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Dal baratro al tetto del mondo: Marvel, cronistoria di una rinascita

Da Timely ad Atlas, fino alla definitiva consacrazione come Marvel: dalla morte negli anni 90, sino al successo planetario degli anni X.

Prima di diventare il colosso planetario che tutti conosciamo, sotto l’ala protettiva di mamma Disney, la Marvel si è trovata, nella prima metà degli anni ‘90, sull’orlo del precipizio. Joe Quesada, prendendo per mano la parte “comics”, e David Maisel, dando vita al “Marvel Cinematic Universe”, l’hanno salvata da una morte quasi certa.

Ma come hanno fatto due persone normalissime a salvare un intero universo di supereroi? Ecco una cronistoria non-ufficiale che vi spiega come è andata.

“Nemmeno Captain America potrà salvarci!

Captain America salvaci

Me la immagino un po’ così la scena. 1996. Notte fonda. Sede della Marvel, una stanza con un tavolo nel mezzo. Luce gialla dei lampioni che filtra dalle finestre. Pochi uomini e donne, tutti seduti composti. Qualcuno fuma, a qualcun altro prudono le mani, la signora accanto al pezzo grosso vorrebbe andare in bagno, ma non può. Tutti stanno in silenzio perché non c’è bisogno di parlare. D’altronde, nel giro di tre anni, le azioni sono crollate: da 35 verdoni alla bellezza di 2 e spicciolata. Non era bastato quel maledetto 1992, con la fuga di Liefeld, McFarlane e Jim Lee, i migliori della baracca, verso la Image. Ora ci si era messa pure la borsa. Ron Perelman (l’uomo che qualche anno prima aveva comprato la Revlon), dopo aver acquistato la Marvel, aveva avuto quella brillante idea: «perché non la quotiamo in borsa? E magari nel frattempo ci prendiamo pure la Panini (quella delle figurine, proprio lei) e la Toybiz?» disse, mentre si rigirava tra le dita quel suo sigaro maledetto «tutti quelli che amano i fumetti amano pure i pupazzetti».

Nessuno si sarebbe mai aspettato un crollo verticale del genere. E quel nessuno risponde al nome di Neil Richard Gaiman: l’ultimo arrivato, insomma. Senza girarci troppo attorno Gaiman puntò il dito contro la Marvel e i suoi affezionati, arrivati a comprare almeno cinque copie di un singolo albo: una l’avrebbero letta, quattro le avrebbero lasciate a riposare, a testa in giù, belle imbustate, in una stanza buia, e dall’umidità controllata, sotto terra. Questa catena era una manna per tutti: per la Marvel, che nemmeno ci poteva credere che un solo fan potesse comprare realmente cinque copie dello stesso albo, e per i fan stessi che, lisciandosi le mani, già pregustavano quante altre copie di altri fumetti avrebbero potuto comprare grazie a quei nandrolonici introiti.

L’avidità divora lentamente le sue prede. Sorniona, lascia decantare la boria e, al momento migliore, il suo morso spezza i sostegni e fa crollare tutto a terra. Il momento migliore è il 1996, appunto, l’anno in cui Perelman è seduto a capotavola in quel tavolo di cui vi parlavo. Fuma ossessivamente sigarette americane dal tabacco pepato e, pentendosi d’aver alzato troppo in fretta i prezzi, giusto per allargare la fetta che tutti si sarebbero potuti portare a casa, dice: «Signori e signore. Nemmeno Captain America potrà salvarci».

Da grandi poteri derivano grandi responsabilità

Marvel cattivissimo vendicatore

Joe Quesada ce l’ha messa tutta, dobbiamo dargliene atto. Nel 2000 era diventato Editor in Chief di Marvel Comics e Bob Harras, suo predecessore, lo aveva preso per le spalle e, guardandolo diritto negli occhi, gli aveva augurato il meglio. Che fosse il meglio di Quesada o di Harras importa poco, fattosta che il newyorkese aveva ora le chiavi della baracca in mano, un mucchio di idee e entrambe, nessuno avrebbe mai potute strappargliele di mano. Mai e poi mai.

