
L’appuntamento del referendum costituzionale il prossimo 4 dicembre ha dato il via a una campagna elettorale tutt’altro che banale. Quale proposta vincerà? Ancora non lo sappiamo, ma abbiamo analizzato lo stato dell’arte nella comunicazione politica per farci un’idea di come le istanze del Sì e del No siano state comunicate finora.
La Storia del nostro Paese si snoda da sempre tra contraddizioni, dicotomie e contrapposizioni, tra Guelfi e Ghibellini, repubblica e monarchia, nord e sud. In questo perenne confronto l’Italia ha definito la propria natura di Paese plurale, vario ma anche profondamente votato al conflitto. La politica italiana da sempre rispecchia il carattere nazionale alla perfezione: come scrisse saggiamente Gaetano Salvemini,
La classe politica italiana è per il 10% peggiore, l’80% uguale e il 10% migliore del popolo stesso.
L’attualità politica italiana è naturalmente dominata dall’appuntamento che ci attende per il prossimo 4 dicembre: gli elettori saranno chiamati alle urne per votare la riforma costituzionale proposta dal governo Renzi e riguardante la revisione della seconda parte della carta fondamentale della nostra Repubblica. La riforma si pone come obiettivi principali: la riduzione del numero totale dei parlamentari, trasformando il Senato in un organo consultivo composto da rappresentanti delle istituzioni locali (comuni e regioni), la revisione delle competenze di Stato e Regioni attraverso la modifica del Titolo V della Costituzione, la soppressione del CNEL (Comitato Nazionale Economia e Lavoro).
Il fine centrale della riforma è certamente il superamento del bicameralismo perfetto, caratteristico della nostra repubblica parlamentare, per cui i poteri di Camera dei Deputati e Senato sono equivalenti e si controbilanciano nell’esercizio della funzione legislativa.
Conseguentemente invece, la sostituzione dell’attuale figura dei Senatori con quella di sindaci e consiglieri regionali si accompagna a un ritorno allo Stato di alcune competenze demandate specialmente negli ultimi decenni alla responsabilità delle Regioni.
I contenuti della riforma, a una prima analisi, sembrano dividere naturalmente centralisti e federalisti. In realtà il dibattito verte maggiormente su altri due aspetti:
- La natura del nuovo Senato, composto da persone che già rivestono una carica istituzionale a livello locale.
- Come il nuovo assetto del Parlamento sia effettivamente in grado di contenere i costi della politica e garantire una maggiore stabilità dell’esecutivo oltre a un processo legislativo più rapido.
Di conseguenza, ciò che può risultare subito sorprendente dalla campagna referendaria, specie per un osservatore estero, è l’eterogeneità degli schieramenti, tanto del Sì quanto del No.
N.B. No, non avete sbagliato giornale e non abbiamo deciso di diventare improvvisamente una testata che parla anche di politica. Semplicemente abbiamo pensato che questo è un argomento molto importante per il nostro Paese e che quindi un’analisi più approfondita può esservi utile. Se, però, siete interessati alla parte più “comunicativa” troverete ciò che fa per voi verso la fine dell’articolo, insieme alla nostra decisione alle urne.
Gli schieramenti
La divisione bipolare data dal quesito ha infatti rimescolato il già complesso e frammentato scenario politico italiano: vede dalla parte del Sì il Partito Democratico, il cui Governo ha elaborato la riforma, e la destra governativa del Nuovo Centrodestra; per il No invece si schierano il Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Fratelli d’Italia, la Lega Nord, e qui viene la sorpresa (ma forse non troppo) della cosiddetta minoranza del PD, la sua area di sinistra più tradizionale.
Proprio questa peculiarità degli schieramenti è fondamentale per analizzare tutta la comunicazione politica di questa campagna referendaria. Infatti, è chiaro che le motivazioni ideologiche che portano ciascun partito a sostenere la propria posizione sono diverse, specialmente sul fronte del No, che vede assieme realtà distantissime per valori e storia come 5 Stelle e Forza Italia.
Tanto per capire, la situazione è differente rispetto ad altri referendum della Storia repubblicana: uno su tutti la consultazione popolare per l’introduzione nell’ordinamento italiano del divorzio, che ebbe luogo nel 1974. Questo storico appuntamento, che più di tutti cambiò la struttura e il volto della società italiana, vide una campagna molto più ideologicamente lineare: i partiti conservatori, la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano, che promuovevano il Sì all’abrogazione della legge Baslini-Fortuna, si opponevano a quelli progressisti, Partito Socialista, Partito Comunista, Partito Repubblicano, Partito Liberale e altri, latori del No.
