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Erasmus: we are movin’ Europe

da 20 Febbraio 2017Nessun commento
Se l’Erasmus fosse un libro, lo potremmo chiamare “We are movin’ Europe”. Ne trarremmo una versione cinematografica e gli adatteremmo pure una colonna sonora. Al cinema o su scaffale, attirerebbe comunque l’attenzione. Ma cosa succederebbe se Erasmus prendesse vita?

 

Correva l’anno 1987, fiocco azzurro in casa Europa: nasceva un bel fanciullo di nome Erasmus, ancora indifeso e alle prime armi, ma proiettato verso un promettente avvenire.

2017: Erasmus compie 30 anni.

30 anni che hanno segnato la storia europea, una storia che vale la pena di raccontare. A conti fatti più di 4 milioni di persone si sono mosse per l’Europa in tutti questi anni. Un progetto riuscito di mamma Unione.

In occasione di questa lieta ricorrenza, abbiamo ottenuto un’intervista esclusiva con Erasmus:

“Erasmus, perché partire?”

Parallelo didattico, perfezionamento linguistico e valore esperienziale: queste sono le ragioni per cui lo studente universitario decide di partire per trascorrere alcuni mesi in un’Università all’estero.

Primo, si tratta di un confronto inter-accademico, vale a dire avere la straordinaria opportunità di paragonare un sistema universitario di una nazione appartenente all’Unione Europea (con l’aggiunta di Liechtenstein, Islanda, Norvegia e Turchia) con quello del proprio Paese d’origine.

Secondo, è un’occasione per impratichirsi con una o più lingue straniere.

Terzo, la ragione che preferisco: arricchirsi di esperienze.

Dopo aver scavalcato tutti gli intralci burocratici, infatti, lo studente universitario viene catapultato in una nuova realtà. Niente più genitori, niente più amici di un tempo. È ora di imparare i fondamenti di una mera e basilare sopravvivenza, spesso ignoti ai ventenni di oggi. Andare a lezione, fare sport e lunghe passeggiate in città, la spesa, studiare un po’, la cena con la nuova “famiglia globale”, la doccia e le feste senza fermarsi un attimo, per dormire al ritorno dall’ultimo party e riprendere il giorno dopo con lo stesso ritmo: fare l’Erasmus rende multitasking, sviluppa senso di responsabilità, flessibilità e spirito di adattamento.

Quando si cominciano a organizzare uscite fuori porta col proprio gruppo whatsapp che man mano assume dimensioni più globali e si tenta di abbattere la timidezza causata dalla barriera linguistica parlando con gli altri studenti, ebbene, è in quel momento che il viaggio comincia davvero.

Una mente aperta al confronto e all’integrazione, curiosa, attivamente impegnata nel conoscere l’altro, plasma una mentalità globale, in grado di comprendere più a fondo le esigenze, le differenze e le analogie tra Paesi.

Lo stesso Treccani recita più o meno così:

Integrazione: una delle funzioni fondamentali svolte dal processo di socializzazione, che consiste in particolare nella formazione della personalità sociale dell’individuo, attraverso la trasmissione dei modelli culturali e di comportamento, cui provvedono la famiglia, la scuola e in genere i gruppi cosiddetti primari.

L’Erasmus è funzionale proprio alla creazione di quella personalità sociale.

Tibor Navraciscs, Commissario EU per l’Istruzione, la cultura, la gioventù e lo sport, ha dichiarato: “Da tre decenni il programma Erasmus offre ai giovani occasioni che consentono loro di sviluppare competenze fondamentali, tra cui quelle sociali e interculturali, e promuove la cittadinanza attiva. Creando collegamenti tra le persone e aiutandole a lavorare insieme, il programma svolge un ruolo essenziale nel dare ai giovani la possibilità di costruire una società migliore. Questa è la solidarietà di cui l’Europa ha bisogno, oggi più che mai. Intendo far sì che in futuro Erasmus+ sostenga un numero ancora più elevato di persone provenienti dai contesti più disparati.”

“Prima hai citato i party. A questo proposito, le critiche sono arrivate a paragonarti ad una “vacanza travestita da studio”. Cosa ne pensi?”

Tralasciamo il fatto che sono testimone di molte storie di eccellenza: ex studenti Erasmus che possono confutare prontamente la suddetta ricostruzione.

“Vacanza travestita da studio”: è innegabile che gli studenti Erasmus partecipino alle feste universitarie o alle scampagnate fuori porta, organizzate anche da associazioni studentesche come ESN, sia dentro che fuori il territorio nazionale.

E questo accade anche in una vacanza, ma non accade forse anche nelle università nazionali? Gli studenti non escono con amici e compagni di corso o non organizzano viaggi durante il loro percorso accademico? Credo quindi che questa critica non metta in dubbio in alcun modo la serietà del progetto, molto più legata alla coscienza di chi vi partecipa e alla cultura che questo contribuisce a creare nei cittadini dei vostri paesi membri come cittadini europei e non solo di una nazione.