Ce l’ ha insegnato il mercato, ce l’hanno insegnato gli sport di squadra: se vuoi vincere, devi comprare i migliori sulla piazza. Non si scampa da questo dogma, Mourinho docet.

Quesada, stanco di mangiare fango, di essere l’eterno secondo (se non terzo) in una battle royale all’ultimo sangue che coinvolge lui, personificazione della Marvel, la DC, la Image e la Dark Horse, è seduto alla sua scrivania. Le sue tavole arrivano in ritardo: d’altronde chi potrebbe mai pensare ad altro che non sia il futuro della compagnia che gli permette di pubblicare quelle tavole? Pensa ogni ora della sua vita a quello che gli aspetta, sente il peso delle aspettative sulla sua schiena. A volte gli manca l’aria, proprio per questo motivo s’è comprato una pallina gommosa che strizza ossessivamente quando è stressato: sua moglie gli ha assicurato che funziona e, da buona americana pragmatica, gli ha assicurato pure che qualcosa gli verrà in mente.

Tra il telefono che squilla e la voglia di ricominciare a fumare arriva il colpo di genio. Quel Marvel Knights che Harras gli aveva affidato, con i suoi toni cupi, duri, violenti, e quei personaggi al limite, che di eroi avevano poco o nulla, sarebbe stato il perfetto punto di partenza. Ma come fare il passo direttamente successivo? Come dare il colpo finale?

Il lampo di genio. Avrebbe mai vinto Mikey da solo? Forse sì, ma senza Pippen quanto ci avrebbe messo? Pure a Shaq era servito quel ragazzino cresciuto in Italia. Non servono idee, o almeno, non bastano solo quelle: quello che serve davvero è una squadra, la migliore che si possa avere.

E così è.

Nascono nel giro di qualche anno:

  • la linea MAX, rivolta ad un pubblico maturo e, fuor di metafora, con il pelo sullo stomaco, che si aspetta storie violente, ambienti crudi e chine, il più delle volte, sporche. Sguazzerà in queste acque Mr. Garth Ennis che, dopo aver prodotto, assieme a Steve Dillon, quel folle capolavoro che è Preacher, decide che è giunta l’ora di dare una svecchiata al Punitore.
  • l’universo Ultimate, ovverosia la Marvel 2000. Assieme a Mark Millar (la cui umiltà lo porterà a fondare la sua personalissima casa editrice, la Millarworld) viene costruita, da zero, una nuova realtà alternativa in cui: Peter Parker va ancora al liceo, ma può usare tranquillamente uno stereo e indossare Converse con la camicia a quadri; i Vendicatori si chiamano Ultimates (wow) e Thor, oltre che un dio norreno, è anche “nazi-ambientalista”; gli X-Men, professor X a parte, sembrano usciti da un mix diO.C. e Buffy: adolescenti, dannati e ancora adolescenti.

Nel suo ufficio, grande tre volte quello che aveva in passato, Quesada si gode l’anno 2004 sorseggiando Malibù Cola e immaginandosi cosa farebbe il Punitore se un giorno diventasse dentista. Nemmeno si immagina che, qualche piano più in sotto, la Marvel sta per svoltare. Definitivamente, questa volta.

Perché dare ad altri ciò che è tuo?

Marvel Cinematic Universe

Sono passati 6 anni dal 1998, 6 anni dal successo di quella nave pilota nota come “Blade”, il primo (scusate l’orrorifico neologismo) cine-comic prodotto dalla Marvel e i milioncini intascati sono, in giro per il mondo, la bellezza di 130. Ai piani alti tutti si stanno fregando le mani e nel mentre, per accompagnare il successo, bevono champagne e si fanno, vicendevolmente, modesti complimenti. Tutti tranne uno: l’uomo che attende nell’ombra.

Come già detto, Blade fa da apripista e, a ruota, seguono: Spider-Man (licenziato alla Sony e girato da quel ganzo di Sam Raimi), la trilogia degli X-Men (licenziato alla 20th Century Fox e girato da Bryan Singer e Kaiser Soze), ma anche Daredevil (vi basti sapere che c’era Ben Affleck, il resto è solo noia) e Ghost Rider (c’è Nicholas Cage, fine) e un’altra marea di film, sequel, prequel e chi più ne ha più ne metta.

