
Il Giappone è uno dei Paesi più innovativi al mondo. Le aziende nipponiche sono riuscite in diversi settori a sbaragliare la concorrenza, diventando un punto di riferimento per il mercato internazionale. Ma in un mondo governato da giganti high tech statunitensi anche un piccolo ristorante di ramen può cambiare il nostro modo di concepire la ristorazione.
L’innata creatività e curiosità nello sperimentare nuove tecnologie ha permesso ai giapponesi di mettere in gioco le proprie conoscenze reinventando le innovazioni occidentali. L’industria che ne ha più giovato è stata quella automobilistica con Toyota. La società dell’omonima città giapponese non ha solo reinventato i processi produttivi tradizionali, ma ha anche superato il limite degli obiettivi di profitto a breve. Già negli anni novanta infatti, Toyota decise di sviluppare una soluzione al fine di ridurre le emissioni dei gas di scarico, a differenza delle altre case automobilistiche che invece puntavano su design e prestazioni. Fu così che nel 1997 l’azienda lanciò nel mercato Toyota Prius, il primo modello ibrido di auto che avrebbe largamente anticipato il trend dell’offerta automobilistica odierna.
L’approccio nipponico all’innovazione tecnologica
Il Giappone sta dimostrando di sapersi reinventare anche oggi in cui il cambiamento sta avvenendo secondo una logica che cerca di coinvolgere chiunque abbia un’idea da sviluppare. La strategia adottata nel Paese si basa sul supporto economico e tecnico ai singoli cittadini e a tutte le aziende che abbiano in serbo un’innovazione particolarmente efficace, da mettere al servizio del progresso sociale. Gli incentivi pubblici alla ricerca sono focalizzati sulla cibernetica, la logistica e la medicina e l’obiettivo comune è la facilitazione delle attività umane, qualsiasi esse siano.
L’introduzione di nuove tecnologie per i piccoli gesti quotidiani è una necessità nelle metropoli giapponesi, dove non c’è mai una sosta alle corse di pendolari, turisti e viaggiatori. Non a caso il settore turistico e quello dei trasporti sono i principali fruitori delle innovazioni tecnologie. Tokyo ne è l’esempio lampante con il suo sistema metropolitano, il più utilizzato e avanzato al mondo.
Anche le strutture ricettive si sono adattate allo stile di vita della metropoli, a partire dal primo hotel a capsula, costruito negli anni settanta per ospitare chi avesse avuto bisogno di dormire una notte in città per motivi di lavoro. Oggi invece l’attenzione degli albergatori si è spostata sul tema della data retention (la raccolta delle informazioni sui clienti), che deve rispondere ai bisogni crescenti di ordine pubblico e rispetto dell’ospite. Per facilitare le pratiche di gestione dei dati si è quindi pensato di introdurre tecnologie sofisticate tra cui l’impronta digitale elettronica, nell’ottica di velocizzare la raccolta delle informazioni sul viaggiatore, lasciandogli un ampio margine di discrezione.
Innovare nella ristorazione
E per il vitto? La cultura culinaria del Giappone è una delle più antiche e varie del mondo. Tutti conoscono o hanno provato una volta nella vita qualche piatto tra sushi, sashimi, tofu o ramen, ma non tutti saprebbero come orientarsi nel mondo della ristorazione giapponese.
I turisti che soggiornano in pensione completa solitamente non hanno di questi problemi. Il problema sussiste invece per chi, restando a lungo in Giappone, si trova a vivere come un vero abitante del posto, dovendosi adattare alle nuove abitudini di consumo e, nella maggioranza dei casi, senza conoscere la lingua. Per queste persone esistono centinaia di minimarket localmente definiti come konbini, che propongono qualsiasi genere di cosa necessaria a una persona, dal cibo agli ombrelli.
Per chi invece è sopraffatto da impegni oppure non ha tempo o voglia di cucinare, un aiuto viene dagli stessi ristoratori i quali hanno modificato il proprio approccio comunicativo, diventando sempre più friendly nei confronti dei viaggiatori e in particolare di quelli stranieri. Per fare questo si sono serviti della tecnologia, sapendo che al giorno d’oggi tutti hanno uno smartphone in tasca con cui orientarsi. In questo caso non si sta parlando del sito internet introvabile fermo ad un aggiornamento 2007, magari monolingua giapponese.
Molte insegne oltre a rendere comprensibile la propria offerta, traducendola in inglese, hanno anche pianificato delle novità con cui essere visibili agli occhi dei viaggiatori, sapendone cogliere tutte le necessità ed abitudini. Maishoku ad esempio, è una delle aziende giapponesi che più ha saputo cogliere i tratti del settore del delivery food statunitense e europeo, grazie a un sito bilingue e una app dove è possibile ordinare tutti i piatti della tradizione e non solo, con una consegna in tutto il Paese. Ma in fatto di innovazione l’azienda ha optato per un adattamento dei trend internazionali, senza osare troppo.