“Parli di serietà. Per misurarne il livello, una proposta sarebbe quella di adottare criteri di selezione più severi…”

Aumentare la media richiesta di selezione non cambierebbe la situazione. Esistono ragazzi che pur avendo votazioni molto elevate non salterebbero nemmeno un party!

“Sì, ma queste “vacanze” vengono finanziate con soldi pubblici, o almeno in parte…”

Premessa: l’Erasmus non si inserisce soltanto come progetto didattico ma come formazione alla Cittadinanza Europea. Uno studente dovrebbe andare in Erasmus per migliorare personalmente, prima che professionalmente. La vita è fatta di esperienze, oltre che di studio.

Questo tipo di scambio consente di costruire un’immagine più verosimile della nostra Italia guardandola dall’esterno.

Mediamente gli studenti italiani tornano dall’Erasmus con l’impressione che le università italiane abbiano un livello culturale e accademico molto elevato e che gli standard richiesti agli studenti italiani per superare un esame e la quantità di nozioni che apprendono nel prepararlo siano a un livello più che competitivo con le università straniere. Pur essendo impossibile una generalizzazione comparativa tra università italiane ed estere, ogni studente che torna da un Erasmus porta con sé una maggior consapevolezza della qualità dell’istruzione universitaria italiana e riesce a dare la giusta misura ai giudizi negativi sul nostro paese.

Infatti, il rischio che corre l’Italia è quello di avere una generazione di giovani frustrati e delusi perché non si sentono valorizzati. Grazie all’Erasmus i giovani si rendono conto di avere un’immensa fortuna, ossia quella di vivere in un paese come l’Italia, un paese di una ricchezza straordinaria, sia a livello paesaggistico che culturale, motivo per cui essere fieri delle proprie origini.

Questo tipo di consapevolezza si può acquisire soltanto in seguito al confronto con altre realtà. Conoscenza e integrazione avvengono anche al di fuori delle mura scolastiche. E dato che gli studenti sono quello di più prezioso ci sia nella società, l’assicurazione sul futuro, penso che dar loro questa possibilità sia un atto ammirevole e una testimonianza esemplare della fiducia che ogni Paese ripone nelle nuove generazioni.

Ma questi ideali, apparentemente frutto di un’elaborazione e opinione personali, vengono supportati anche dai dati ufficiali e trovano riscontro nella realtà del mercato del lavoro.

“A cinque anni dal conseguimento della laurea, trova lavoro l’89,1% dei laureati che hanno trascorso un periodo di studio all’estero, contro l’84,9% dei laureati che non si sono spostati dall’Italia”. Inoltre “chi ha partecipato a un programma internazionale può arrivare a guadagnare fino a 1.200 euro mensili in più rispetto a chi è rimasto dentro i confini nazionali.” (fonte: Sole 24 Ore)

“L’esperienza internazionale dell’Erasmus, per chi l’ha fatta, fa la differenza. Oltre a promuovere valori culturali, di solidarietà, storici e scientifici che favoriscono il processo di integrazione, l’aver studiato all’estero aumenta del 10% le chance di trovare lavoro già ad un anno dal titolo.” (fonte: Almalaurea)

Paolo Citterio, direttore del Gipd (Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale), ha dichiarato tempo fa sulle pagine del Corriere che “L’esperienza di studio e di formazione, anche se parziale, sviluppata all’estero è uno degli aspetti che chi si occupa di selezione osserva con maggiore attenzione perché sintomatica di capacità di relazione e apertura mentale.” (fonte: Corriere della Sera)

“Hai dichiarato di avere un tuo personale “manifesto della bellezza”. Ce lo puoi descrivere?”

La scena è ambientata in un cottage della Lapponia Finlandese.

Irrompe ilare nel salotto Tom, tedesco, sfoggiando il suo italianissimo “cm’on guys, cuciniamo pasta?” dall’accento così straniero ma maledettamente familiare. Ovviamente tutti gli sguardi si spostano sull’italiana di turno, Alice, accompagnati da un urlo di esultanza in vista di un pasto commestibile. Tom vuole sapere come si cucina la vera Pasta. Inizia la spiegazione. Tutti a tavola!

A pasto concluso, direzione Sauna! E come da tradizione, un tuffo nella neve. Sfortunatamente Laura, la ragazza spagnola, scivola a terra: un incidente, può capitare. Dolorante cerca di rialzarsi, ma invano. Prontamente a soccorrerla arriva Jim, un altro tedesco. Per fortuna niente di rotto.

Ci si sposta sul divano, un po’ di relax. Si comincia a parlare: ragazzi, cosa vorreste fare da grandi? Il manager, l’infermiera, non so ancora cosa, si vedrà. È ora di brindare.

Tom dice: sapete come si dice cheers in svedese? Skål.

