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Originalità, rilevanza, sforzo collettivo: perché la creatività è un lavoro e va pagata

da 10 Novembre 2016Nessun commento
Creatività. Concetto tanto aleatorio quanto comunemente utilizzato, accade spesso che la creatività sia considerata un asset secondario e di scarsa complessità nella composizione del valore aggiunto di un progetto, al punto tale da generare discussioni circa la sua corretta valorizzazione economica. Scopriamo perché la creatività rappresenta più di un’idea isolata e può fare davvero la differenza in progetti integrati di marketing.

Nel panorama mediatico odierno, capita sovente di affrontare riflessioni e dibattiti circa il giusto riconoscimento economico e sociale di determinati ruoli professionali. Talvolta la divergenza di opinioni sfocia in movimentazioni di massa, quali scioperi o manifestazioni  di protesta in piazza. In altre occasioni invece, la concretizzazione del dissenso non ha modo di essere così immediata e diretta e spesso genera conversazioni mediatiche piuttosto rumorose, ma destinate a perdurare in un orizzonte temporale esteso, infiammandosi di tanto in tanto, per poi tornare a uno stato di silenziosa esistenza passiva.

È esattamente ciò che succede quando la discussione si sviluppa attorno alla creatività. Ricorderete qualche settimana addietro la polemica nata a seguito di alcune dichiarazioni del Ministro Lorenzin, a cui hanno risposto alcuni celebri esponenti dell’universo pubblicitario.

Cos’è la creatività?

Tema intangibile e sfuggevole per eccellenza, la creatività è certamente complessa da definire e inquadrare, eppure viene trattata con leggerezza, quasi fosse qualcosa di scontato e alla portata di tutti.

Chiariamo: tutti possiamo avere idee geniali, tutti possiamo inventare cose nuove e bla bla bla. Nel nostro caso però stiamo parlando della creatività intesa come professione, una creatività che richiede un set di conoscenze specifico e un’ampia apertura a contaminazioni di pensiero di natura costruttiva.

Forse è proprio da questa concezione diffusa di creatività che deriva il problema della categoria. Le persone talvolta non visualizzano concretamente il lavoro che un creativo svolge e non riescono dunque a delineare le fasi di un processo che conduce a un output creativo. Probabilmente la convinzione che l’idea brillante sia frutto di un lampo di genio durato un nano-secondo, non è poi così distante dalla realtà dei fatti.
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La verità però è un’altra. La famosa “Big Idea”, come direbbe David Ogilvy, ci può essere, ma tutto il resto del processo che conduce allo sviluppo di un output – una campagna di comunicazione, un advertisement in tv, un billboard – è il risultato dello sforzo comune di persone che mettono insieme conoscenze, competenze e professionalità, sotto la guida di una chiara direzione strategica orientata a obiettivi precisi.

La definizione di creatività: originalità e rilevanza

La letteratura scientifica di management definisce “creativo” un output che sia allo stesso tempo originale e rilevante rispetto a un determinato contesto.

L’originalità è sicuramente la caratteristica più facile da comprendere; spesso definiamo creativo un oggetto fuori dal comune e che non siamo abituati a vedere. Questo però non è sufficiente. Una comunicazione, per quanto inusuale e inaspettata possa essere, perde qualunque valore nel momento in cui non sia rilevante con il contesto, in senso lato, nel quale si colloca. Si pensi ad esempio agli spot tv che giocano sulla leva dello humor: capita spesso che l’advertiser, e di riflesso il ricevente, si concentri sulla scenetta comica, allontanando drammaticamente il focus dal messaggio che sarebbe dovuto passare e vanificando di fatto tutto l’investimento pubblicitario. In casi simili, si presenta una disconnessione tra elementi narrativi e messaggio di comunicazione, con conseguente azzeramento della possibilità che il brand riesca ad inserirsi in una dimensione di rilevanza per le persone.

