
One Piece, il manga più venduto al mondo per distacco considerevole (521 milioni di copie circa, contro le 300 del secondo in classifica), sbarca finalmente su Netflix con una serie live action tanto attesa quanto temuta dai fan incalliti dell’opera di Eiichiro Oda. L’hype intorno a questo evento sarà stato ripagato?
Nel 1997, quando il suo autore iniziò a scrivere l’opera mastodontica che è One Piece oggi, la storia era destinata a durare solamente 5 anni: poche saghe e pochi personaggi ben caratterizzati, a cornice di una storia lineare e asciutta che avrebbe traghettato in breve tempo il protagonista dell’opera, Luffy cappello di paglia, dal suo villaggio natale al coronamento del suo sogno, ovvero diventare il re di tutti i pirati.
Il manga piratesco, invece, andava bene, troppo bene. Sarebbe stato un delitto, su ammissione di Oda stesso, interrompere la narrazione in così poco tempo, e pertanto fu deciso di aggiungere legna al fuoco del world building, creando un universo sconfinato in cui, a 26 anni di distanza da allora, sono stati canonizzati più di 1000 personaggi e nel quale la storia è ancora ben lungi dall’essere conclusa.
“Vediamo adesso chi ha coraggio”
Durante il 20esimo anno di serializzazione, nel 2017, uscì la prima notizia di una serie live action in corso di progettazione. Al momento dell’annuncio, i dettagli condivisi dall’allora presidente di Weekly Shonen Jump (la rivista che pubblica One Piece in Giappone) furono pochissimi: in sostanza, l’unica notizia rivelata fu che la produzione sarebbe stata occidentale, principalmente per motivi di budget più alti a cui si avrebbe avuto accesso; l’unica dichiarazione di Eiichiro Oda in merito, invece, fu relativa alla sua volontà di non tradire e deludere i fan storici dell’opera.
L’annuncio scosse non poco la fanbase, conscia del fatto che la storia degli adattamenti cinematografici dei manga non fosse (affatto) costellata di successi: Dragonball Evolution (2009) fu per la sua epoca un flop senza appello, così come l’allora nuovissimo film di Death Note (2017), mentre Cowboy Bebop (2021) e Fullmetal Alchemist (2017 e 2022) si attestarono, di lì a poco, come esperimenti coraggiosi ma lontani da quello che si potrebbe definire “un successo”, ugualmente apprezzabili sotto certi punti di vista ma, di base, bocciati dalla critica. Ciò che più preoccupava i fan di One Piece era senza dubbio la distanza tra l’opera originale e il live action: i fan stessi erano consapevoli che rendere su pellicola determinati elementi cardine del manga (i poteri dei personaggi, determinate ambientazioni complesse, alcuni personaggi stessi che per fisionomia e caratteristiche si sarebbero sposati male con attori in carne ed ossa) sarebbe stato un lavoro complesso e al limite dell’impossibile. Data la complessità dell’adattamento, dunque, il timore era di incorrere in con una probabilità molto alta di ricevere un prodotto scadente, “plasticoso” e lontano anni luce dall’epicità del manga (ma anche della sua trasposizione animata).
Per evitare che ciò accadesse, Netflix ha nel tempo messo in campo uno sforzo importantissimo ai fini della produzione della serie. In primis, il budget stanziato posiziona la serie fra il settimo e l’ottavo posto delle serie più costose di sempre (considerato il costo/episodio), con un costo medio di circa 18 milioni di dollari per singolo episodio. Questo budget, che nel complesso comprende ogni voce di costo (sia di produzione che di distribuzione e promozione), è senza dubbio stato destinato per una sua grossa fetta alla CGI e alle scenografie, parti fondamentali per ricreare l’atmosfera propria di manga e anime e per restituire allo spettatore la sensazione di stare davvero guardando One Piece, e non una sciarada low cost con costumi e ambientazioni simili all’originale.
Anche l’autore del manga, Eiichiro Oda, ha creduto molto nella realizzazione del live action: pur sapendo che i fan accaniti dell’opera attendono con ansia nuove informazioni che portino la trama alla sua conclusione (One Piece, in Giappone, esce in edicola a cadenza settimanale con capitoli da una quindicina di pagine, pubblicati sulla sopracitata rivista Weekly Shonen Jump), nell’estate 2022 si prese una pausa di un mese dalla produzione del manga, con l’obiettivo sì di schiarirsi le idee per la conclusione dell’arco narrativo allora in corso, ma anche per recarsi in Sudafrica (location principale delle riprese della serie) a supervisionare la produzione e accertarsi che tutto andasse per il verso giusto.
“Niente potrà fermarci adesso siamo qua, avanti che si va!”
