere non era uno dei suoi obiettivi, lo era invece emozionare le persone”

Nel momento in cui si verificano tutte e tre le condizioni sopra esposte il contatto permette di ridurre lo stereotipo, migliorando così il rapporto con i soggetti appartenenti al gruppo sottoposto a pregiudizi. Non serve nemmeno dire quanto sia effettivamente complesso il realizzarsi di questa operazione, il che rende maggiormente l’idea di quanto ironicamente detto da Einstein:

albert-einstein

È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio. Se la mia teoria della relatività si dimostrerà corretta, la Germania mi rivendicherà come tedesco e la Francia dichiarerà che sono un cittadino del mondo. Se la mia teoria si dimostrerà falsa, la Francia dirà che sono tedesco e la Germania dichiarerà che sono un ebreo.
– Albert Einestein

Esistono delle scorciatoie? Fortunatamente, nel mondo in cui viviamo non tutti sono condizionati dagli stereotipi. Alcune persone sono in grado di rifiutare i pregiudizi in modo consapevole e autonomo, e così facendo riescono a superare gli effetti che naturalmente si producono quando si attivano gli stereotipi. Il vero segreto – ovviamente – è informarsi bene: la ricerca di informazioni attraverso un impegno cosciente e finalizzato alla correzione dei propri giudizi è la base per arrivare a smentire i pregiudizi.

Proprio per questa ragione abbiamo deciso di rimboccarci le maniche e andare fino in fondo nella faccenda, a partire da quei pregiudizi che nella maggior parte dei casi provengono proprio da chi già opera nell’economia e non comprende o non accetta nuovi paradigmi digitali.

Abbiamo così identificato 5 Marketing Myths, di cui scriveremo 5 articoli approfonditi e giustificati dalla ricerca che dicano invece il contrario. Per far capire, appunto, che la maggior parte delle cose che sapete sul marketing, sono in realtà un pregiudizio. Ci trasformeremo per qualche settimana come quei MythBusters della televisione, con una missione ben chiara (e altissima): sfatare con tutti i mezzi possibili i miti sul marketing – digitale e non – che a noi sembrano essere più diffusi lì fuori. Badate bene, la scelta è stata davvero durissima. Ma ve lo anticipiamo già: dovrete aiutarci anche voi! 

Perché noi ci crediamo veramente: sfatare questi miti è possibile. 

Gli autori

Margherita Cavallin

Riccardo Coni

Davide Panizzo

Fonti e approfondimenti:

I cinque Marketing Myths

Ecco i cinque Marketing myths che sfateremo di settimana in settimana (i link verranno inseriti man mano che gli articoli verranno pubblicati):

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