
Come è possibile coniugare l’economia circolare con il mondo della moda? Semplice, attraverso i siti di resale! Sicuramente, soprattutto nell’ultimo periodo, ti sarà capitato di sentir parlare di piattaforme come Vinted, Depop oppure Clothest il cui denominatore comune è l’intento di promuovere un’idea di moda sostenibile, dove il prodotto usato diventa non solo lo strumento con cui creare un piccolo business, ma anche un elemento di tendenza per attirare l’attenzione sull’importanza della sostenibilità nel settore del fashion.
Quasi per per antonomasia, nella percezione della maggior parte delle persone, il mondo della moda appare come totalmente estraneo alle calde tematiche della sostenibilità ambientale e del riciclo.
I più famosi brand del settore si contraddistinguono per un modello di business, denominato fast fashion, caratterizzato da un continuo ricambio delle collezioni negli stores, che spesso vengono proposte a prezzi molto competitivi per evitare le giacenze di magazzino. Questo alimenta un circolo vizioso tale per cui, nella mente dell’acquirente, il prodotto appena acquistato è già obsoleto dato che è già stato rimpiazzato in negozio dall’ultimo capo di tendenza.
La corsa alla novità generata dal desiderio di essere al passo con la moda rende il consumatore sempre più incline allo spreco e all’accumulo; egli diventa, così, il target principale di tutti quei fashion brand il cui obiettivo è di indurre il cliente agli acquisti d’impulso proponendogli occasioni imperdibili a prezzi (spesso) stracciati.
Tutto ciò porta, inevitabilmente, ad una serie di conseguenze molto dannose per l’ambiente, soprattutto nell’attuale scenario caratterizzato per la maggior parte da acquisti online. Basti pensare alla quantità di packaging necessario per imballare i prodotti da spedire ai clienti, così come all’inquinamento generato per il trasporto degli stessi.
Inoltre, per rispettare i ritmi del fast fashion, spesso la produzione tessile chiude un occhio sulla qualità dei tessuti utilizzati e, elemento ancor più preoccupante, sulle tecniche di produzione, che il più delle volte finiscono per incrementare vertiginosamente le immissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, lo spreco dell’acqua e la produzione di rifiuti tessili inutilizzabili.
Insomma, l’arte del riciclo e del riutilizzo sembrano essere due elementi totalmente estranei al mondo della moda, in cui la parola d’ordine è essere al passo con i tempi. Ma non tutto sembra ancora perduto: negli ultimi anni, anche grazie alla complicità dei social network, si sono diffuse una serie di piattaforme online nelle quali gli utenti hanno la possibilità di mettere in vendita gli abiti (anche di firme molto costose) che non utilizzano più, promuovendo un concetto di moda molto più sostenibile.
Tali applicazioni stanno trovando un grande seguito soprattutto tra i Millennial e la Generazione Z, che rappresentano il 33% dei clienti del mercato dell’usato. Essi dimostrano un forte interesse verso la sostenibilità ambientale e verso la possibilità di acquistare capi di abbigliamento di tendenza che, anche se un po’ datati e non propriamente figli delle ultime collezioni, conservano il loro valore in termini di stile e di fascino e, cosa più importante, sono maggiormente accessibili economicamente.
Stando ai dati riportati dalla Ellen MacArthur Foundation, nel 2019 la tendenza al resale dei vecchi capi in disuso ha incontrato una crescita 21 volte più veloce rispetto all’andamento nei 5 anni precedenti; circa 56 milioni di donne hanno, infatti, acquistato almeno un capo di seconda mano nel 2018, con un aumento di quasi 8 milioni rispetto al 2017.
Anche il mondo dei social, e soprattutto di Instagram, si fa portavoce e sponsor della maggior parte dei siti di e-commerce resale in circolazione: scorrendo il feed di Instagram o guardando le stories, è facile imbattersi in un grande numero di influencer che annunciano di aver messo in vendita alcuni dei propri capi su app quali Vinted oppure Depop, alimentando di fatto l’interessamento dei propri followers sul funzionamento dei siti stessi e contribuendo di fatto a sensibilizzare la community su tematiche molto importanti e attuali, come l’importanza del riciclo o l’attenzione allo spreco.
Quali sono dunque le principali piattaforme protagoniste della moda circolare? Scopriamole insieme!
Se non lo usi, vendilo su Vinted!
Fondata in Lituania nel 2008 e diffusasi ben presto in altri 11 Paesi europei e negli Stati Uniti, da qualche mese Vinted è sbarcata anche in Italia, diventando nel giro di pochi giorni una delle applicazioni maggiormente scaricate dagli italiani per la vendita degli abiti di seconda mano.
Complessivamente, Vinted conta 23 milioni di utenti registrati e uno stock di quasi 120mila articoli disponibili. Stando ad un’intervista per Fashion United rilasciata dal CEO di Vinted, Thomas Plantega, la mission di Vinted è soltanto una: offrire un’applicazione facilmente utilizzabile per consentire agli utenti di accedere ad una grandissima varietà di capi a prezzi abbordabili e, nel contempo, educare gli utilizzatori ad un approccio più responsabile alla moda, dove l’usato diventa l’occasione per dare una seconda (o una terza) vita ad un abito in un’ottica di circolarità.
Rispondendo alla domanda del perché proprio l’Italia, Plantega ha affermato che i dati sull’evoluzione dell’e-commerce nel nostro Paese hanno confermato una crescita del second-hand, causata non solo dall’esigenza di risparmio dovuta alla crisi economica post Covid19, ma anche ad una grande consapevolezza dell’economia circolare manifestata da circa il 31% degli italiani.