Tutti si sono divertiti (forse) e nessuno ha capito esattamente cosa stesse guardando. Ricordate lo spot in cui un uomo, intento a lavare i piatti nel suo appartamento, sente la vicina di casa litigare con il compagno e pronunciare la frase “Adesso esco e vado con il primo che incontro!”, e in un lampo si fa trovare davanti alla sua porta d’ingresso esclamando “Buonaseeeera”? Probabilmente sì, perché effettivamente era una gag simpatica. Ma quanti sono in grado di citare il prodotto oggetto dell’advertisement, o quantomeno il brand? Forse in questo caso la percentuale si abbassa (vi aiuto io; era Fiat che pubblicizzava un’offerta su Punto). Può essere che alla fine lo spot abbia generato buoni risultati in termini di vendite, ma rappresenta comunque un buon esempio di disconnessione rischiosa tra rilevanza contestuale, storyline e brand.

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Può dunque sembrare relativamente facile generare un contenuto originale, ma una comunicazione ben eseguita richiede che tutto sia coerente e rilevante al contesto. E la rilevanza è ottenibile solo studiando a fondo il perimetro entro cui muoversi e vagliando in continuazione i limiti oltre ai quali non spingersi per non rendere ogni sforzo vano. Nulla può essere lasciato al caso.

La creatività e l’importanza del lavoro in team

Un altro punto che vale la pena considerare parlando di prodotti creativi, è l’importanza fondamentale che assume il lavoro in team. La creazione di output complessi e ben strutturati contempla una elevata coordinazione tra persone. Le agenzie pubblicitarie ad esempio riuniscono individui con percorsi formativi, mindset e competenze estremamente variegate, ma che si trasformano in un valore aggiunto qualora riunite e ben coordinate. Uomini e donne di marketing, programmatori software, esperti di comunicazione, grafici: l’importante è lavorare coesi verso lo stesso obiettivo.

Il successo di un’idea deriva raramente da un lavoro solitario; ci sarà sempre qualche aspetto che va oltre le competenze personali, per il quale l’unica soluzione plausibile, in termini di tempo, è la collaborazione. Il lavoro creativo è dunque da considerare come un incontro di idee, professionalità e relazioni, da cui viene generato un output originale e rilevante.

Come deve essere remunerata la creatività?

Risulta dunque completamente insensata la tendenza di alcuni a ritenere sopravvalutato il compenso per servizi di creatività. Si tratta di puro e semplice lavoro, niente di più: nasce un bisogno, uno o più soggetti si mettono in gioco per offrire una soluzione, vengono scelti per provarci al meglio e hanno il diritto di essere pagati per la prestazione. Niente di trascendentale.

Attenzione però a non cadere nella generalizzazione, affermando che tutta la creatività debba essere egualmente retribuita. Anche in questo caso, come in altri mestieri, la creatività può essere di qualità più o meno buona, ed è normale che un servizio scadente lo si voglia pagare poco. I metri di giudizio variano poi a seconda della situazione ma, come per ogni cosa, il prezzo è strettamente correlato alla qualità.

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Alla luce dei ragionamenti finora condotti, risulta dunque senza senso considerare il lavoro creativo come banale e non degno di giusta retribuzione. La richiesta di un servizio implica per logica un corrispettivo e, dal momento che nessuno è obbligato a rivolgersi a terzi per l’ottenimento di output creativi, è giusto che sia così.

Tutto ricorda vagamente una critica che taluni muovono all’arte moderna dicendo: “Non ci trovo nulla di speciale; avrei potuto farlo anch’io”. Ebbene, perché non l’hai fatto?

La creatività è quindi alla base dei processi di comunicazione e, in armonia con la strategia di marketing, concorre al successo di un’azienda. Al MARKETERs Festival il marketing sarà al centro: appuntamento il 26 Novembre a Villa Fiorita (TV)! Se vuoi rimanere aggiornato su questo argomento visita il sito del MARKETERs Festival oppure consulta direttamente il programma dell’evento! Altrimenti, se desideri ricevere in anteprima qualche spoilerata ed essere davvero sul pezzo, iscriviti alla newsletter!

MARKETERs Festival Formazione Marketing

Andrea Saccarola

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