Affermazioni e deformazioni
Come comunicare dunque le proprie istanze e al contempo far risaltare la propria voce nello schieramento? Cominciamo con il fronte del Sì.
Il PD, che dal 2013 governa il Paese, con il Ministro delle Riforme Maria Elena Boschi ha elaborato il testo della Riforma e ne porta avanti la campagna affidandone la bandiera al comitato Basta un Sì. Insiste sull’effetto innovatore e rottamatore del nuovo assetto legislativo, capace di risparmiare tempo e denaro e quindi di creare un Paese politicamente più stabile e snello, promuovendo così l’importanza dell’Italia nel contesto internazionale e la crescita economica, spronata dagli investimenti stranieri.
Talmente tanta è stata l’importanza che il PD ha attribuito a questa consultazione, però, che ora rischia di rottamare se stesso. In primavera, infatti, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha affermato che, in caso di sconfitta del Sì, non avrebbe senso per il suo governo rimanere e addirittura per lui continuare a fare politica, legando quindi l’esito del referendum con il futuro dell’esecutivo e personalizzando il voto. Un classico caso di “sparata” e immediato boomerang comunicativo: una gran parte delle opposizioni ha subito colto la palla al balzo e spinto sul No come il miglior modo per mandare a casa il governo.
Tutto ciò ha precipitato la campagna referendaria, in cui si discuteva di modificare il corpo di legge fondamentale della nostra Repubblica, in una specie di confronto elettorale, in cui trovano spazio argomenti anche distanti dal cuore della questione.
Le ragioni del No dunque si sono moltiplicate, uscendo dalla sfera della disciplina costituzionale. La Lega Nord, ad esempio, per voce del segretario Matteo Salvini, cerca di piegare l’occasione del referendum in chiave anti-governo, mostrando il No come la migliore opportunità per fermare miracolosamente in un colpo solo immigrazione, poteri forti, dittatura dell’Unione Europea e chissà cos’altro ancora. Forza Italia, in una costante crisi d’identità, si attacca all’ormai consumata argomentazione della sospensione della democrazia in Italia, per cui Silvio Berlusconi è stato l’ultimo capo del governo eletto dal popolo, e la Riforma sarebbe ingannevole e un tentativo di accentramento dei poteri nelle mani del governo.
Quest’ultima ragione è comune anche al Movimento 5 Stelle, che da prima forza di opposizione si è impegnata molto strenuamente nel contrastare la riforma. Ha inaugurato così i tour Costituzione Coast to Coast e #IovotoNO, che vedono gli esponenti pentastellati nelle piazze a tenere comizi per spiegare che la riforma effettivamente non abbia in nessun modo la capacità di tagliare i costi della politica, costi che essi stessi invece eliminerebbero quotidianamente con il taglio degli stipendi ai parlamentari, un tema carissimo al Movimento sin dalla sua formazione.
Il significato del voto oggi
Ma come si è giunti a connotare questo referendum di significati che gli sono spesso estranei? Come abbiamo detto, la personalizzazione del voto creata dal nostro fin troppo loquace premier ha fatto la sua parte, ma non è il motivo principale.
La riforma, infatti, è stata elaborata e promossa dal governo in carica, che si è insediato dopo le dimissioni del governo Letta sempre espresso dal PD, il quale a sua volta era frutto di un compromesso: le elezioni del 2013, conclusosi il mandato del governo tecnico di Mario Monti, avevano lasciato l’Italia in uno stato di instabilità politica, con la vittoria ai punti del M5S e la conseguente impossibilità del candidato PD Pierluigi Bersani di governare.
In breve, c’è un fondo di verità nel dire che gli italiani, da quando il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sciolto le camere nel 2011 sull’onda della grave crisi economica, non hanno più un governo “normale”. E alla lunga, questa sospensione della normale vita democratica, seppure dettata da situazioni di emergenza, ha contribuito a creare un clima di malcontento contro la cosiddetta establishment politica, simboleggiata dal governo in carica.