Concluse le riprese, è stato il momento di spingere sul marketing e sulla promozione della serie stessa, fase in cui Netflix non si è di certo risparmiata. Oltre alla creazione di account social dedicati, utili a promuovere contenuti tematici e molto verticali sulla serie (operazione classica nel caso delle produzioni Netflix), e oltre ai classici billboard sparsi per tutto il mondo, il colosso americano ha puntato su un approccio cross-mediale e orizzontale rispetto ai target di riferimento, cercando spesso di strizzare l’occhio ai fan di lunga data.
In primo luogo, molti post sui social hanno diversi layer di lettura: se a uno spettatore comune possono sembrare semplici foto del cast riunito, il fan di One Piece avrà certamente riconosciuto nelle pose degli attori la riproduzione di molte delle copertine del manga, easter egg il cui scopo era probabilmente accrescere la curiosità nei confronti del prodotto anche in chi, per i motivi sopracitati, avrebbe potuto essere inizialmente prevenuto.
Una seconda importante scelta di marketing, sempre in ottica cross-mediale, è la nascita di un podcast correlato all’uscita della serie: “MANA Podcast” (MANA è un acronimo, e sta per Manga Anime Netflix Adaptation) tratta infatti argomenti legati al mondo manga e anime a tutto tondo, non legati solo a One Piece, ed è gestito e presentato da Matt Owens, uno degli sceneggiatori della serie. Attraverso questa operazione di inbound marketing, Netflix ha voluto cercare di avvicinarsi a un pubblico abbastanza generalista: il linguaggio del podcast non è infatti particolarmente tecnico, ci sono sì riferimenti a manga e anime famosi in ogni episodio ma sono fruibili anche da un utente non abituato alla lettura o alla visione di opere fumettistiche o di animazione orientale.
Fra tutte le operazioni di marketing e promozione della serie vale la pena citarne una terza, per l’eccezionalità dell’avvenimento: Iñaki Godoy, l’attore che interpreta Luffy (il protagonista della serie), è stato inserito nella copertina del numero 34 di Weekly Shonen Jump, in abiti di scena e abbracciato alla sua controparte a fumetti. L’evento è risultato particolare, considerato che, prima di lui, pochissime altre persone in carne ed ossa avevano avuto l’onore di finire all’interno della copertina del famoso settimanale giapponese.
Se la maggior parte delle mosse di marketing operate da Netflix si sono rivelate vincenti e hanno contribuito al successo della serie, ancora oggi non è ben chiara la sensatezza di una scelta in particolare, che ha rischiato di allontanare dalla serie molti potenziali spettatori: la gestione del teaser trailer e del trailer vero e proprio.
Elementi fondanti dell’hype che si genera intorno a un contenuto di nuova uscita, e dunque da maneggiare e giocarsi con estrema cura, la scelta relativa a questi due brevi video anticipatori è stata, soprattutto per quanto riguarda il teaser, quella di mostrare contenuti “vecchi”, vale a dire spezzoni di girato che avevano ormai circa un anno. Su questi contenuti, dunque, non era ancora stato operato il necessario labor limae per migliorare i dettagli, aggiustare la CGI, per fare in modo in buona sostanza che tutto risultasse armonioso, privo di sbavature e, in una parola, pronto (per la messa in onda). Questa mancanza ha portato molti spettatori, principalmente chi era già fan dell’opera di Oda, a generare buzz negativo intorno al prodotto, disillusi dalla povertà di alcuni effetti speciali e impauriti dalla futura resa finale della serie, temendo di veder confermate le preoccupazioni e i pregiudizi iniziali legati alla realizzazione di un “cinemanga” a tema One Piece.
“Pirati siamo noi, all’arrembaggio!”
Infine, a seguito di tutti gli sforzi di marketing e in un clima di aspettativa e attesa vibrante, la serie è uscita, il 31 agosto 2023. E com’è andata?
A distanza di una ventina di giorni, mentre sto scrivendo questo articolo, è innegabile il successo planetario di questo live action. L’azienda Netflix stessa ha confermato che One Piece ha battuto i precedenti record legati al numero di paesi in cui una propria serie tv è rimasta al primo posto in classifica per più giorni: 84, battendo il record che in precedenza era stato di “Stranger Things” e “Mercoledì”, due capisaldi del catalogo del colosso on-demand.
A dimostrazione della riuscita del live action, tramite i propri canali social Netflix ha già confermato e annunciato la realizzazione di una seconda stagione, avvenimento che era ormai dato per scontato, ma che quasi mai accade a così poca distanza dalla distribuzione ufficiale. Questo fatto testimonia in maniera inequivocabile che l’azienda crede ciecamente in questa operazione ed è convinta possa continuare a funzionare nel tempo, appassionando sempre più persone al manga di Eiichiro Oda e facendo sognare chi, come chi scrive, è cresciuto con la storia di Luffy cappello di paglia e si è emozionato nel vedere alcune scene iconiche trasposte in un live action, rendendo il tutto più reale e più vero di quanto mai si sarebbe potuto immaginare.