È il 2004 e la festa ai piani alti della Marvel continua, seppur con maggiore sobrietà. I successi, seppur stiracchiati, arrivano e allora largo al Lambrusco, che si deve risparmiare, ai bicchieri con il nome e ai panini con l’affettato e lo stuzzicadenti che lo infilza. Quando la musica smette tutti si accorgono che nel mezzo del turbine di sorrisi e pacche sulla spalla c’è un uomo. Non sorride, non canticchia, nemmeno beve. In tutto questo tempo si è limitato a stare nell’ombra ma, ora, dopo esser diventato Chief Operating Officer dei Marvel Studio, ha deciso che è il momento di agire. “Se non ora quando?”, continuava a ripetersi allo specchio ogni maledetta mattina.

Un tale si fa coraggio e taglia il silenzio con una domanda: «E tu chi saresti?». David Maisel, inizialmente, si limita a sorridere, parla solo quando gli occhi di tutti sono su di lui: «Noi dobbiamo riprenderci ciò che è nostro».

L’amico Avi Arad, AD della Marvel Enterprises, glielo aveva sempre detto: «non è questione di fame, amico mio, ma se dei 70 (milioni) di Blade ce ne prendiamo solo 25 (mila), qualcosa non quadra». Maisel fa di sì con la testa non solo in risposta all’amico, ma anche quando si riprende i diritti su tutti (quasi) i personaggi Marvel e, nel 2008, fa uscire quel block-buster che è Iron Man.

Verso l’infinito e oltre!

Risveglio Marvel

585. Questi sono i milioni che la Marvel riceve tramite bonifico SEPA. Come causale solo sette lettere: Iron Man.

Stan Lee non ci crede. Arad è ancora ubriaco da quel giorno. Maisel dice che ci aveva sempre creduto.

Da lì in poi la strada è la discesa d’un ottovolante, la discesa dopo una salita durata la bellezza di 15 anni.

Nel giro di qualche mese, sua maestà la Disney, nelle vesti di Topolino in persona, bussa alla porta della Marvel. Ha i guanti bianchi, una giacca doppio petto e i calzoncini rossi con i bottoni d’oro. Tiene in mano una cartellina, quel che resta di un hot-dog e ha, come seguito, una dozzina di avvocati.

Chiede di Maisel e Arad. Lo fa con insistenza anche quando la segretaria riferisce che c’è una riunione in corso. «Topolino non può aspettare» dice di sé Topolino stesso, parlando in terza persona. Dà alla segretaria dieci minuti, poi avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe andato per sempre.

Allo scoccare del decimo minuto appare Maisel, trafelato. Topolino gli stringe la mano e gli infila un pezzo di carta in tasca. Aggiunge, prima di andarsene, poche parole: «Dallo al tuo capo, lui capirà».

Il suo capo è Stan Lee e quasi gli cade il baffo quando si rende conto che il buon David, oltre che sciocche battute su calzoncini rossi e bottoni d’oro, ha portato con sé un assegno da 4 miliardi di dollari. Pochi, se consideriamo che sia I Vendicatori che Iron Man 3 sono stati capaci di superare il miliardo di dollari in biglietti staccati, pratici DVD e innovativi Blu-Ray.

Ora, nel 2016 anno Domini, la Marvel spadroneggia su tutta la linea: una nuovo “numero 1” per la maggior parte dei suoi fumetti, all’urlo del motto: All New All Different, giusto per portare nel proprio gregge i nuovi lettori incuriositi dai film; graphic-novels in TV grazie a Netflix e alle sue produzioni raffinate (Daredevil è stato un successo, Jessica Jones pure. Ora all’appello si stanno per aggiungere Luke Cage, Iron-Fist ed i Defenders); nuovi film tratti da proprietà intellettuali mai toccate prima (Dr. Strange, con Benedict Cumberbatch, Captain Marvel etc); remake (Spider-Man); sequel di enormi successi (Thor, Ant-Man, I Vendicatori).

Beh, niente male per un’azienda pronta a fallire. Proprio niente male.
Enrico Marigonda

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