L’utilizzo dell’app è molto semplice: dopo averla scaricata e installata sul cellulare, è sufficiente caricare una foto del prodotto che si intende mettere in vendita, allegare una breve descrizione dello stesso e fissare un prezzo. Nel caso si ricevesse una proposta di acquisto, basterà impacchettare il prodotto, apporre l’etichetta rilasciata dalla piattaforma e spedirlo al destinatario entro i 5 giorni successivi.
Depop per una moda sostenibile e social
Depop è nata nel 2011, ma solo recentemente ha ricevuto un finanziamento da capogiro da parte della società di venture capital General Atlantic, che ha stanziato ben 60 milioni di dollari per accelerare l’ascesa di questa app, specialmente negli Stati Uniti, dove punta a triplicare il numero degli utenti iscritti.
Sono tre i principali pilastri su cui si fonda di Depop:
Economia circolare. Nata come una piattaforma a totale sostegno dell’ambiente, la mission di Depop è quella di creare un “better future” attraverso un progetto di sostenibilità ambientale mirato a ridefinire le modalità di consumo e di acquisto, aventi come denominatore comune la creatività e la circolarità.
Maria Raga, CEO di Depop, ha recentemente annunciato l’avvio di un piano finalizzato ad ottenere la “Neutralità Climatica” entro la fine del 2021. Trattandosi di un marketplace digitale, è naturale che la maggior parte delle emissioni prodotte non derivino dalla produzione dei capi (che vengono messi in vendita dagli utenti), quanto, piuttosto, dalle modalità di spedizione scelte dagli utenti stessi.
L’app mette infatti in comunicazione venditori e acquirenti da ogni parte del mondo, rendendo difficile il calcolo delle emissioni di anidride carbonica causate dalle spedizioni. Per questa ragione, Depop ha stretto una partnership con la società SouthPole per la quantificazione delle emissioni e, allo stesso tempo, mira a compensare il 100% delle emissioni di gas serra con l’acquisto di crediti di carbonio, ovvero dei certificati che attestano che l’azienda supporta progetti internazionali di sostegno ambientale per bilanciare l’inquinamento prodotto.
Marchi indipendenti: Depop scommette sui marchi indipendenti che, stando alle statistiche, attirano circa il 90% degli utenti dell’app che, essendo prevalentemente giovani con un’età compresa tra i 16 e i 24 anni, sono alla ricerca di varietà e scelta.
Social shopping: Depop non è altro che una piattaforma di e-commerce in cui chiunque può diventare imprenditore di se stesso, riuscendo a creare un piccolo business basato sul riciclo dei capi dismessi. Quello che ne ha determinato il successo è stato, tuttavia, la grande risonanza social che Depop ha avuto: la condivisione del proprio profilo sui social per accrescerne la visibilità, la presenza di influencer del calibro di Chiara Ferragni che aprono le porte del loro guardaroba e la creazione di una community attorno alla piattaforma hanno fatto sì che Depop abbia conquistato il parere positivo della maggior parte degli utilizzatori.
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Alta moda e resale: Clothest e Vestiaire Collective
Il second hand investe anche l’alta moda: Clothest è una piattaforma di e-commerce nata in Italia nel 2015 per la rivendita di abiti di seconda mano di lusso. La mission di Clothest, come si può leggere nel suo sito ufficiale online, è quella di “dare al vestito una missione nobile”: acquistando gli abiti proposti, non solo si sostiene l’importanza del riciclo per la riduzione dell’impatto ambientale, ma si ha anche la possibilità di aiutare economicamente le persone in difficoltà, dato che parte del ricavato di vendita è destinato ai più bisognosi.
Vestiaire Collective, invece, è nata in Francia nel 2009 ed è una vera e propria boutique in forma digitale: su questa piattaforma è possibile acquistare e mettere in vendita capi griffati e la qualità degli stessi è garantita al 100% dalla piattaforma, che esegue controlli molto scrupolosi.
Nel 2019, Vestiaire Collective ha lanciato l’iniziativa “Circularity Collab”, ovvero una serie di collaborazioni con i brand dell’alta moda francese (e non solo) per promuovere la vendita dell’usato. Per ogni articolo del brand partner messo in vendita su Vestiaire Collective, l’utente riceve un voucher di un ammontare predefinito da spendere per acquistare i capi della nuova collezione del brand stesso.
Il vantaggio è duplice: da un lato, il brand partner riceve una sponsorizzazione e un canale di e-commerce dedicato sul sito di VC e, dall’altro, i capi delle precedenti collezioni trovano una nuova destinazione, arricchendo di fatto il soggetto che li mette in vendita.
Di ultimissimo lancio è, invece, il progetto “Brand Approved” con cui VC punta a sostenere ulteriormente l’economia circolare nel settore del lusso, il cui primo partner è la casa di moda Alexander McQueen. La collaborazione prevede che il noto brand francese incoraggi i propri clienti a vendere gli abiti non più utilizzati firmati McQueen, dando loro in cambio un buono da poter utilizzare sulla piattaforma Vestiaire.
I capi così inseriti sul sito riceveranno dallo stesso l’etichetta di “Brand Approved” con cui ne viene garantita l’autenticità e la tracciabilità. Insomma, il lusso di second-hand sta diventando un vero trend dell’e-commerce; proprio per questo, Vestiaire si è recentemente aggiudicata dalla società Tiger Global Management un finanziamento di 178 milioni di dollari , che verranno impiegati per raggiungere la neutralità delle emissioni di anidride carbonica entro il 2026 e accrescere la rosa di partner commerciali per le collab di sostenibilità.
E tu, hai mai acquistato da una di queste piattaforme?