
Le luci si abbassano, il vicino di poltrona (forse) ripone il cellulare, i pop corn sono praticamente già finiti. Il film sta per iniziare, ed ecco proiettati sul grande schermo i trailer cinematografici delle prossime uscite: è una carrellata di storie, suggestioni, ispirazione, emozioni e qualche cliché. Un’esplosione di carica narrativa condensata in un paio di minuti, decisivi a convincere lo spettatore che vale la pena tornare a vedere quello che si preannuncia un capolavoro.
Le risate di bambini, il suono di archi che si leva in sottofondo, le scene di normale vita quotidiana a rallentatore. D’improvviso tutto si dissolve nel silenzio, ma è solo la calma prima di una tempesta di musica ansiogena, movieshot oscuri e vagamente comprensibili, grida disperate ed esclamazioni allarmanti. A poco serve specificare che si tratta del video promozionale di un film horror, ma è molto probabile si tenga a precisare che ha spaventato anche Stephen King.
È un formato ormai conosciuto, quello dei trailer cinematografici, che resiste e si adatta alle nuove forme di comunicazione per l’incisività dello storytelling, la suspance generata, la possibilità di immedesimarsi e la capacità di coinvolgere lo spettatore tanto da trascinarlo nelle sale anche solo per scoprire se il risultato è degno dell’attesa.
La sfida: essere all’altezza delle aspettative
A ben pensarci, non si tratta solo di promuovere una produzione cinematografica. Oltre a raccontare la realtà immaginaria di un film e a enfatizzarne i contenuti, i trailer racchiudono molti degli impliciti meccanismi di comunicazione che poggiano sull’emozione allo scopo di richiamare l’attenzione verso prodotti e brand. Le parole d’ordine, dopotutto, sono aspettative e attesa, e il segreto sta nel ricercare il perfetto equilibrio tra le due.
Portare in alto le aspettative per far strappare più biglietti all’ingresso delle sale spesso incoraggia a sparare fino all’ultima cartuccia selezionando accuratamente i contenuti accattivanti; eppure si tratta di un meccanismo enigmatico: quante volte ci si trova a considerare che “il trailer era meglio del film”?
Quella della promozione cinematografica è una dinamica delicata, e il rischio di suggerire un contenuto diverso da quello reale è concreto. L’ha provato sulla propria pelle FilmDistrict, occupatasi nel 2011 della distribuzione di Drive e ritrovatasi alle prese con le proteste per via legale di una spettatrice americana sentitasi ingannata dal trailer. Il film, diretto da Nicolas Winding Refn e tratto dall’omonimo noir di James Sallis, delinea un Ryan Gosling freddo e taciturno che in un crescendo psicotico vede il proprio sangue freddo trasformarsi in vigore cruento, fino ad esplodere in pura ferocia. Il quadro è un oscuro manifesto contemporaneo in cui il protagonista è meccanico e stuntman di giorno, autista al servizio di rapinatori la notte. Scene alla guida, autisti spericolati, fughe e inseguimenti che nel trailer alimentano la suspance sembrano in questo caso aver convinto una delusa spettatrice di trovarsi di fronte a un thriller criminale ben più simile ad un Fast and Furious che ad un dramma psicologico.
Se da un lato la sola richiesta della donna è stato il rimborso del biglietto, dall’altro la diffusione della notizia ha portato alla luce la questione cruciale dei trailer fuorvianti. Chi conserva tra i propri ricordi il film Hook – Capitan Uncino, forse non avrebbe scelto di guardarlo se da bambino ne avesse visto il trailer, in grado di insinuare più facilmente ansia e terrore che l’entusiasmo di un’avventura alla Peter Pan. E non ci sarebbe nulla di inaspettato nella pellicola di Tim Burton Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street, se il suo trailer desse la minima impressione di avere a che fare con un musical.
Attenzione alle aspettative e una giusta dose di omissione dei contenuti per suscitare curiosità sono dunque i fattori chiave.
Il ruolo dei trailer oggi
I trailer si sono evoluti diventando un emblema della viralità, una dimostrazione di come siano i consumatori il veicolo di distribuzione dei contenuti promozionali caricati su Youtube e postati sui social, destinati a circolare, generare hype e far parlare di sé, al contempo scoraggiando l’ipotesi di spese ingenti per la pubblicizzazione a mezzo televisivo.
Oggi il primo approccio al film non si limita più all’attribuzione al destinatario del ruolo di spettatore, ma spinge sempre più verso l’interazione, spostandosi dai contenuti proposti e offerti verso quelli in grado di fare leva sulla volontà del consumatore di controllarli, modificarli, commentarli e diffonderli.
Complice il mercato della nostalgia, con revival e sequel capaci di mandare in fermento community di affezionati a saghe quali Star Wars e a cult come Trainspotting, i teaser trailer dominano le piattaforme di condivisione e alimentano l’eco all’uscita di nuovi film.
Il record di visualizzazioni? A vantarlo è il trailer del remake IT, uscito lo scorso 29 marzo: in pochi giorni i click su YouTube hanno superato la soglia di 22 milioni, e nelle prime 24 ore dalla pubblicazione il trailer è stato visualizzato 197 milioni di volte, battendo il primato detenuto da Fast and Furious 8.
Oltre il semplice richiamo alla pellicola, la promozione cinematografica può diventare uno strumento di branding di grande efficacia. Discostandosi da incipit quali “Dal regista di…”, i Marvel Studios utilizzano i trailer come mezzo per rafforzare la propria brand image, ponendo il logo ben in evidenza all’inizio di ogni video promozionale. Cast, personaggi e regia lasciano il posto al ruolo centrale degli studio, il cui solo nome diventa garanzia di successo al botteghino.
Appurato come in un paio di minuti si possa accennare una storia, comprimerne ed enfatizzarne il carico emozionale e suggerire allo spettatore che è davvero il caso di saperne di più, il format del trailer può diventare un mezzo per suggestionare e – perché no – sensibilizzare. È questa l’idea dietro un’iniziativa della Federazione Internazionale dei Diritti Umani, che lo scorso novembre ha lanciato la campagna #StopThisMovie. Allo scopo di allertare e informare sul clima di terrore in Burundi e sul crescente rischio di un genocidio, il video intitolato Genocide in Burundi preannuncia un film basato sulla realtà che nessuno vorrebbe vedere, e invita lo spettatore a non restare impassibile e firmare una petizione.
Suggestione, emozione e persuasione, ma anche strategia, viralità e branding: per un appassionato di marketing la magia di un trailer può valere da sola il prezzo del biglietto.
Quali novità ci aspettano nell’industria dell’intrattenimento?
Lo scopriremo – prossimamente al cinema.