Il caso Yaro Ramen
Yaro Ramen è invece una delle poche attività che si è spinta oltre al muro del semplice adattamento tecnologico, richiesto dalle logiche di mercato. Il ristorante, situato nel centro di Tokyo, è un vero e proprio mito per gli amanti della cucina giapponese e in particolare per quelli del ramen. Il locale si trova a pochi passi dalla fermata della metro del quartiere di Shibuya e vicino alla celebre statua di Hachiko. L’esterno si caratterizza per un inconfondibile e acceso colore giallo, che dà nell’occhio tanto quanto le enormi foto del menù e gli ideogrammi bianco e rossi sopra l’entrata. In una città europea sembrerebbe tutto molto appariscente, se non fosse che il quartiere in questione è interamente coperto da insegne luminose in ogni angolo, per cui ogni commerciante deve fare del proprio meglio per differenziarsi.
Yaro Ramen è un tipico locale giapponese per giovani. Non solo per l’arredamento interno che riprende la stessa personalità decisa dell’esterno, ma anche per il suo servizio economico e abbondante. Il suo menù si basa in ogni caso sui piatti tipici della cucina giapponese, in modo particolare sul ramen. Sono forse proprio le enormi scodelle di ramen fumanti ad attrarre una clientela così giovane, che può anche cimentarsi nella Monster Ramen Challenge, una sorta di “man vs. food” nipponica da giocarsi a colpi di bacchette.
Quello che però penalizza Yaro Ramen è lo spazio ristretto del locale, non tanto evidente dall’esterno, quanto piuttosto chiaro nelle recensioni Tripadvisor, le quali finiscono poi per influire sulle scelte dei visitatori. Per ovviare al problema, dallo scorso novembre c’è stato un miglioramento dei servizi offerti dall’insegna, con il rinnovo del sito internet, la creazione di un profilo Instagram e il lancio di una nuova app.
Con il digital i titolari del ristorante puntano a migliorare la propria offerta, permettendo anche a chi non visita il negozio di poter comprare una porzione di ramen. Dall’applicazione e dal sito è possibile infatti guardare e scegliere i piatti del menù, per poi decidere di prenotare la propria ciotola di ramen da farsi portare a casa. Nulla di nuovo se non che a breve sarà attivo anche un servizio in abbonamento, con cui pagando una quota fissa di 8.600 ¥ al mese (circa 75 $), sarà possibile avere la propria dose (anche giornaliera) direttamente a casa, evitando l’affollamento che caratterizza l’interno del locale.
Molti lo hanno definito come un Netflix dei ristoranti, sia per il modello di business “subscription” sia per l’approccio di vicinanza adottato verso i suoi consumatori. Uno sforzo logistico non indifferente per un’azienda che non fornisce video in streaming. Questo non è affatto scontato, pensando al mondo occidentale, dove i servizi di delivery food sono spesso gestiti in outsourcing da aziende specializzate che lavorano basando la gestione degli ordini tramite delle app specializzate come nel caso di Just eat o Deliveroo.
In altri contesti, i servizi di food delivery sono stati lanciati dalle grandi imprese allo scopo di adattare la propria offerta alle nuove abitudini della domanda, che desidera risparmiare tempo, affidandosi ai servizi di consegna a domicilio. Si pensi agli Amazon Dash Button che permettono di farci arrivare in casa i prodotti che stiamo per finire, tramite un piccolo dispositivo che ci aiuta a fare una sorta di spesa digitale, proprio nel momento in cui ne abbiamo bisogno. Un piccolo aiuto che permette di non rimanere mai senza le cose di cui più abbiamo bisogno tutti i giorni. In Italia invece, il più importante attore del settore alimentare ha lanciato nel 2015 Cucina Barilla. Il progetto si propone di ridurre il tempo dedicato alla preparazione dei pasti lasciando comunque dei momenti alla cucina e offrendo un menù tradizionale. Barilla, in partnership con Whirlpool, offre un servizio di consegna a domicilio di appositi kit da utilizzare con un forno specifico, che permette di ridurre l’intervento umano per la cottura delle pietanze.
Ma le iniziative occidentali sono davvero così poco comparabili con il servizio offerto da Yaro Ramen come ci immaginiamo? Mentre gran parte dei ristoratori europei e americani tendono a giocare sull’equilibrio tra qualità e prezzo, nessuno di loro ha effettivamente mai ipotizzato di riuscire ad applicare un servizio in abbonamento alla loro offerta pur di fidelizzare i clienti.
Eppure in Europa quella del cibo a domicilio ordinato via internet (o “digital food delivery”) è una pratica già ben che consolidata. In Italia è un mercato da 400 milioni l’anno con una crescita stimata del 50% nel 2019. L’idea dell’italiano “tradizionalista” in termini di cucina sta venendo meno: qui una mappa dei gusti degli italiani in quanto a cibo a domicilio, dove a comandare resta pur sempre la pizza ma è evidente un “politeismo gastronomico”.
Immaginarsi un servizio di come Yaro Ramen in Italia non è molto difficile, considerando l’interesse del mercato nello sperimentare le innovazioni proposte dal mondo digital. Tuttavia la domanda nazionale è alla continua ricerca di un’offerta ampia, capace di proporre una grande varietà di prodotti. Gli unici che potrebbero sperimentare una formula simile sono quelli che si posizionano un gradino più in alto nella catena del valore ossia le varie app di delivery food. E chissà che la lezione giapponese possa stuzzicarli.