Ed ecco che una manciata di ragazzi provenienti da tutta Europa sono seduti davanti a un caminetto a parlare di cosa vorrebbero essere nella vita, raccontare i loro sogni e le loro aspirazioni. Quadro semplice, ma esplosivo.

E torni a casa che sai come si brinda in svedese e come cucinare la pasta. Sai che non sei l’unico/a ad avere dei progetti per il futuro, che in fondo anche gli altri “Europei” hanno degli obiettivi che non sono poi così tanto diversi dai tuoi. Sai di avere un amico su cui contare se ti capita di cadere. Realizzi di essere fortunata a vivere in un paese meraviglioso come l’Italia. Certo, non sai una lingua straniera intera; certo, sei ancora uno studente e non hai il lavoro dei tuoi sogni; certo, l’Italia a volte delude. Ma…guardati attorno: avresti mai immaginato di stare seduto in suolo finlandese a imparare come dire cin cin in svedese?

Forse l’Erasmus qualcosa in più lo lascia davvero. Forse Erasmus è veramente uno scambio.

Dunque, questo è il manifesto della bellezza a cui ho assistito.

“Quindi meglio rimanere in Italia o andare all’estero?”

Quando si è giovani e idealisti tutto è più facile, ma poi ognuno deve fare i conti con le opportunità di lavoro che trova nel proprio Paese, dipendenti anche dal tipo di professione che vuole esercitare.

Comunque, il fatto che giovani neolaureati e neodottorati vadano a lavorare in università e centri di ricerca di altre nazioni è fisiologico, al giorno d’oggi, perché connaturato alla forte globalizzazione attuale della ricerca. I grandi centri di ricerca attirano persone brillanti provenienti da tutto il mondo. La mobilità degli studiosi è un fenomeno comune fin dagli albori delle università e di per sé un fattore di arricchimento culturale e professionale, perché la ricerca non conosce frontiere. Il problema nasce quando il saldo tra gli studiosi che lasciano un Paese e quelli che vi ritornano o vi si trasferiscono è negativo.

L’importo della borsa di studio per un dottorato di ricerca in Italia è generalmente inferiore rispetto ad altri Paesi avanzati, e i giovani ricercatori migliori trovano facilmente lavoro presso università e centri di ricerca stranieri, con livelli di retribuzione adeguati, migliori tutele e, soprattutto, interessanti prospettive di ricerca e inserimento professionale.

Molti giovani neolaureati interessati ad utilizzare e sviluppare le proprie capacità lasciano l’Italia poiché non riescono a trovarvi posizioni adatte alle loro capacità, ben remunerate e soprattutto con migliori prospettive di fare carriera.

Dunque, alla domanda “Italia o estero?” rispondo: prendere il meglio da ciascuna, esaltandone e imitandone le caratteristiche positive, a prescindere dal Paese di residenza. Estendere i confini, creare una mentalità globale: questo è il motivo per cui uno studente universitario dovrebbe andare in Erasmus.

Poi ognuno prenderà le sue decisioni, secondo coscienza. Inutile ricorrere a generalizzazioni.

Tornare (?)”

Ho incontrato una ragazza dieci giorni dopo che lei fosse tornata da uno scambio Erasmus. Le ho chiesto come fosse andata e lei mi ha risposto così:

“Per rispondere alla tua domanda, mi appoggio a un luogo comune: “l’Erasmus non lo puoi spiegare, lo devi vivere”. E chi l’ha vissuto, sa cosa intendo.

Sai cosa si prova a ballare su una barca sotto la pioggia attraversando di notte i canali di San Pietroburgo? E a vedere il tramonto davanti a una cioccolata calda attorno a un fuoco sulle rive del fiume su cui si affaccia Café Regatta a Helsinki?

Hai presente cosa vuol dire tuffarsi nell’oceano Artico dopo una sauna bollente sotto le luci dell’Aurora Boreale con una crew di amici internazionali?

Ecco, in quei momenti, ho ripercorso con la mente alcuni pensieri che mi tormentavano prima di partire: quel recidivo procrastinare prima della scelta, quel guardare al programma Erasmus con ossequiosa riverenza come a scongiurare scaramanticamente la possibilità di un eventuale rifiuto, quella paura mista a eccitazione per uno slancio verso qualcosa di ignoto, gli arrivederci, la partenza, le prime impressioni, i primi incontri, le prime timide parole rivolte tra i sedili del tram.

E ora sono qui, con il corpo a casa ma con il cuore ancora in quella città, tra quelle vie, tra quella gente, che un po’ è diventata la mia seconda casa, a domandarmi cosa farò adesso, che ne sarà del mio futuro, se li rivedrò mai.”

Ma questa è un’altra storia.

Allora, qual è il vostro manifesto della bellezza? Cosa ha significato per voi l’Erasmus? Ancora indecisi sulla meta?
Jessica Zanotto

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