L’Italia è in buona compagnia però: l’ondata populista si è abbattuta già su molte altre democrazie occidentali. Si è visto con l’inaspettata vittoria della Brexit, in cui molti cittadini britannici che hanno votato Leave hanno visto una possibilità di riscossa dal potere dell’establishment eurocratico. E ancora di più nelle recentissime elezioni presidenziali americane, in cui una classe media sfiduciata e arrabbiata ha preferito un gamechanger politicamente scorretto ma estraneo al “Palazzo” come Donald Trump alla predestinata Hillary Clinton.
Chi sta vincendo? (O meglio, chi sta giocando meglio?)
In questo particolare clima dunque, qual è la strategia di comunicazione migliore? Chi sta riuscendo a far meglio presa sui tanti indecisi che spesso sono l’ago della bilancia del voto? È difficile tenere i punti della partita referendaria quanto a comunicazione, anche perché abbiamo notato che sia le buone idee che gli errori sono spesso simili tra i due schieramenti.
Abbiamo quindi raccolto sotto due simbolici Sì e No ciò che noi ci sentiamo di approvare e abrogare nella comunicazione di questa campagna referendaria, e si sa che il marketing non fa sconti.
Sì
- La grande presenza di giuristi nei confronti televisivi. Fortunatamente, questa campagna ha visto la presenza costante nei dibattiti di esperti costituzionalisti che hanno saputo spiegare bene il carattere e le implicazioni della riforma, tema sicuramente non facile. Grazie anche a questi dibattiti i più giovani hanno potuto conoscere e apprezzare grandi studiosi del diritto come Gustavo Zagrebelsky e Valerio Onida.
- Enrico Mentana. La vera star di questa campagna. Il maratoneta di La7 ha gestito la campagna, sin dall’annuncio del referendum, con un grande senso della misura. L’anchorman ha cominciato a trattare il tema solamente da ottobre, per non esacerbare l’argomento e offrire spazi ordinati al confronto, in particolare con il suo programma Sì o No.
- Le iniziative sul territorio. Il marketing online è importante, ma in questa campagna fortunatamente non è stato tralasciato l’offline, per cui è stato relativamente facile trovare in queste settimane molti eventi sul territorio per incontrare gli attivisti di entrambi gli schieramenti.
No
- Gli endorsement. È lecito che chi ha una posizione di notorietà presso il grande pubblico la utilizzi anche per sostenere le proprie idee, ma è fondamentale che queste figure abbiano l’autorevolezza e la competenza per farlo, e durante questa campagna ciò spesso non è accaduto. O anche quando le avessero, non è detto che un endorsement sia sicuramente positivo: si veda il discorso di Barack Obama durante la visita di Stato italiana alla Casa Bianca, una sponsorizzazione probabilmente concordata tra le cancellerie e che si è presto trasformata in un altro boomerang per la campagna del Sì.
- Le sparate. Il No è un voto contro l’establishment, poi il Sì è un voto contro l’establishment, il No è un voto contro l’immigrazione, il Sì è un voto per il lavoro. Non si può semplicemente votare la riforma e non leggervi decine di altri significati? Evidentemente caricare questo voto di conseguenze più o meno correlate è stato fin da subito un comodo espediente per solleticare questa o quella esigenza di parti dell’elettorato, il più delle volte a spese della chiarezza.
- I sondaggi. La statistica è una cosa seria, e vista la figura rimediata con le elezioni americane, sarebbe ora di trattarla come tale. Che sia per un campione non abbastanza significativo, o per la fretta nel trarre conclusioni, ultimamente i sondaggisti non ne indovinano una. Va ricordato che affidarsi ai numeri per decidere il proprio voto, seguendo il cosiddetto bandwagon effect, non ha alcun senso, e che quindi non bisogna dare per scontato nessun risultato fino allo spoglio delle schede.
This MARKETERs Life scende in campo
Quindi come voterà This MARKETERs Life? Abbiamo la nostra linea politica ufficiale, e vi invitiamo a seguirla: votate. Semplicemente votate perché, se i clienti del marketing politico sono gli elettori, è assolutamente fondamentale che facciano sentire forte la loro voce, per dire che ci sono, che ci siamo, e che sappiamo decidere del futuro del nostro Paese con coscienza, coerenza e responsabilità. Se l’Italia cambierà o no dopo questo referendum non ci è ancora dato sapere, ma è importante che cerchiamo di capire il più possibile dalla comunicazione politica per operare una scelta consapevole: se si tratta del futuro della nostra Patria, dobbiamo essere i clienti più esigenti in assoluto.